(Avvertenza – In questo chilometrico post si spiegano infine dettagliatamente, per quanto è possibile senza uccidere di noia il lettore, le ragioni del mio divorzio dalla rivista “Il Mucchio”. Chi non mi seguiva anche su quelle colonne, chi frequenta VMO solo perché interessato a leggere di musica può serenamente impegnare altrimenti i cinque o dieci minuti che ha la gentilezza di dedicarmi quotidianamente.)
Esattamente un anno fa a oggi ho lasciato “Il Mucchio”. “Ma non te ne eri andato all’inizio dello scorso dicembre?”, si chiederà perplesso chi ha seguito qui – o sulla mia pagina Facebook, o sul forum della rivista suddetta – il dibattito successivo all’annuncio, nell’editoriale di Daniela Federico del numero di gennaio, dell’interruzione di una collaborazione complessivamente quasi ventennale. “Ma non te ne sei andato dopo la mancata pubblicazione di una recensione che ti era stato chiesto di modificare?” Be’, la storia è un po’ più complicata di così. Nessuno lascia un giornale nel quale ha trascorso due terzi o all’incirca della sua vita di adulto per un unico scontro, per quanto aspro e grave possa essere stato. Non ci fosse altro, uno per certo non abbozzerebbe – se la sua schiena è dritta; se una schiena ce l’ha – ma, dopo, cercherebbe di ricomporre. C’era evidentemente dell’altro. Tantissimo d’altro.
Un anno fa mi sono dimesso, dicevo. Nella mattinata del 23 gennaio 2012 avvisavo con una mail di quanto stava per accadere i miei compagni di redazione e sventure – persone stimabilissime professionalmente e umanamente che saluto e abbraccio una ad una: Alessandro Besselva Averame, Aurelio Pasini, Carlo Bordone, Damir Ivic, Elena Raugei, Luca Castelli – e poi anticipavo ai capiservizio, su loro richiesta, la lettera di dimissioni che mi accingevo a inviare alla direttrice (nonché editrice e amministratrice: la grande anomalia che è questa rivista si nota anche da certi dettagli) Daniela Federico. Lo facevo perché mi sembrava giusto cercare di limitare i danni collaterali per Federico Guglielmi e John Vignola. Mi sembrava giusto ed ero disponibile a discuterla con loro, la lettera, ed eventualmente a cambiarla in qualche punto, ammorbidendola. Mi sembrava giusto, ma si è rivelato un errore. Un dispiaciuto ma non sorpreso (lo psicodramma collettivo andava avanti da quasi due mesi) Vignola si limitava a prendere atto. Guglielmi mi strappava un rinvio. Ventiquattro ore. Il massimo che potevo concedergli, visto che la sera dopo la Federico sarebbe stata a Torino e di incontrarla, con il rischio di una piazzata in pubblico, non avevo alcuna voglia. Ventiquattro ore. Il secondo e capitale errore. Perché avevo allora tutto il tempo per riflettere che le mie dimissioni rischiavano, arrivando nel momento più drammatico della sua storia, di dare il colpo di grazia a un giornale che non è mai stato un semplice giornale di musica come tanti. Andandomene proprio in quel momento avrei deluso troppa gente, dentro “Il Mucchio” ma soprattutto fuori. I lettori, che diamine. I lettori. Non avrebbero capito e avrei capito il loro non capire. Mi avrebbero visto come un traditore, come un killer magari prezzolato da Max Stefani. Non potevo sopportarlo. E persino quasi peggio era il pensiero che, oggettivamente, a Stefani avrei fatto in effetti un favore. Così quando la mattina seguente Guglielmi, prevedibilmente, mi chiedeva di soprassedere, di fare passare qualche mese ancora, non opponevo troppa resistenza. Mi limitavo a scrivergli due righe a futura memoria: “Non ci sarà nessuno sviluppo positivo, mai. Lo sa John, lo sai tu, lo sapete tutti. E nessuno ha il coraggio di fare le due uniche cose possibili: dimettersi, oppure andare a uno scontro finale. Tertium non datur, a meno che tertium non voglia dire continuare a vivere di quotidiane umiliazioni per poi probabilmente arrivare comunque a un’ingloriosa fine”. E altro, che qui non riporto perché sono affari nostri.
