Jerry Garcia – L’ultimo viaggio di Captain Trips

Dopo un abbondante anno di VMO potrei ormai dire che conosco i miei polli. O forse no. Ogni tanto i lettori di questo blob riescono ancora a cogliermi in contropiede ed è successo in maniera clamorosa con l’ultima puntata di “Velvet Gallery”, quella dedicata a certi Grateful Dead apocrifi che offrirono splendida prova di sé nei tardi ’80. Al di là dell’acceso dibattito seguito, a sorprendermi è stato il numero dei visitatori della singola pagina. E chi l’avrebbe mai detto che in Italia, dove  fra l’altro non suonò mai, il Morto Riconoscente fosse ancora così popolare?

Da più parti mi è stato chiesto se dei Grateful Dead originali mi sia mai capitato di scrivere estesamente, o se avessi piani futuri in tal senso, e già ho risposto. Nel frattempo mi è però venuto in mente che qualche parola per costoro, o per meglio dire per colui che più che il leader ne era l’anima stessa, ebbi purtroppo a spenderla, nella più triste delle circostanze. Sul numero 1 di “Magic Fuzz”, fanza durata pochissimo immaginata da quel simpatico svalvolato di John Vignola, toccava a me ricordare Jerry Garcia a poche settimane dalla prematura scomparsa.

Jerry Garcia

Non capita spesso – anzi: non era mai capitato – che un presidente degli Stati Uniti avvertisse la necessità di esprimere il cordoglio della nazione per la scomparsa di un musicista rock. Né era mai accaduto che il sindaco della città dell’artista in questione, San Francisco, facesse esporre le bandiere a mezz’asta in segno di lutto e la CNN per diversi giorni dedicasse una parte dei suoi notiziari a testimonianze sul caro estinto e servizi sullo stato d’animo dei suoi fans. Ma Jerry Garcia, morto per un infarto lo scorso 9 agosto all’età di cinquantatré anni, non era un musicista qualunque e, nello stesso tempo, era molto più che semplicemente un musicista.

Per qualcosa come trent’anni il suo gruppo, i Grateful Dead, ha attraversato in lungo e in largo gli Stati Uniti (e probabilmente non li attraverserà mai più) raccogliendo folle oceaniche, senza nessuna pubblicità e di norma senza un album nuovo da promuovere (la produzione discografica dei Nostri si era fatta assai parca negli scorsi tre lustri: l’ultimo loro LP in studio risale addirittura all’ottantotto). Folle che con il trascorrere del tempo si erano fatte incredibilmente composite: ne facevano parte vecchi e nuovi hippie così come affermati professionisti, vi si incontrava dall’erborista all’insegnante passando per il fanatico di computer e la commessa del supermercato, e quanto all’età si andava oramai dai dodici ai sessant’anni. Folle formate per buona parte da fedelissimi: il fan genuino, il vero Deadhead, vedeva sempre più di un concerto nell’ambito di un tour e non erano pochi quelli che seguivano il gruppo per intere settimane, da una città all’altra. A unire questa umanità variegatissima, oltre ovviamente all’amore per la musica del Morto Riconoscente, l’eredità migliore della controcultura degli anni ’60: le battaglie ecologiste e le sperimentazioni con le sostanze psicoattive, un rapporto equilibrato con la propria sessualità e il rifiuto delle religioni rivelate, delle gerarchie e di ogni pregiudizio politico, religioso, sessuale, razziale.

Al centro di tutto ciò, una rock band che un quarto di secolo prima dei Pearl Jam creò una propria agenzia per combattere le tendenze monopolistiche nell’organizzazione dei concerti; che un mucchio di tempo prima di “Live Aid” cominciò a devolvere una parte dei suoi guadagni a organizzazioni di volontariato; che fregandosene dei lai scagliati al cielo dall’industria ha sempre incoraggiato i cultori a registrare i concerti (giungendo al punto di creare ovunque suonasse aree apposite dedicate a questa attività) e a fare poi circolare i nastri senza lucrarci sopra.

E al centro di questa band c’era Jerry Garcia, un uomo dolcissimo di quelli, davvero rari, che attraversano la vita sorridendo, che l’unione di modestia, attitudine positiva e carisma rende guide spirituali, tanto più naturali perché inconsapevoli. Parole di Bob Dylan: “Per me non era soltanto un grande musicista e un amico, era un fratello maggiore. Mi ha insegnato più cose di quante non si sia mai reso conto. Nulla può lenire o compensare una simile perdita”.

