Undici anni: tanto ci mettevano i Portishead a dare con “Third”, nel 2008, un seguito all’omonimo secondo album e, Kraftwerk eccettuati, si stenta a ricordare altri casi di dischi meditati così a lungo. Dodici giorni: tanto impiegavano i Beak> nel 2009 a eternare il loro debutto, parti suonate rigorosamente in diretta con i tre musicisti contemporaneamente nella stessa stanza e nessuna sovraincisione, con l’intero lavoro di post-produzione concentrato invece (come da lezione di Teo Macero) sul “taglia e cuci”. Passando da un estremo all’altro Geoff Barrow – che è il nome che accomuna i due gruppi – non sbaglia comunque un colpo. Non saremo (non ancora) sugli stellari livelli della scarna discografia in coppia con Beth Gibbons, ma già la prima collaborazione con il bassista Billy Fuller e il tastierista Matt Williams era tutto tranne che il dopolavoro di una star annoiata. Nel caso ve la foste persa: scordatevi i Portishead. Se pure musicalmente ci sono punti in comune – il principale: il gusto per certe aperture inequivocabilmente cinematografiche – fra coloro che sono stati (con Massive Attack e Tricky) i campionissimi del downtempo e i Beak> questi ultimi nell’omonimo esordio si porgevano innanzitutto come uno dei più notevoli tentativi di ricreazione in vitro del krautrock mai posti in essere. A dare un senso, al di là dell’eccellente livello della scrittura, all’operazione provvedevano in ogni caso scarti da quel canone al limite del geniale e ve ne cito giusto uno: il riffone, degno degli Om o dei Sunn O))), che colà irrompe, granitico e bradipico, in Ham Green.
Fermo restando – nell’intitolare “>>” questo secondo album l’omaggio ai Neu! è trasparente – che il rock tedesco dei ’70 rimane per il trio una sorta di stella polare, qui le deviazioni si moltiplicano e le rende particolarmente vistose una voce (il pre-release in mio possesso non mi illumina su chi sia a cantare) che nel predecessore era quasi del tutto assente. Molto – anche esageratamente – Ian Curtis e gelidi venti Joy Division spazzano allora Yatton, Spinning Top (qui qualcosa pure dei Can), Egg Dog e Wulfstan II (laddove però le tastiere fanno venire in mente, rispettivamente, Procol Harum e dei Black Widow in trip doorsiano). Mentre l’iniziale The Gaul ci rammenta che i Boards Of Canada mancano da troppo all’appello e il congedo Kidney ci dà a intendere che se gli Young Marble Giants fossero stati i This Heat si sarebbero chiamati Bauhaus. Proprio al centro di un programma costantemente intrigante i due pezzi più “museali” ma non per questo trascurabili, tutt’altro: Liar riporta in vita le suggestioni Neu! d’antan, Ladies Mile corre su una Autobahn classicamente Kraftwerk.
Ciao Eddy Cilia,
Io mi chiamo Enzo da Roma,
ti vorrei dire due cose:
1) il tuo volume sul ‘Soul Classico’ è semplicemente bellissimo, a quando una seconda parte su quello moderno?
2) invece il volume i 1000 dischi non mi piace, molto meglio quello precedente dei 500 dischi.
Mi scriveresti due righe sulla mia mail?
likearolling.stone@yahoo.it
Grazie, comunque sei un grande!
Enzo Foroni
Roma
Il volume sul soul moderno era programmato ma sembrerebbe che a Giunti non interessi molto pubblicarlo. E a determinate cifre a me non interesserebbe scriverlo. Comunque sì, trovo sia un peccato non averlo fatto.