Quella lettera di dimissioni allora non l’ho spedita. La sera del 24 gennaio mi toccava la cena aziendale, con Daniela Federico e Beatrice Mele. La sera del 25 la dividevo, come diverse altre centinaia di persone, fra il Blah Blah e lo Spazio 211, fra il reading di uno straordinario Maurizio Blatto (uno che per inciso scrive per una testata concorrente: tanto per dire quanto in giro si voglia bene al “Mucchio”) e un concerto con sul palco decine di musicisti, tutti lì gratuitamente per raccogliere fondi per un giornale a un passo dalla chiusura, e in consolle Max Casacci (uno che da Stefani era stato diffamato a più riprese: tanto per ridire quanto in giro… eccetera). La sera del 25 gennaio 2012 sono stato, con Torino, “nel Mucchio”. Sfortunatamente mi è poi toccato passarci il resto dell’anno. Ma è una storia lunga, vi dicevo.
Ho pubblicato il mio primo articolo su quello che era allora “Il Mucchio Selvaggio” nel febbraio 1983. Quelli che ero convintissimo che sarebbero stati gli ultimi nel settembre 1988. Mai mi sarei aspettato di tornare, per così dire, alla base e invece è proprio quanto accadde nel novembre 1999. Ho insomma dedicato a questo giornale una parte molto importante – e in certi momenti esclusiva – della mia vicenda professionale: diciotto anni e sette mesi in tutto, periodo che allo scorso 3 dicembre faceva di me – e di gran lunga – il veterano della compagnia dopo l’inarrivabile Federico Guglielmi. Mi pento di avere dato tutto questo tempo al “Mucchio”? No, per due ragioni. Una è che ho avuto negli anni la possibilità di conoscere eccellenti professionisti e spesso persone meravigliose, fra i colleghi. La seconda è che la militanza – perché per altri giornali, scoprii presto, si scrive ma in uno soltanto si milita – nel “Mucchio” mi ha messo in contatto con i lettori più incredibilmente appassionati che mai rivista specializzata abbia avuto in Italia. Quella stessa gente che un anno fa si è mobilitata con slancio commovente – sottoscrivendo abbonamenti, acquistando arretrati e magliette, offrendo spazi radiofonici, organizzando eventi pubblici – per fare sì che il giornale continuasse a esistere. Ecco: io ho sempre scritto per quella gente. Non per un direttore che mensilmente – in editoriali, rubriche, articoli e risposte a lettere che si era scritto da solo -insultava i suoi collaboratori, non per un editore che faceva un uso sciagurato e a dir poco discutibile eticamente di soldi oltretutto pubblici. Per quella gente ho sopportato.
Il 20 aprile 2011 proprietà (non è proprio esatto, trattandosi formalmente di cooperativa; ma è per intendersi) e direzione del giornale (l’amministrazione no, quella era già l’attuale e da sempre) cambiavano. Non mi facevo illusioni al riguardo. Mai creduto che si trattasse dell’alba di una nuova, radiosa era di vino e rose. Tuttavia dal non farsi illusioni all’avere una delusione dopo l’altra (la prima vedere autonominarsi direttrice una persona che non ha scritto un articolo di argomento musicale in tutta la sua vita; la seconda vedere promossa a caporedattrice una persona con un curriculum di due righe in luogo di un’altra indiscutibilmente, incommensurabilmente più qualificata per quel ruolo, o meglio ancora per quello di direttore) ne corre. Si stava meglio quando si stava peggio? A parte che il giornale si è nel frattempo emendato da taluni difetti detestabili, azzarderei di sì. Perché Stefani almeno nel suo “io so io e voi nun siete n’cazzo” era esplicito. Non cercava un “dialogo” che, nel momento in cui in realtà il contraddittorio non lo si accetta (e chiunque osi alzare la manina per dire che qualcosa non gli sta bene diventa uno “che rema contro”), non è che una presa in giro. Mai pensato che la democrazia sia il migliore dei sistemi per condurre un giornale. Può essere il più nefasto. Nondimeno l’uomo solo al comando e i sacrifici insieme non si tengono. Mi si può benissimo dire (possibilmente non dopo avermi fatto una domanda ed essersi irritati perché la mia risposta non era quella attesa) che devo stare al mio posto, che è diritto del direttore – che in questo caso, ricordo di nuovo, è pure editore e amministratore – decidere come meglio crede. Perfetto. Nulla da eccepire. Però allora non fare il democratico. Però allora pagami: non per gratitudine, perché ti ho dato un’enorme mano a tirarti fuori dalla merda in cui stavi, ma semplicemente perché ho fatto il mio lavoro, l’ho fatto bene, l’ho fatto nei tempi dati. E se ti credi di essere Mondadori allora sii Mondadori a tempo pieno e non lanciare appelli ai lettori come se fossi “Il Manifesto” o Radio Popolare. Ci vorrebbe un po’ di coerenza. Di decenza. Un minimo.
