Il primo grande album del 2012 è del 2011. In questo senso: che fin dallo scorso novembre Matt Elliott poneva in vendita sul proprio sito questa sua fatica, ma solo in mp3 e giusto questo 16 di gennaio “The Broken Man” è stato pubblicato in CD e vinile. E dunque? Problema alla cui soluzione si dovranno applicare non solamente gli enciclopedisti (“Wikipedia” ha risolto: 2012) ma pure chi in dicembre si cimenterà nel gioco delle playlist. Perché sì, con queste sette canzoni di durate assai variabili (dai due minuti ai tredici) il consiglio è di farci i conti e che peccato che lo seguiranno in pochi. Probabilmente, non tanti più di quei cultori di stretta osservanza che di questo gioiello di disco fanno tesoro già da qualche mese.
Elliott è ormai in circolazione da tre buoni lustri e fu soltanto all’inizio di quella che definire “carriera” sarebbe esagerato che godette di una qualche esposizione mediatica. Erano i tempi di una Bristol che ai torpori del trip-hop opponeva gli stridori del post-rock più ispido, quello che non solo non rinunciava alle chitarre elettriche ma amava affondarle in spirali di feedback. Di quella scena mai andata oltre le pagine specializzate, ove l’altra diveniva mainstream, il Nostro fu l’uomo ovunque: nei primi Flying Saucer Attack, con Movietone e Amp, produttore degli Hood. Soprattutto, motore e da un dato punto unico attore del progetto Third Eye Foundation. Che mentre da gruppo divenivano pseudonimo intrigantemente cominciavano a trafficare con l’elettronica avvicinandosi molto, fra uno slargo ambient e una puntata nel drum’n’bass più astratto, proprio alle atmosfere e alle scansioni della Bristol più celebre. Temperati però da goticismi di evidente derivazione 4AD, sicché non parve deviazione così brusca dai percorsi d’antan che nel momento in cui recuperava la sua identità anagrafica Matt Elliott si desse a una sorta di cupo folk. Accostabile in prima istanza a Dead Can Dance e/o Cocteau Twins e via via con le radici sempre più affondate in un nero humus cantautoriale. Adesso più che mai hanno senso gli accostamenti a Nick Cave, a Scott Walker, al Michael Gira versione Angels Of Light, ma soprattutto a Cohen: per quanto un Leonard così spagnoleggiante (tira fra questi solchi aria meno pesante che nella trilogia delle “Drinking Songs”/Failing Songs”/”Howling Songs”) non lo si sia udito mai. Magari prodotto da Yann Tiersen e – ma guarda! – proprio costui ha curato il missaggio di “The Broken Man”.