Nonostante mi occupi di musica professionalmente sin dai primi ’80 in tutti questi anni ho frequentato pochissimo le case discografiche. Un po’ per questioni di mera logistica, visto che non abito né a Roma né a Milano e a Roma o a Milano capito di rado, e un po’ per un’incompatibilità che – con un pizzico di civetteria oppure di presunzione, fate voi – mi piace pensare reciproca. I discografici non hanno, in linea di massima, nessun rispetto per chi fa il mio mestiere, né la voglia o la capacità di provare a distinguere chi lo esercita degnamente e chi no, e io non ho nessun rispetto per la maggioranza delle persone che lavorano per le case discografiche e in particolare per quelle cosiddette major. Quale la differenza? Che io sono capace a distinguere quei pochissimi lì in mezzo (e costoro il mio rispetto ce l’hanno eccome) che di musica ne sanno, che la musica la amano. Categoria di cui non faceva certo parte, ad esempio, il tizio che un sacco di anni fa negli uffici capitolini di non mi ricordo quale multinazionale mi allungò con aria complice (“Ti do un’anteprima!”) una TDK D46 con copertina fotocopiata di un album che avevo recensito quattro mesi prima. Essendomelo comprato. D’importazione. Siccome i tempi cambiano ma plus ça change plus c’est la même chose, in era di Internet e di Amazon qualcuno incredibilmente riesce tuttora a pianificare date di uscita diverse per un titolo a seconda dei mercati. Come se esistessero i mercati e non un mercato. Lo stesso qualcuno per concederti il… privilegio di ascoltare quel disco e poi in qualche misura pubblicizzarglielo ti chiede di firmare papiri legali grotteschi e offensivi nel loro presupporre che se no tu ti affretterai a fare di quei preziosissimi file audio un uso illegale. Vabbé… Comunque il nuovo lavoro dei Little Willies negli USA è uscito il 6 gennaio, in Italia verrà pubblicato il 31. Non dovrei ancora parlarvene, lo so, ma come resistere alla possibilità di fare il figo offrendovi una… ehm… anteprima?
Confesserò di avere un debole per Norah Jones. Per tante ragioni. Per il suo essere stata, all’inizio di carriera, quel fenomeno raro che è un’artista che esplode senza che l’industria l’abbia previsto, né abbia fatto alcunché per favorirla, e andando controcorrente rispetto alle mode. Per avere portato per prima in cima alla classifica principale di “Billboard” (non a quella del jazz) un album griffato Blue Note e da allora (era il 2002) “Come Away With Me” ha venduto quegli altri dieci milioni di copie nei soli Stati Uniti. Per l’eleganza di un sound a suo modo peculiare per come miscela jazz e country, la tradizione della torch song e quella della canzone d’autore, un pizzico di rock e un profumo di blues. Norah ha qualcosa più del semplice buon gusto, che già sarebbe tantissimo: ha stile. E in ogni suo respiro cogli l’intensità della passione che riversa in quello che fa. Ha firmato, a oggi, capolavori veri? Direi di no. Però non ha mai nemmeno deluso e mi stupirebbe tantissimo se mai lo facesse.
Evidenzia classe cristallina persino in quello che continua a restare un ludico dopolavoro – lei e quattro amici newyorkesi che si ritrovano per cantare e suonare country canonico giusto per il piacere di farlo – anche dopo decine di concerti e un debutto (omonimo) che nel 2006 qualche centinaio di migliaia di copie lo totalizzava. Il successore di “The Little Willies” non solo è ritagliato dalla medesima stoffa ma addirittura prende il titolo dal classico di Kris Kristofferson che l’edizione in vinile dell’esordio aggiungeva come bonus a 45 giri. Sono ballate languide (Remember Me) e siparietti birichini (If You’ve Got The Money I’ve Got The Time), fra uno scodinzolare di country’n’roll (Fist City), uno scorcio da Tom Waits prima maniera e dunque romanticissimo (Permanently Lonely, che però è di Willie Nelson) e l’ennesimo omaggio a Johnny Cash (Wide Open Road). Loro in tutta evidenza si sono divertiti molto a registrarlo, io ad ascoltarlo.
e la grande chitarra di Jim Campilongo!
La grandissima chitarra di Jim Campilongo, che fra l’altro firma una parte importante del poco repertorio autografo della band. E’ vero, quando si scrive dei Little Willies si finisce per parlare sempre e soltanto di Norah Jones, dimenticandosi di quanto siano bravi i musicisti che la accompagnano. Quando a ben vedere e sentire è più la Jones un’ospite nei loro dischi che non viceversa.