Nei primi mesi del 2012 sono stati i lettori a salvare “Il Mucchio”. Nel resto dell’anno l’insipienza di chi ne ha preso il timone lo ha riportato nel pieno di una tempesta se possibile peggiore della precedente. Ed è pazzesco che si ritrovi in una simile situazione una casa editrice che negli anni ha ricevuto in grazioso dono dallo stato svariati milioni di euro. Svariati.
Ma diamo i numeri?
516.456,90
517.000
451.360,50
451.179,96
423.160,82
422.221,73
364.552,76
Questi – per i soli sette anni (compresi fra il 2003 e il 2010) dei quali il sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri conserva traccia: la documentazione la trovate qui – sono i denari che ha ricevuto ultimamente Stemax dallo stato italiano come contributi all’editoria. Cifre ragguardevoli, per quanto costantemente calanti (e in tal senso il 2012 ha lasciato sul campo più morti che feriti), e tanto di più lo erano (oltretutto integrate da un bel 10% di credito di imposta acquisto carta) negli anni precedenti. Come potrà constatare, pur nelle pieghe di conti piuttosto fumosi al riguardo, chi avrà la pazienza di andare a cercarsi i bilanci pubblicati annualmente, come da obblighi di legge, sul giornale stesso. Non è questo il luogo per aprire un dibattito sui fondi all’editoria, che sono sempre stati un modo anomalo per mettere una toppa a una situazione anomala come quella italiana, nella quale la raccolta pubblicitaria va immancabilmente (come in nessun altro paese civile al mondo succede) a privilegiare determinati soggetti e anzi e nello specifico un soggetto. A quanti – non per partito preso o pregiudizio ideologico – sostengono che il rattoppo è peggio del buco fino a non molto tempo fa avrei detto che sbagliavano. Oggi non lo direi più. Credo che si partisse da un principio pure giusto, ma che una legge mal formulata e l’assenza per lunghissimo tempo di qualsivoglia controllo abbiano prodotto abusi scandalosi. Nella sua per certi versi imperdibile autobiografia, Wild Thing, Max Stefani è ineffabilmente candido al riguardo. Copio e incollo, e mi perdonerà se per una volta mi cimento in una specialità della quale è notoriamente un campionissimo, da pagina 209.
“…avevo saputo da Aurelia Spezzano che c’era la possibilità concreta di ottenere dei finanziamenti da parte dello Stato costituendo una “cooperativa di giornalisti”. Addirittura il 50% del fatturato?!? A me (che non sapevo neanche cosa fosse lo scoperto in banca) parve una favola. Feci quindi una nuova società sotto forma cooperativa che editò il giornale, affittandolo dalla Lakota. La chiamai “Stemax”… …quasi tutte le Cooperative di questo genere (con forse l’unica eccezione del “Manifesto”) sono in effetti delle SRL truccate. Ci sono uno o due proprietari e sette amici o famigliari che non contano niente ma servono solo a fare numero. Vero è che le Cooperative non possono rendere utili ma ognuno può pagarsi lo stipendio che vuole e per pagare meno tasse possibili si caricano sull’azienda auto di lusso, case e ogni genere di benefit, compreso varie assicurazioni. La prima cosa da fare è comprarsi un ufficio e darlo in affitto (ovviamente solo sulla carta) alla Cooperativa: praticamente la Cooperativa paga il mutuo e dopo tot anni ti ritrovi casa gratis.”
Ecco. Credo abbiate capito il meccanismo. Molto più avanti, nel pieno dell’epico racconto della sua cacciata dal giornale, Stefani incautamente farà l’elenco (pagina 301) di quelli che erano i soci al momento della sua defenestrazione. Su nove nomi, uno era addirittura ignoto a Stefani stesso e i giornalisti (e spero che l’Ordine non mi espella per avere contato Stefani come tale, ma il tesserino ce l’ha) erano ben quattro. Quattro giornalisti, o comunque quattro persone che a Stemax in qualche modo lavoravano, e cinque prestanome. “Il Mucchio” dal 1996 al 2012 ha preso soldi dallo stato in quanto periodico edito da una cooperativa di giornalisti. Peccato che, nei più volte mutati elenchi dei soci, di giornalisti che in effetti scrivevano per “Il Mucchio” si stenti a trovarne. Io non sono mai stato socio di Stemax. Federico Guglielmi non è mai stato socio di Stemax. John Vignola non è mai stato socio di Stemax. Con l’eccezione di Massimo Del Papa, nessuna delle firme di primo piano del “Mucchio” è mai stata socia della cosiddetta “cooperativa di giornalisti” Stemax. Che ciò nonostante (con ogni evidenza le verifiche a tal riguardo sono sempre state per così dire lacunose) ha ricevuto dallo stato, per gli anni di cui sopra, i contributi previsti per le cooperative di giornalisti. Ne avesse fatto buon uso, almeno!
