Keith Richards in 39 dichiarazioni

Cosa sarei diventato se non mi fossi unito ai Rolling Stones? Un fannullone, ma di gran classe! (1964)

Sovversivi? Certo che siamo sovversivi. Ma se qualcuno crede davvero che si possa iniziare una rivoluzione con un disco si sbaglia. Mi piacerebbe poterlo fare. Siamo più sovversivi quando ci esibiamo dal vivo. (1969)

Ho chiesto spesso a Mick perché volesse diventare una stella del cinema. E lui: ‘Vedi, Keith, tu sei un musicista e questa è una cosa di per sé completa, io invece non suono niente”. Gli ho replicato che chiunque balli e canti come lui non ha bisogno di fare nient’altro. Ma non è d’accordo. (1969)

Ci sono alcune persone che sai non arriveranno mai alla vecchiaia. C’era un amico mio e di Brian Jones che si chiamava Tara Browne e morì un tre anni fa. All’epoca, Brian e io eravamo d’accordo sul fatto che lui non sarebbe vissuto ancora per molto. Ricordo che gli dissi: “Tu non vedrai mai i trent’anni, ragazzo”. E lui rispose: “Lo so”. (1969)

Ad Altamont ho pensato più volte che il concerto sarebbe stato interrotto, ma nessuno sembrava intenzionato a prendere atto dell’incredibile violenza che c’era di fronte al palco. Ripensandoci, non è stata una buona idea chiamare gli Hell’s Angels. Ma li avevamo presi su consiglio dei Grateful Dead, che avevano già organizzato spettacoli del genere, e credevamo fossero i più indicati per fare servizio d’ordine. Un’alternativa erano le Pantere Nere, ma non so se sarebbero state meno spietate. (1969)

La droga? Ammetto di essere stato stupido a farmi pescare con le mani nel sacco e a rendere così di pubblico dominio il fatto che ne faccio uso. Ma non mi sento responsabile per quanto qualcun’altro potrebbe fare del suo corpo. (1969)

Trovo un po’ noioso che ci siano persone che provano il bisogno di proiettare i loro desideri di morte su di me. La morte non mi preoccupa affatto. (1974)

Sarebbe ridicolo se registrassi un album da solo. Suonerebbe come un disco degli Stones senza Mick che canta. (1974)

Sto mettendo la testa a posto. Mi sono reso conto che non posso durare in eterno. Cambierò immagine, sai? Finalmente mi farò sistemare i denti. (1974)

Credo che Mick Taylor abbia fatto bene ad andarsene. Ci ha colto di sorpresa quando è successo, è vero, ma avevo sempre avuto la sensazione che volesse andare via e fare qualcos’altro. Non credo sia il tipo di persona che rimane a lungo in un gruppo. Anzi, sono sorpreso che sia rimasto con noi per tutti questi anni. (1975)

Con l’arrivo di Ron Wood è mutato l’apporto delle chitarre nell’economia del suono del gruppo. Con Taylor eravamo una band con una solista e una ritmica, il che è un qualcosa di molto diverso da ciò che si era agli esordi, distante anche nello spirito oltre che sotto il profilo tecnico. Ciò a cui sono interessato è un gruppo in cui le chitarre si scambiano continuamente le parti. Adoro il concetto delle due chitarre che suonano come se fossero una sola. Funzionava così con Brian, funziona così con Ronnie. E non sto dicendo questo per denigrare Mick Taylor, che è un grande chitarrista. È  soltanto che sono convinto che la chitarra sia uno dei pochi strumenti che suonano meglio in coppia che da soli. (1976)

Il massimo della maleducazione? Andare in overdose mentre sei ospite a casa d’altri. (1977)

Quando ho sentito che Presley era morto ne sono stato felice. Mi spiego: ho provato come un gran sollievo. Era diventato una caricatura talmente pietosa di se stesso… Certo, è stato a suo tempo un eroe, un interprete fenomenale, un idolo… Ma non credo che la sua scomparsa abbia emozionato più di tanto quanti amano il rock. (1978)

