Rickie Lee Jones – The Other Side Of Desire (TOSOD)

Rickie Lee Jones - The Other Side Of Desire

Perché nessuno compone più melodie davvero memorabili? Mi sono rimessa a studiare i classici: Paul McCartney, Cat Stevens, Curtis Mayfield. Mi sono impegnata a fondo in un processo creativo cui da tanto non ponevo mano, imponendomi la disciplina più rigida: racchiudere un’emozione o un pensiero in un dato numero di versi e note è un compito estremamente difficile e tantopiù se da molto non ti cimentavi con esso”: così parlava Rickie Lee Jones, l’anno era il 2003 e il disco che raccontava era quel “The Evening Of My Best Day” che ne sanciva la rinascita artistica. Mai venute meno neppure nei periodi bui le doti di interprete, Rickie Lee riprendeva in mano la penna ed erano testi e spartiti degni dell’era fra ’70 e ’80, aurea e indimenticabile, quelli che vergava. “It rocks, it rolls, it swings and strolls”, scriveva qualcuno nel 2007 dell’al pari convincente “The Sermon On Exposition Boulevard”, cogliendone appieno l’essenza. Potrebbe ripetersi per questo “The Other Side Of Desire” (registrato in Louisiana: si sente!), che parrebbe esserne il successore vero. Più di “Balm In Gilead”, del 2009. Certamente più di “The Devil You Know”, del 2012, dove la signora tornava a praticare l’arte della cover.

Segno dei tempi che un’artista che dei primi due album vendette quel milione di copie nei soli Stati Uniti debba oggi ricorrere al crowdfunding per pubblicare un disco. E dire che l’adorabile serenata che lo apre, Jimmy Choos, potenzialmente sarebbe una nuova Chuck E.’s In Love! Brillante introduzione a un lavoro più vivace in una prima metà giocata fra valzer e blues, country e gospel, e quindi sempre più raccolto, lento, alla fine quasi in moviola. Christmas In New Orleans e Feet On The Ground nel mio mondo sarebbero delle hit, non so nel vostro.

Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.365, luglio 2015.

1 Commento

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Una risposta a “Rickie Lee Jones – The Other Side Of Desire (TOSOD)

  1. Paolo Stradi

    Nelle prime parole del post c’è tutta la spocchia e l’autoreferenza becera del mondo anglofono, incapace di cogliere stimoli da altre culture, eccezioni escluse, che ci sono. Uno per tutti, Ry Cooder. Se parliamo di melodie memorabili, da noi, in Italia, abbiamo molto da insegnare al mondo intero. Per non parlare della parte testuale.

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