A dire il vero anche qualcosa di più ormai, giacché quello che nella vulgata comune è ritenuto il classico fra i classici dei Cure vedeva la… luce?… nel maggio ’82. Alcune mie considerazioni scritte per “Blow Up” quando si apprestava a diventare maggiorenne.
“Non importa se moriremo tutti”: sono le prime parole che si ascoltano in “Pornography”. “Devo combattere questa malattia, trovare una cura” sono le ultime. È racchiusa fra questi versi, fra la batteria metronomica e la melodia solenne e istantanea di One Hundred Years e la litania scostante del brano che lo intitola l’epopea decadente di quello che fu il quarto e ultimo LP dei Cure. “Ma come!”, direte voi. “Ma se esistono ancora!” (anche se pare che il lavoro che hanno appena licenziato sarà l’ultimo; ma Robert Smith lo racconta da quindici anni e chi gli crede più?). Ma intendendo i Cure come gruppo e non come pseudonimo dietro il quale si cela Smith stesso, facendosi accompagnare da gregari completamente acquiescenti al suo ego e al suo genio, “Pornography” fu il loro ultimo album, allo stesso modo in cui “Forever Changes” fu il congedo dei Love, da lì in poi Arthur Lee più chi passava. Differenze fra le due storie: “Pornography” resta un grande disco ma non è invecchiato benissimo, mentre “Forever Changes” è un capolavoro appieno dentro il suo tempo ma che non diverrà mai vetusto; Robert Smith ha continuato a concepire canzoni e album memorabili pure dopo, Arthur Lee meno. Similitudini: tutto il resto, o quasi.
Come il terzo LP dei Love, il quarto dei Cure fu l’approdo di un viaggio terribile durante il quale i rapporti umani si erano acrimoniosamente disintegrati e l’ombra della follia si era allungata sui naviganti. Ricordate il video di Charlotte Sometimes, il 45 giri che precedette l’album ma che in esso non è compreso? Era ambientato in un manicomio. E cosa dire della disturbante foto sul foglio interno? I volti sono macchie indistinte e gli informi abiti neri che indossano Robert Smith, Simon Gallup e Lol Tolhurst hanno tanto l’aria di camicie di forza. E ai tre in effetti mancava poco alla condizione clinica in cui tali indumenti si rendono necessari. Il primo, stressato dalla contemporanea appartenenza ai Banshees, era preda di alcool, droghe e una pericolosa fascinazione per la malattia mentale. Il secondo, un tempo il migliore amico del primo, non ne sopportava più i deliri megalomani e si rivaleva sul terzo, povero vaso di coccio fra due di metallo. Già forti durante le registrazioni, le tensioni divamparono nel tour successivo, al termine del quale il gruppo non esisteva più.
Un grosso equivoco circonda i Cure sin dai tempi di “Seventeen Seconds”, primo pannello del trittico completato da “Pornography” e che ha al centro lo sfocato “Faith”: che siano (stati) la massima epitome del gotico – o, come si dice in Italia, del dark – in musica. Etichetta assai limitante per una ragione sociale che ha prodotto alcune delle canzoni pop più irresistibili dell’ultimo ventennio e ha avuto bei flirt con la psichedelia. Nondimeno “Pornography” del gotico è una delle pietre miliari. “Phil Spector all’inferno” scrisse David Quantick sul “New Musical Express” sintetizzando esemplarmente, in una recensione peraltro negativa, l’impressione che suscita nel suo insieme. È un muro di suono vischioso e malevolo nel quale si aprono soltanto due finestre dalle quali filtra un po’ di (livida) luce: la già citata One Hundred Years e soprattutto The Hanging Garden, di gran lunga il brano più immediato degli otto in programma: l’attacco di batteria trascinante, il giro di basso nella migliore tradizione Cure, la chitarra sinuosa e orientaleggiante che lo attraversa, il ritornello epidermico, la voce di Smith che una tantum più che disperazione trasmette un’impressione di dandismo deliziosamente affettato ne fanno una canzone indimenticabile. Tuttavia quasi fuori posto in un disco che per il resto vale come claustrofobica esperienza d’assieme, inquieta escursione in criptici labirinti dai quali presto non si sa più come uscire. Smith, per sua e nostra fortuna, trovò una strada (“una cura”). Un secondo “Pornography” non avrebbe potuto che scadere nella parodia, come fece il dark andato dietro a questi Cure e insopportabile. Ma è sempre ingiusto fare ricadere le colpe dei figli sui padri.
Pubblicato per la prima volta su “Blow Up”, n.22, marzo 2000.
“Charlotte Sometimes”…per molti dei fan della prima ora una delle canzoni
piu’ struggenti di Robert Smith.Indimenticabile.Giorni di rossetto e Camus.
E’ la prima recensione / retrospettiva su “Pornography” che leggo che non contiene i termini “monolite” o “monolitico”. Complimenty Eddy.
So bene che il “discorso” è altamente soggettivo e non cadrò nella trappola di “pretendere” di aver ragioni da vendere.La mia visione è soltanto mia, anche se credo Eddy abbia amato i Cure….trovo strano quindi la sua affermazione su Pornography( un disco invecchiato abbastanza male).
Fermo restando le opinioni ( e ragioni)altrui, credo che ( e vale anche per Disintegration e Wish a mio parere) sia il classico disco “senza tempo”.
Lo ascoltavo a vent’anni con una rabbia ed una “disperazione” che ovviamente adesso non ho, ma sottotraccia leggerne i testi ed interpretarli in chiave 2014 sembrano proprio molto poco invecchiati, anzi.Musicalmente, ripeto, parliamo di brani ormai “classici” che a mio parere non invecchiano in quanto capostipiti( insieme ad altri) di atmosfere uniche e non a caso, lo stesso Eddy li segnala come “rei” di aver creato tanti ” piccoli” figli , nel tempo( e la frase che chiude il suo post la dice lunga…) Se esistono i Vanzina, non sarà certo colpa di Billy Wilder e tra loro io so bene chi invecchia o meno nel tempo …
Come avrai letto in calce all’articolo, il pezzo risale a ben quattordici anni fa. Non ho in realtà cambiato idea da allora. “Pornography” resta un grande disco a livello di suoni, ma se è di canzoni che si parla i Cure hanno fatto di meglio sia prima che dopo. E dei suoni di “Pornography”, sfortunatamente per “Pornography”, si è poi appropriata gente con un decimo quando non un centesimo del talento di Robert Smith.
Si la recensione è un po’ datata(avevo notato) e comunque nulla da eccepire in merito.Sottolineo nuovamente quello che in fondo anche tu scrivi, che le colpe dei” figli” non possano ricadere comunque sui “padri”.
Con immutata stima
Paolo
Amo Pornography infinitamente. È un incubo che ha accompagnato la mia adolescenza, ma che non è poi tanto invecchiato neanche dentrome.