Era entrato a tal punto nell’immaginario americano, Jerry Garcia, che un gelato era stato battezzato con il suo nome.

Certo: è stato anche un grande chitarrista e un compositore superbo. E il capitolo che i Grateful Dead hanno scritto nel Grande Romanzo della musica popolare di questo secolo è fra più avvincenti. Cosmica e insieme terrena, la loro: con radici saldamente affondate nel blues e nel country ma sempre pronta a librarsi verso empirei psichedelici, dalle strutture solide ma nel contempo mobilissime, così da lasciare spazi, allargabili a piacere, in cui far correre l’immaginazione – solo Hendrix, in ambito rock, ha avuto un approccio all’improvvisazione così prossimo al jazz. Non meno di quattro album in studio dei Nostri – “Anthem Of The Sun”, “Aoxomoxoa”, “Workingman’s Dead” e “American Beauty” – meritano di essere chiamati Capolavori e l’elenco dei loro live memorabili – a partire dal colossale “Live Dead” – è ancora più lungo.

Ma a me pare che l’importanza dei Grateful Dead, e di Garcia, trascenda la musica. Rappresentavano l’utopia di un mondo migliore e se è vero che tanti dei sogni degli anni ’60 si sono rivelati illusioni o trasformati in incubi è non meno vero che alcuni dei fiori sbocciati allora si sono poi fatti frutti.

Appena la notizia del triste evento si è diffusa, su Internet si è abbattuto un diluvio senza precedenti di messaggi dei fans: pochi esprimevano dolore, disperazione; i più celebravano la vita, le idee, le opere dell’artista e dell’uomo. Gente che ha capito e ha cominciato da subito a dimostrare che Jerry Garcia è morto, ma è vivo.

Pubblicato per la prima volta su “Magic Fuzz”, n.1, autunno 1995.

27 commenti

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27 risposte a “Jerry Garcia – L’ultimo viaggio di Captain Trips

  1. Giacomo

    Proprio stamattina stavo pensando alla morte di Jerry Garcia. Poi ho acceso il computer ed eccolo qua il tuo splendido ricordo. Che coincidenza, con la ricorrenza così distante! Beh, grazie!

  2. Chango

    Interessantissimo l’articolo di Velvet e lodevole questo.
    Solo un appunto “il Morto Riconoscente” non se po popo legge…..:)

  3. CliffSteele

    Complimenti Eddy, molto toccante. Non mi ero nemmeno accorto che fosse un personaggio così amato (perdono !!!!!)

  4. posilliposonica

    Chi fu l’orgoglioso sponsor della nazionale di basket dell’appena nata (e senza soldi) Lituania alle Olimpiadi di Barcellona ’92 ? I Grateful Dead.
    La Lituania vinse la medaglia di bronzo.

    • Sul serio? Giurin giurella?

      • Francesco

        Confermo, pagarono le magliette alla lituania perchè questi non avevano i soldi e la maglietta era vagamente tye die. comunque di stramberie la loro storia è piena, primi a suonare in egitto nel 78 durante un’eclissi alle piramidi. Il concerto, chiaramente una mezza ciofeca. A woodstock fecero abbastanza pietà e ci mancò poco che rimanessero fulminati, etc etc.
        ” a me pare che l’importanza dei Grateful Dead, e di Garcia, trascenda la musica” ecco, qui sta tutto il sunto della faccenda. i GD sono uno spirito, un modo di vivere più che uno stile musicale.
        ciao
        PS VM, non sperare di essertela cavata solo con questo articolo!

  5. Carlo Bordone

    adesso però devi pubblicare anche quello, sempre su Magic Fuzz, che avevi scritto sui Fugs, che se ricordo bene iniziava con un omaggio a un altro che se ne era appena andato, Viv Stanshall. e poi c’era quello su Captain Beefheart, la “cinquina del panettiere” o qualcosa del genere….

    • Captain Beefheart resterà in frigo ancora per un bel po’, visto che è già stato oggetto di due post. Fugs – recuperati anche loro, e di recente, da un “Mucchio” giurassico – un po’ meno. Saranno al contrario sghiacciati a breve, da “Magic Fuzz”, un Ash Ra Tempel e un Amon Düül II. A memoria, il secondo potrebbe essere un inedito assoluto, visto che lo scrissi per un numero 3 che mi pare non uscì mai. Bisognerebbe interrogare al riguardo l’amico John.