Sono stato un eroinomane per un sacco di tempo. Non esserlo più mi ha dato una visione del mondo totalmente diversa. Mi sento assai meno sotto pressione che quando avevo perennemente sulle mie tracce nugoli di poliziotti ansiosi di cogliermi in flagrante e guadagnarsi così una promozione, perché se metti dentro uno dei Rolling Stones finisci in prima pagina su tutti i giornali. Se devo proprio dire la verità, non ho mai avuto problemi con la droga, problemi seri intendo, ma ne ho sempre avuti un casino con la polizia. E la sensazione di essere braccato è un qualcosa che nasce come una pietruzza e diventa una frana gigantesca che finisce per seppellirti. È quello che è successo a Brian. (1979)

Bene, ora è uscito il mio singolo da solista, sopra c’è scritto Keith Richards, con la “s”, e la gente si chiede: perché ha cambiato nome? Beh, è questo il mio vero cognome, la “s” me la fece perdere Andrew Loog Oldham per il capriccio di un attimo. “Richard” gli suonava meglio. (1979)

Non è stato Chuck Berry il primo chitarrista elettrico a spingermi a prendere in mano lo strumento, fu il secondo. Il primo fu Scotty Moore, il chitarrista di Elvis. Baby Let’s Play House, I’m Left You’re Right She’s Gone, Mystery Train… non mi stanco mai di riascoltarle… (1979)

La sola ragione per la quale Ron Wood non è entrato negli Stones diversi anni prima è che nessuno di noi voleva mettere in ginocchio i Faces… Ma è sempre stato lampante che era la mia anima gemella. (1979)

Quando Lennon fu assassinato, Mick era distrutto. Non voleva più che si suonasse dal vivo. Ho fatto una fatica terribile a convincerlo che non puoi fare nulla per prevenire cose del genere; se è scritto che succedano, succedono e basta. Non puoi rovinarti l’esistenza vivendo nel terrore. Per quanto mi riguarda, meglio morire su un palco che in una camera di sicurezza. (1982)

Penso che la sola ragione per la quale i Beatles non si sono mai riformati è che avevano paura che si sarebbe creato un anticlimax. Non ho il minimo dubbio che, fosse stato solo per loro, sarebbero tornati a lavorare insieme. A volte la gente prende decisioni drastiche senza averne davvero motivo. Guarda Mick Taylor. Il suo problema non era che non voleva più suonare con gli Stones, è che voleva fare anche altre cose. Ma i Rolling Stones ti danno tempo libero a sufficienza per fare tutto quello che vuoi. E la cosa ridicola è che alla fine da solo non ha combinato quasi nulla. Storia simile, quella dei Beatles. Non avevano bisogno di sciogliersi. Avrebbero potuto prendersi un paio di anni sabbatici, risolvere i loro problemi, togliersi un po’ di sfizi e poi riprendere da dove si erano interrotti. L’avessero fatto, la musica avrebbe avuto tanto da guadagnarci. (1983)

Mai e poi mai, se i Beatles non fossero esistiti, i Rolling Stones avrebbero potuto avere l’impatto che hanno avuto. Furono i primi inglesi a sfondare negli Stati Uniti. Come noi, riportarono al mittente cose che il mittente stesso ignorava di averci spedito in primo luogo. Il pubblico americano bianco, per via della rigida separazione che c’era fra le radio che trasmettavano country e pop e quelle della gente di colore, di musica nera ne sapeva molto meno di noi. Gli vendemmo esattamente quello che si ostinava a ignorare se erano i neri di casa sua a produrlo. (1983)

Eric Burdon ha scritto nella sua biografia che il motivo per cui una generazione di giovani inglesi iniziò a suonare è perché rendeva facile rimorchiare. Sarà stato magari vero per lui, ma non fu quella la ragione per cui nacquero i Rolling Stones. Non ci giravano intorno molte ragazze – e quelle poche non erano tipi da suscitare certi interessi. L’avessimo fatto per le ragazze, avremmo suonato musica pop nel circuito delle sale da ballo. Così sì che rimediavi un mucchio di figa. Ma l’unica cosa che ci interessava era diffondere il verbo del rhythm’n’blues. Ci sentivamo sul serio come dei predicatori. Fu soltanto quando il successo del primo disco ci fece abbandonare il circuito dei club che certi “vantaggi” offerti dalla nostra professione ci divennero chiari. (1983)

