Cardinal – Hymns (Fire)

Da applausi a prescindere l’atteso e però inatteso – nel senso che pochi credevano potesse rinnovarsi il sodalizio fra Richard Davies ed Eric Matthews a diciotto anni dall’unico album che fruttò – ritorno dei Cardinal. Per come si intitolano il primo e l’ultimo dei dieci brani in programma. L’apertura si chiama Northern Soul, ma con il northern soul non c’entra nulla: trattasi di scintillante folk-pop sull’orlo del jingle-jangle. Ci si congeda con Radio Birdman e altro che assalto alla Stooges! Dopo qualche battuta di chitarra acustica in dialogo con una tromba, decolla sì, elettrica, ma più che a Rob Younger e soci è a Lee Hazlewood che vien da pensare. Avrete intuito: nel disco di inni non ve n’è l’ombra, né nell’accezione chiesastica né in quella rock’n’roll del termine. Ancora felici di spiazzare dopo tutti questi anni, gli attempati ragazzi. Stiamo del resto parlando di due che affidarono la regia di un lavoro in ginocchio dal minuto uno e fino in fondo dinnanzi all’altare di San Burt Bacharach a quell’arbiter elegantiarum di Thee Slayer Hippy, già batterista dei Poison Idea. Ve li ricordate? Quei ciccioni punk capaci di battezzare un loro 12” “Record Collectors Are Pretentious Assholes”. Uscito su etichetta Fatal Erection. Bonjour finesse.

Riscosse molti consensi all’epoca, “Cardinal”, ed erano figli oltre che dell’eccezionale qualità delle canzoni del loro collocarsi agli antipodi dei suoni che imperavano: nell’era del trionfo di grunge e crossover rifarsi ai Beach Boys di “Pet Sounds” non era alla moda come oggi, figurarsi idolatrare i Left Banke e non nascondere una certa ammirazione per i Prefab Sprout. Era igiene aurale, era dare tregua alle orecchie fra una deflagrazione di decibel e l’altra e fu pure per il loro fare quasi categoria a sé che i Cardinal piacquero tanto, sebbene sostanzialmente fra una congrega di happy few. Però le consuete “differenze artistiche” allontanavano Davies e Matthews (il primo già con i Moles, entrambi con carriere solistiche non troppo fitte di uscite ma di rimarchevole qualità media). Però il disco andava fuori catalogo e fino a una ristampa del 2005 si ritrovava nel limbo dei dimenticati, dei culti fra i culti. Riaffacciandosi alla ribalta, i Cardinal si scoprono assai più in sintonia con lo zeitgeist, anche se un filo meno ispirati della volta prima. Averne in ogni caso di sinfoniette di pop-barock della torpida lucentezza di Carbolic Smoke Ball. Quasi dimenticavo: stroncato dal “New Musical Express”, “Hymns”, ed è sempre una bella medaglia al valore.

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