  6. Carlo Bordone

    vuoi la scannerizzazione :-))?

    • A sballare i conteggi è il fatto che uscì un numero zero. Il mio pezzo sui Fugs è lì sopra. I miei archivi su PC mi dicono poi Captain Beefheart e Jerry Garcia sul numero 1, Ash Ra Tempel e John Kennedy sul 2, Amon Düül II sul 3. Mi fa piacere di non essere stato l’unico “paccato” dall’amico John…

      • Carlo Bordone

        hai ragione, sono andato a controllare. il numero zero mi ha fregato. però proprio sul numero zero c’era già un articolo, non tuo, sugli amon duul…mah, misteri del mondo quadridimensionale vignoliano…

  7. Carlo Bordone

    aspetta. no, amon duul non me lo ricordo, ma ash ra tempel sì, proprio sul n.3. il numero che non è mai uscito è il 4, su cui tra l’altro avrebbe dovuto esserci un mio articolo…

  8. posilliposonica

    ” Come un viaggio con l’LSD andato male,pero’ bene.Rimbaud’n’roll”.
    (Eddy Cilia a proposito di Schwingungen degli Ash Ra Tempel)

    E Il “Cazzo Degli Dei” sia con voi.Andate in pace.

    • el murro

      ehm, “di Dio” (genitivo singolare) 😉

      • posilliposonica

        Nella mia mente mi e’ sempre parso piu’ divertente tradurlo al plurale,al singolare mi suona non blasfemo ma un poco scontato.Scrivendolo
        dovevo pensare che sarebbe stato visto come un errore di traduzione.
        Giustamente.
        p.s. sono orgoglioso possessore di una t-shirt con la copertina dell’album
        e relativo titolo in evidenza.

  9. el murro

    al plurale puoi pure vederlo come una parafrasi dei Led Zep, al limite
    (e complimenti per la t-shirt ;-))

  10. albertogallo

    Non avevo mai sentito parlare di “Magic Fuzz”… Ero ancora troppo piccolo all’epoca, mi sa, per questo tipo di approccio alla musica. Ma la cosa che più mi ha stupito di questo articolo è – ti sembrerà strano – l’ultimo paragrafo: “Appena la notizia del triste evento si è diffusa, su Internet si è abbattuto un diluvio senza precedenti di messaggi dei fan”. Nel 1995. Pensavo che all’epoca non usasse ancora questo genere di cose su Internet, e soprattutto pensavo che fossero ancora pochissimi a utilizzarlo, se non a livello professionale. Io ho cominciato nel 1997-98, credo, e solo per vedere le foto di donnine senza reggipoppe (facevo ancora le medie, eh! O forse il ginnasio) o al limite per cercare i testi di alcune canzoni in inglese. Curioso.
    Ciao!
    Alberto

    • Francesco

      nel 95 per me internet era già consolidato e facevo anche parecchio tape trading, la reazione fu immensa, ricordo i messaggi di vicendevole condoglainze con amici americani. gran brutto giorno, ma il buon Jerry artisticamente era già cotto da almeno 4-5 anni, pure dal vivo. Lo dico con sommo dispiacere, ma chiunque abbia visto il bel live dei traffic, traffic jam del 94 sa cosa dico, Jerry sale sul palco con i traffic e il paragone con Winwood sia a livello fisico che strumentale è devastante. Per me uno strazio, visto l’amore che ho sempre avuto per jerry&co
      ciao.

    • Noi fan dei Dead eravamo un sacco avanti. 😉 Io uso il pc per scrivere dal ’91. Non ricordo esattamente quando iniziai a girare su Internet, ma direi un tre anni dopo. Massimo quattro.