Quando sono arrivato in Europa per il tour del 1982 ho concordato un appuntamento con mio padre. Be’, mi sono fatto accompagnare da Ron Wood. Vedi, avevo paura che mi prendesse a sberle. E poi mi trovo davanti un vecchietto. Allora ho capito perché non si andava d’accordo: perché io avevo diciassette anni e lui si faceva il culo tutto il santo giorno solo per fare mangiare noi. Questa è una cosa che non capisci quando sei giovane. Un tipo qualunque che torna a casa alle sette di sera: dov’è la cena? Guarda un po’ di TV e casca addormentato. Questo è tuo padre. E naturalmente non ha molta pazienza per sopportare un teppistello che suona la chitarra elettrica al piano di sopra. (1986)

Quanto sarebbe bella la vita se bastasse rivolgersi al diavolo per ottenere tutto quello che si desidera! “Senti, Satana, dovresti fare di me un virtuoso della chitarra. Spicciati!”. Sfortunatamente non è così. Credi che Robert Johnson nei sei mesi che sparì se ne sia stato a chiacchierare con il demonio? Io penso li abbia trascorsi facendosi un mazzo così sulla chitarra. Poi è tornato e, be’, qualche progresso l’aveva fatto e la gente… “Deve avere stretto un patto col diavolo.” Imparare a suonare bene è sempre frutto di grandi sacrifici. Certo, chi è portato faticherà di meno. È innegabile che ci sia gente per cui suonare è facile e Robert Johnson doveva essere uno di questi individui. È il suo desiderio di essere una star che l’ha ucciso. È forse questo il vero patto con il diavolo. In cambio del talento, ti tocca affrontare i pericoli della vita da artista. Prendi un bravo ragazzino che se la cava bene con la chitarra e immagina che il suo sogno più folle si realizzi: diventa una rockstar. Dopo sei mesi di limousine, donne facili, stimolanti artificiali, sarà bello che fottuto. Il talento non è gratis e lui ne sta pagando il prezzo. (1986)

Per me, agli inizi della carriera dei Rolling Stones, scrivere canzoni era il lavoro di qualcun’altro. Il mio era suonare la chitarra ed era anche l’unica cosa che volessi fare. Non avevo mai pensato che avrei scritto canzoni più di quanto pensassi che sarei diventato un fisico nucleare. Quello che mi fece capire Andrew, ed è una cosa in cui credo assolutamente, è che se sai suonare uno strumento sei anche in grado di scrivere canzoni. (1986)

Scrivere canzoni ti fa essere come un apparecchio radioricevente. Ti metti seduto, alzi un dito in aria e la canzone arriva. Sei come un medium. Credo che le canzoni siano intorno a noi. È solo questione di essere ricettivi e pronti a raccoglierle. Perché per la maggior parte si scrivono da sole una volta che hai qualcosa da cui cominciare. Una volta iniziato è un processo irreversibile, che puoi aiutare e seguire, ma non controllare. (1986)

Satisfaction è stata l’unica volta che mi sono svegliato e avevo qualcosa di pronto in mente. Ed è stato bellissimo, perché quella notte ero stanco morto. Ero in un albergo, con un piccolo registratore nella stanza. Ho iniziato a registrare, ho preso la chitarra, ho suonato quella sequenza una o due volte e poi sul nastro si sente che mollo tutto, e il resto della cassetta sono io che russo. Il mattino seguente l’ho riascoltato. C’erano circa due minuti di musica, due minuti di chitarra acustica con questo riff ancora molto grezzo, e poi io che russo per quaranta. (1986)

Scrivere canzoni? Se vuoi chiamarla arte, okay. Ma per quanto mi riguarda, Art è solo il diminutivo di Arthur. (1986)

