Ogni dieci anni Bob Mould si reinventa e qualche volta va bene e qualche volta no. Andava alla stragrande nel ’92, quando con qualche mese di ritardo celebrava il decennale dell’uscita del primo album degli Hüsker Dü rispolverandone il sound fragoroso quanto melodioso alla testa di un altro trio, gli Sugar. Consegnando subito alla storia maggiore del rock, con “Copper Blue”, un classico quasi della forza di “Zen Arcade” o “Warehouse: Songs And Stories” e, da molti punti di vista, altrettanto epocale. Andava maluccio nel 2002, quando di “Modulate” risultava assai più apprezzabile il coraggio – tutti a bocca aperta di fronte a un Mould alle prese con l’elettronica – che non la riuscita e, insomma, se non era esattamente la sua versione di “Trans” poco ci mancava. 2012. Fresco di pubblicazione di un’autobiografia scritta a quattro mani con Michael Azerrad e con alle viste un tour i cui spettacoli saranno divisi a metà, la prima occupata da un’esecuzione integrale proprio di “Copper Blue”, il nostro eroe deve confrontarsi con un problema non da poco: potere/dovere sciorinare nella seconda parte almeno una manciata di canzoni nuove all’altezza. Comincia a risolverlo mettendo insieme l’ennesimo trio della sua vita: Jason Narducy nel ruolo che fu già di Greg Norton, Tony Maimone e David Barbe; Jon Wurster in quello recitato in precedenza da Grant Hart, Anton Fier e Malcolm Travis. E sul serio il tre dev’essere per lui un numero magico se ne consegue la sua prova migliore dai tempi per l’appunto degli Sugar. O se no, prendendo in considerazione solo la discografia da solista, da quella coppia di album – “Workbook” e “Black Sheets Of Rain” – che la inaugurò secondo me decisamente meglio di quanto non sia passato nel ricordo comune, nella giurisprudenza. Il loro torto più grande in fondo, e forse l’unico, quello di essersi trovati schiacciati fra Hüsker Dü e Sugar, quando al contrario “Silver Age” si avvantaggia dal confronto con predecessori più recenti sui quali si allungava l’ombra dell’ordinaria amministrazione.
Un, due, tre… riffa! Parte Star Machine e sin dai primi secondi la succinta definizione data del disco dall’artefice medesimo – “trentotto minuti di rock senza fronzoli” – pare calzante. Pare anche, come qualcuno ha già fatto notare, che il Nostro abbia ritirato fuori da scaffali e cassetti qualcuno dei piaceri colpevoli di un’adolescenza pre-Ramones: i Kiss, per dire, e se si possono dire le parolacce. Laddove piaceri colpevoli freschi di consumazione – i Foo Fighters, ecco – paiono balenare fra le strette maglie di una tambureggiante Briefest Moment piuttosto che del power pop di Round The City Square, probabilmente il terzo episodio più istantaneamente seduttivo (su dieci) dopo quello che funge da incipit e soprattutto dopo il jangle rock di una Angels Rearrange a un ideale incrocio fra gli ultimi Hüskers e i R.E.M. di “Monster”. Altri momenti memorabili: una traccia omonima schiacciasassi; il furioso post-punk nei dintorni dei Mission Of Burma di Fugue State; una Keep Believing (contaci, Bob) travolgente. Sei o sette minuti e due pezzi in più, indipendentemente dal valore dei pezzi, della stessa fatta avrebbero probabilmente sciupato un disco cui, se un rimprovero si può muovere, è quello di non avere che un paio di marce: veloce e più veloce. Ma così com’è “Silver Age” rasenta la perfezione. Ti alzi dal desco soddisfatto, non sazio.
Sono stato buon profeta, lo scorso luglio, nelle due pagine di “Classic Rock”. Buono a sapersi, una tantum 😀
Grazie, grazie e ancora grazie all’uomo che mi ha letteralmente salvato la vita (vedasi nickname). Quest’ultimo lavoro rimarrà nel mio lettore molto a lungo.
A proposito, di Workbook fondamentalmente ne ho sempre sentito parlare bene, ma voglio invece sottolineare una cosa: Black Sheets Of Rain disco epocale Maestro, epocale, meritava molto più di quanto ottenuto. Sono 22 anni che cerco un’altra canzone che mi devasti (nel senso più positivo del termine) come Sacrifice/Let There Be Peace. Aspetterò invano anche in futuro.
https://conventionalrecords.wordpress.com/2012/09/11/45-45s-at-45-could-you-be-the-one-husker-du-1987-1945/
Già uno si ritrova a 45 anni ad aspettare l’album nuovo di Bob Mould… Se poi il Venerato si mette a caricare la molla… Chicca del giorno: le due marce veloce e più veloce.
Lo sto ascoltando a piccole dosi, non vorrei cadere nel sentimentalismo o nei pregiudizi (positivi), ma gia so che alla fine ci cadrò sicuramente. Con l’attacco di Star Machine già ci son caduto in effetti.
Per ampliare il discorso, sembra che questa falange indie USA 90 stia sfornando belle cose, i Dinosaur ma soprattutto Lee Ranaldo…
E’ sempre la solita sbobba, trita e ritrita. Per fortuna 🙂