      • Francesco

        E’ vero, io diedi la tesi su un mac e i dead/fans dei dead sono “responsabili” anche delle prime web communities oltre che di un modo di diffondere la musica assolutamente innovativo, hanno anticipato la gestione dei database dei fan sin dal doppio skullfuck del 71 (dead freaks unite, per intenderci), comunicazione e prenotazione biglietti etc etc. Insomma un universo di marketing talmente avanti che ora è regolarmnete studiato tra le best practicies nelle università. E pensare che la gente li pensa solo come una manica di scoppiati (il che è anche vero, ma non li esaurisce affatto) mentre steve jobs li usava come colonna sonora per il suo ipad (o ipod, non ricordo) e metà della microsoft era fissa ai concerti a dimostrazione che non di soli scoppiati era fatto il pubblico. negli Usa ho conosciuto deadheads da tutte le parti e devo dire che non appena ci si fiuta cambia la marcia, proprio perché era una comunità oltre la semplice musica.
        ciao
        ps ma ‘sta magic fuzz da dove è uscita fuori? mai vista, eppure al’epoca ero sicuramente più attento e ricettivo di ora, dove non ho neppure più il tempo di ascoltarmi in santa pace un bel quadruplo degli amati Dead (che in casa sono banditi, 4-1 e non c’è partita)

      • La distribuzione di “Magic Fuzz” era a dir poco clandestina. Non ricordo se nei soliti e – ahem – ben selezionati negozi di dischi o addirittura solo per posta.

  11. giuliano

    Giusto, non vennero mai in Italia: e mi son sempre chiesto, per quanto riguarda gli anni ’70, la cosa avesse a che fare con l’isolamento progressivo che subì il paese in fatto di concerti a causa dei ripetuti disordini. Vennero in Europa nel’72 e l’anno prima i Led Zeppelin erano dovuti scappare dal Vigorelli.
    A Roma circolano ancora i racconti (e non si sa dove finisce la cronaca e dove comincia il mito) dei concerti, tra gli altri, di Lou Reed e Santana, che finirono a lanci di lacrimogeni e molotov.

  12. Gian Luigi Bona

    Eddy, mi consigli un paio di live dei Grateful Dead oltre a Live/Dead ?

    • Per dirti della impossibilità o poco meno di dare una risposta sensata a una domanda in apparenza tanto semplice ti copia-incollo l’inizio della scheda di “Live/Dead” da me scritta per il volume Giunti dei “1000 dischi fondamentali”.
      Trentasei tomi (quasi tutti doppi, tripli, quadrupli, uno addirittura sestuplo): a tale strabiliante numero è giunta la collana dei DICK’S PICKS, prima pubblicazione datata 1993 e dunque di due anni anteriore allo scioglimento, a seguito della scomparsa di Jerry Garcia, della band, ultime due del 2005. Era tale il successo fra i cultori del Morto Riconoscente di questa infinita sequela di registrazioni live che nemmeno la prematura dipartita nel ’99 dell’archivista che l’aveva ideata (Dick Latvala) arrestava il flusso delle uscite. Qualche altro numero? Il primo ROAD TRIPS vedeva la luce nel 2007 e nel momento in cui questo libro va in stampa siamo al VOLUME 4 NUMBER 4, per un totale di trentasei CD. La DIGITAL DOWNLOAD SERIES si è fermata finora a quattordici pubblicazioni, gli ulteriori live retrospettivi facenti parte di collane meno corpose o editi singolarmente sono, a oggi, una quarantina e all’incredibile lista vanno ancora aggiunti, naturalmente, i nove album dal vivo che fanno parte della discografia per così dire classica di Garcia e soci. Il primo dei quali era questo LIVE/DEAD. Difficile affermare con piena cognizione di causa (giacché ascoltare dischi dal vivo dei Grateful Dead è in tutta evidenza un lavoro a tempo pieno) se artisticamente sia rimasto insuperato, per certo ne risulta inavvicinabile la rilevanza storica, sia nella parabola creativa del gruppo californiano che, più in generale, nell’epopea della psichedelia maggiore.

      • Gian Luigi Bona

        Nel negozio che io frequento (Paper Moon a Biella) ci sono decine di Dick’s Picks e un tot di Road Trips. È inquietante.

  13. pbergdh

    Ciao, molto in ritardo mi aggiungo al cospicuo gruppo di “fans” del morto. In quei giorni tristi ho raccolto molto commenti apparsi sui vari quotidiani e periodici. Cose obbrobriose, altre piene di amore, altre specchio dell’ignoranza, molte “copia e incolla”…..mi farò una stampa di questo articolo e me lo archivirò con cura…finalmente uno dei pochi scritti che trasudano passione e buon gusto. Saluti da uno che ha i Dead nel proprio DNA da almeno quarant’anni 😁

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