Lo sanno tutti che ho passato la maggior parte degli anni ’70 perso nelle mie storie di droga. E durante tutto quel tempo è toccato a Mick tenere in piedi la baracca. Quando ho cominciato la mia lunga ibernazione, i Rolling Stones erano un gruppo rock. Quando mi sono svegliato, erano divenuti una sorta di circo itinerante di città in città per la gioia di grandi e piccini. Ma con che faccia avrei potuto lamentarmene? Dopo tutto, se sul serio mi stava a cuore la linea della band, perché mai mi ero ridotto a essere un tossico abbrutito per qualcosa come quasi dieci anni? Quando ho ripreso coscienza mi sono reso conto che se da un lato era vero che Mick aveva trasformato un gruppo di rock’n’roll in un’orchestra pop dall’altro nondimeno il gruppo esisteva ancora, si era rimasti tutti insieme e si continuava a vendere milioni di dischi. Mick era diventato un personaggio mondano, certo, ma alla fin fine non era mia la colpa di tutto ciò? Ero stato io ad abdicare. La gente ci ha catalogato: Mick, il freddo uomo d’affari; Keith, il gentile ribelle. Ma non è così semplice. Né è giusto. (1986)

Stavamo tutti bene, quando hanno inventato la polizia. Prima te la vedevi direttamente con il tuo prossimo. Non dico che questa oggi sarebbe una soluzione ideale, ma la polizia è un’azienda, no? E come ogni altra azienda, se gli affari non aumentano diminuiscono. Nel business del crimine ci sono solo due tipi di persone: criminali e poliziotti. I poliziotti sono tutti dei bravi ragazzi, ma la faccenda è un po’ scappata di mano, perché la polizia è una corporazione… L’eroina è un problema, non un crimine. Non dico che per l’eroina non si commettano anche dei crimini, ma l’eroina in sé è un tuo problema. Per combatterla hanno voluto colpire me. È stata come una moglie l’eroina, e il divorzio non mi è certo costato poco. Ma niente alimenti, giusto? Ho imparato molto da lei. Molto più che giocando a fare la popstar. E non ho mai consigliato a nessuno di prenderla, non ho mai detto: “Provatela, è una figata”. (1986)

Non credo che si possa affermare che le droghe abbiano mai ispirato o reso più bravo un autore o un musicista, perché nel giro di poco tempo, non importa di quale droga si stia parlando, ti riduci a prenderla semplicemente perché ne hai bisogno. Voglio dire, è così con le droghe pesanti. Poi, se qualcuno vuole farsi un po’ di canne, non c’è niente di male. Ma è una cosa che ho sempre trovato interessante solo per stare ad ascoltare la musica, non per suonarla. (1986)

Perché porto sempre un coltello con me? Per fare la punta alle matite. Che pensavi? (1986)

Charlie Watts è un musicista fantastico. Sarebbe l’ultimo ad ammetterlo, ma io credo lui sia “il” batterista. Esiste una grande differenza tra chi si lancia lungo la pista di decollo e non si leva mai e chi veramente vola. Ringrazio Dio che Charlie sia il mio batterista. O, se preferisci, che io sia il suo chitarrista. (1986)

Se rimaniamo uniti, possiamo continuare e completare quell’avventura cominciata con la beatlesmania e la stonesmania. Mi interessa vedere se siamo in grado di scrivere musica matura… Gli Stones sono gli unici a trovarsi in questa posizione. Sarebbe un vero peccato non cercare di mettere in pratica questa possibilità e vedere se il rock’n’roll può crescere… Quello che non si può fare è ritirarsi nel paese di Peter Pan e cercare di competere con i ventenni. Non avrebbe senso. Anch’io ho avuto vent’anni, e ho mandato a quel paese i vecchi bastardi. È un fatto naturale, guai se i giovani non facessero così… (1986)

Io credo che questa storia, i Rolling Stones, sia durata così a lungo che non ci appartiene più – e certo non è nel diritto di nessuno, nemmeno di Michael Philip Jagger, apporle la parola “Fine”. Sono andato a visitare Sua Altezza e gli ho detto: se io e te fossimo sposati, Mick, si divorzierebbe, ma con gli Stones non è così semplice. Noi siamo condannati l’uno all’altro. Se anche non registrassimo mai più una singola nota insieme saremmo lo stesso costretti a vivere l’uno in funzione dell’altro. È per questo, gli ho detto, che faresti bene a rassegnarti e che dovremmo sforzarci di imparare finalmente a convivere, se no fra quarant’anni saremo sulle nostre sedie a rotelle intenti a correrci dietro, come i due vecchietti del “Muppet Show”. Gliel’ho cantato chiaro: non si lasciano i Rolling Stones, Mick. La situazione è questa e né tu né io possiamo farci nulla. È una storia dove l’insieme è più grande delle parti. (1986)

Chuck Berry è uno dei più brillanti autori di lingua inglese dai tempi di Shakespeare. Come usa la lingua, la precisione con cui sceglie le parole, la facilità con cui le fa fluire… potrei stare per ore semplicemente a sentirlo parlare. Se ne esce fuori con le frasi più stupefacenti. Ma credo non abbia mai composto una canzone da solo, che non abbia mai messo in fila una sequenza di accordi. Ci ha pensato Johnny Johnson, senza mai esserne accreditato. (1988)

Diventammo molto gelosi del rock’n’roll nei tardi anni ’50, quando di punto in bianco Elvis era soldato, Chuck in galera, Buddy Holly morto, Jerry Lee Lewis in disgrazia. Quando Fabian, e Bobby Vee, e tutti gli altri idoli per adolescenti costruiti a tavolino, invasero la scena, parve che il vero rock’n’roll fosse divenuto un genere sottoposto a razionamento. Una sola cosa potevamo fare per rimediare alla situazione: cominciare a suonarcelo da soli. (1988)

Sono pochissimi i dischi dei Rolling Stones in cui Brian Jones ha suonato la chitarra. Era uno strumento del quale non gli fregava niente… Era bravo a lavorare sui dettagli delle canzoni, lui. Molto bravo. Era incredibile come potesse prendere qualsiasi strumento trovasse nello studio – marimbe, campane, tabla, sitar – e usarlo in maniera funzionale al pezzo che si stava incidendo. Detto questo, devo aggiungere che non era quell’individuo così… spirituale che è stato dipinto a posteriori. Era un opportunista e figa e denaro erano le sole cose che desiderava. So che può sembrare brutale, ma la verità sovente lo è: non era per niente una persona piacevole con cui stare. A nessuno di noi piaceva. E più si aveva successo, più lui diventava odioso. Quando morì fu dura spargere qualche lacrima. Il sentimento generale era più “Wow, se n’è andato, grazie a Dio”. Se è vero che nessuno può meritare di andarsene così giovane, non è meno vero che se qualcuno se l’è cercata fu proprio lui. (1988)

Ian Stewart era il motore degli Stones, e il cuore, e l’anima. Con la sua capacità di farci ragionare e se necessario metterci in riga, è stato la colla che ci ha tenuto insieme per tutti questi anni. Perché lui c’è sempre stato. Ricordo la prima volta che andai a provare con gli Stones. Feci tre piani di scale in questo edificio in Wardour Street, a Soho, e entrai in questa stanza. C’era solo lui, era stato il primo ad arrivare, e io il secondo. Indossava un paio di pantaloni di pelle e stava sorvegliando dalla finestra la bici, che nessuno gliela rubasse. Me lo vedo che va a sedersi al piano e fa qualche commento sulle prostitute giù in strada. È così che ricordo la nascita dei Rolling Stones. Le prime parole che mi disse furono queste: “Allora tu sei l’esperto di Chuck Berry, no?”. Ero appena entrato nella stanza e già mi aveva messo spalle al muro. (1988)

Ho una naturale tendenza alla pigrizia. Sono bravissimo a non fare nulla! Passo giornate intere così! Ma con il trascorrere del tempo ho capito che questi periodi in cui mi giro i pollici sono parte del processo creativo. Accumuli energie in attesa che la Musa si rifaccia viva. E quando ricomincia a trasmettere, la tua antenna è pronta alla ricezione. (1992)

Fino a quando ci saremo io e Mick… e Charlie Watts, il gruppo potrà chiamarsi Rolling Stones. Siamo noi tre i componenti irrinunciabili, il nucleo. (1992)

Fonti – “Best”, Roy Carr, Bill Flanagan, “Musician”, “New Musical Express”, “Record”, “Rock & Folk”, “Rockstar”, “Spin”. Traduzione e assemblaggio miei. Pubblicato per la prima volta su “Satisfaction”, n.1, novembre 1994.

21 commenti

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21 risposte a “Keith Richards in 39 dichiarazioni

  1. posilliposonica

    Di queste dichiarazioni di Richards ne leggerei usque ad nauseam.
    Impagabile.

  2. giuliano

    “Diceva di avere tanti progetti, tante idee… Sto ancora aspettando”.
    KR su MT in una intervista di qualche anno fa (cito a memoria).

  3. Anonimo

    Non è che la Tara Brown della quarta dichiarazione sia piuttosto il Tara Browne che fornì ai Beatles l’ispirazione per “a day in the life”?

  4. el murro

    chiedo venia, è saltata la mia firma nel commento di cui sopra: lo (pseudo)anonimato non è mai gradevole.

    • No problem. Sul quesito che poni mi cogli impreparato e, siccome non sono in grado di risalire alla fonte originale, non posso nemmeno andare a controllare il contesto. Direi che è estremamente probabile che abbia ragione tu. Ci penso un attimo e magari correggo. Grazie per la segnalazione.

      • Fabio

        Sì, è proprio lui. Tata Brown, era al centro della Swinging London. Erede della famiglia Guinness, amico di Anita Pallemberg, i Beatles… Brian Jones. Morì con la sua Lotus giovanissimo. Lennon scrisse “gli andò, gli spaccò il cervello, non si era accorto, che la luce era cambiata…”

  5. giuliano

    Sì, davvero una delusione clamorosa.
    Taylor potrebbe essere un appendice di quel volume corposetto dedicato agli artisti che misteriosamente, dopo aver fatto cose strepitose in una band, da soli sono pressoché scomparsi. Ci sono casi davvero incomprensibili: Steve Winwood, John Fogerty…
    Certo Taylor non era songwriter, né leader. Però aveva un background (John Mayall, Rolling etc.), che la gran parte dei chitarristi di questo mondo neanche nei loro sogni più sfrenati…
    Ho l’impressione che Brian Jones avrebbe fatto la stessa fine, non fosse morto così presto. E ho anche l’impressione che KR ce l’abbia avuto parecchio con lui perché lo ha considerato una specie di opportunista: ha guadagnato molti soldi con i RS, pur non essendo forse convinto fino in fondo di ciò che stava facendo. Quando si è stancato li ha mollati. Forse mi sbaglio…

    • Posso forse appoggiarti su Winwood ma su Fogerty la penso molto, molto diversamente: per quanto di certo non regali un “Cosmo’s Factory” la sua discografia da solista offre diversi bei titoli e nulla di indecoroso. A mio giudizio.

      • stefano piredda

        Su Winwood… Nemmeno ARC OF A DIVER?
        Magari oggi come oggi non suona benissimo, ma qualche buona canzone l’aveva. Certo, se uno poi si aspettava JOHN BARLEYCORN…

      • Ti dirò: pochi mesi fa mi sono trovato davanti nell’usato proprio “Arc Of A Diver” e me lo sono portato a casa. Ne avevo un buon ricordo. A primo ascolto mi è sembrato talmente terribile che ho pensato di riportarlo subito indietro. Poi invece l’ho messo da parte, ripromettendomi di fargli fare ancora un paio di passaggi prima di decidere.

    • Fabio

      Veramente fu mollato lui, senza alcun problema.Dopo che Keith Richards gli “soffiò” la fidanzata Brian Jones ebbe il crollo definitivo. In realtà fu lui a fondare il gruppo. A dargli il nome, a trovare i primi ingaggi. Personaggio controverso. Io credo che covassero un rancore. All’inizio era lui a calamitare l’attenzione. Che fosse il leader non c’era alcun dubbio. Poi la storia prese una piega diversa. Alla fine morì pieno di debiti. Dei soldi che gli avevano assicurato fino alla durata del gruppo non si seppe più’ nulla. Bruciarono persino i vestiti. Dalla sua casa sparì quasi tutto. La sua morte resta un mistero.

      • Concordo carissimo Fabio! Hanno fatto di tutto per estromettere Brian, le hanno proprio studiate tutte….E poi come mai Mick e Keith non andarono nemmeno al funerale? E in tutti questi anni non hanno mai detto una parola, un ricordo su Brian? Se si analizza perbene, troppe cose non tornano…
        Ultimamente a proposito della defezione di Bill Wyman nel 93-94, ho letto che anche lì keith se la prese tanto che disse: ” I Rolling Stones si lasciano solo in una scatola di legno”….mah….due più due fa quattro….

  6. Giancarlo Turra

    E ci sarebbe comunque da distinguere caso per caso, siccome tra lo “strumentista di talento” e l'”artista con una visione” c’è molta differenza. A volte, abissale.

  7. giuliano

    sono d’accordo, nulla di indecoroso nella discografia di fogerty, indubbiamente.
    pensavo però alla irripetibile prolificità creativa di quei pochi anni compresi tra il 1968-1971 circa. La differenza con ciò che è venuto dopo mi pare abissale.
    giancarlo: come avevo scritto nel post precedente MT non fa parte indubbiamente della stessa categoria di fogerty o winwood. La sua vicenda li fa venire in mente solo per assonanza.
    Si tratta di una interessante questione psicologica: uno il genio ce l’ha, però riesce a tirarlo fuori solo in un certo contesto sociale, o storico, o personale. Poi tutto finisce, o quasi. Blocco permanente dello scrittore.
    Come per Salinger (ma chissà, magari un giorno troveranno una cassa colma di suoi romanzi inediti, come quella inesauribile che lasciò Pessoa).

    • Giancarlo Turra

      Può capitare, sì. Per esempio, che dici tutto o quasi quel che avevi da dire subito e da lì hai poi tre vie: ripeterti all’infinito, perderti chissà dove oppure sparire. Salinger, scrittore tra i miei preferiti, fece una scelta. E poi c’è chi seguita a farsi ammirare – pur tra alti e bassi: fisiologici, tipici di ognuno – anche a mezzo secolo o più da che ribaltò il mondo.

    • Ghost WRTR

      Il tuo commento ha fatto scattare l’apertura, nella mia mente, di uno dei file più affascinanti della storia del rock: il biennio dei CCR. Prove generali nel ’68 e poi 3 dischi nel ’69 e 2 nel ’70. 5 dischi in 24 mesi, tra cui almeno un paio di milestone lungo il viaggio della musica popolare statunitense. Pausa e commiato, in tono un po’ minore, nel ’72. Tutto così veloce, in qualche modo “urgente”. Che biennio. Ho sempre guardato con la bocca aperta la cronologia della loro epopea…

      • giuliano

        è vero, è una parabola che ha dell’incredibile… non è l’unica nel suo genere nella storia del rock magari, ma, ripeto, ha dell’incredibile

  8. giuliano

    bob dylan, i suppose…

    mi viene in mente anche un’altra vicenda, che mi ha fatto spesso pensare: quella di S. Stills: un inizio di carriera solista davvero eccellente fino ai manassas. Poi, più o meno, il nulla…
    A proposito: del disco di cover dei CSN prodotto da Rick Rubin, annunciato se non sbaglio più volte, è scomparso dai radar, temo definitivamente.

  9. Giancarlo Turra

    Mi riferivo a Dylan, ma pure al Young di “Ragged Glory” e “Weld”, al Reed di “new york” e dintorni, al Cohen di oggi. A Dr. John, anche che ha sfoderato – a mio giudizio – un autentico discone con la recente prova e sarà presenza fissa dei miei top 10 di fine anno, sicuro come l’oro 🙂

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