Pur essendo a conoscenza – più o meno e avendo appreso i dettagli più sconcertanti per un bel pezzo poco per volta e per il maggioritario resto in un colpo solo: avevo qualche ottima ragione per essere fuori di me lo scorso gennaio – di come siano andate in effetti le cose, stento a capacitarmi di come abbia potuto un giornale che godeva di simili aiutini, e che qualche copia la vendeva (in alcuni momenti – oggi incluso – poche, in altri un numero niente affatto disprezzabile), ridursi alle disperate condizioni odierne. Dividerei il discorso in due parti. Innanzitutto ci sono state scelte editoriali folli: il settimanale non sarebbe mai dovuto nascere e, a ucciderlo una volta nato, se non in culla dopo due o massimo tre anni, la Stemax non si sarebbe caricata della zavorra di debiti che ora, a ben nove di anni dal ritorno alla cadenza mensile, la sta trascinando a fondo. Il settimanale è stato un buco nero nel quale sono sparite cifre insensate, un’avventura che Stefani (lo ammette lui stesso di non essere mai stato capace a fare i conti) si è ostinato a portare avanti parecchio oltre la data (2000? facciamo anche 2001 ma certo non 2004) in cui il disastro era andato assumendo proporzioni che si riveleranno ingestibili, inemendabili. E questa è la prima parte: si parla di politiche sbagliate perseguite oltre ogni limite di buon senso. La seconda metà della storia racconta che, mentre progressivamente gli incolpevoli e inconsapevoli collaboratori pagavano dazio vedendo dilatarsi a dismisura i saldi di compensi oltrettutto mai adeguati nemmeno simbolicamente al costo della vita, c’era chi – invece di, ad esempio, provare a investire in innovamento mettendo così fuori gioco quella concorrenza che non poteva permetterselo – si concedeva stipendi sontuosi e, per l’appunto, “ogni genere di benefit”: dalla macchina aziendale al pieno di benzina (sempre Stefani dixit, eh?) e persino all’abbonamento alla pay tv. Mentre c’era chi doveva ricorrere a prestiti perché messo in ginocchio dal ritardo dei pagamenti (ad esempio chi sta scrivendo queste righe: l’ultimo finirò di rimborsarlo il prossimo agosto), altri vivevano un filino più agiatamente. Magari integrando i miseri introiti – visto che c’erano – appropriandosi dei diritti d’autore (ventimila euro, lo sbandiera sempre la stessa personcina ma questo già lo sapevo, grazie) per un libro del quale non avevano scritto praticamente una riga.
Voglio essere molto chiaro al riguardo: se “Il Mucchio” dovesse morire nei prossimi mesi (il “se” al momento attuale è caritatevole) le responsabilità saranno di Max Stefani e di Daniela Federico, ma in una percentuale enormemente sbilanciata verso il primo. 80 contro 20, 90 contro 10, 95 contro 5… fate voi. Per quanto io abbia tanto da rimproverare alla seconda, non posso non cercare di essere – per quanto mi è possibile da persona che è parte in causa – un minimo obiettivo al riguardo. Non posso non riconoscere che, se Daniela Federico ha amministrato la Stemax sin dalla nascita della società e non può quindi in alcun modo dirsi innocente, per un lungo periodo non è stata in condizioni di opporsi a chi (di nuovo: alla faccia della fantomatica cooperativa) ne era nei fatti l’editore. Per lungo tempo ne ha subito le scelte, probabilmente senza condividerle, e non appena le è stato possibile cominciare a esercitare una qualche opposizione, e provare a limitare i danni, lo ha fatto. Per amore del “Mucchio”? Soltanto per portare a casa la pelle? Non ha importanza. Lo ha fatto ed è ciò che conta, anche se probabilmente non ha fatto abbastanza, anche se probabilmente lo ha fatto a tempo abbondantemente scaduto.
A Daniela Federico rimprovero la metamorfosi (perché io un minimo la Daniela di prima la conoscevo ed era persona per la quale per un certo periodo ho nutrito stima, simpatia, anche del genuino affetto) post-20 aprile 2011. A Daniela Federico rimprovero di avere avuto l’arroganza di assumere la direzione del giornale non avendo né le competenze né la sensibilità per farlo e avendo invece a disposizione una persona assolutamente qualificata e assolutamente fidata, cui ha invece scelto di infliggere la peggiore umiliazione professionale che potesse infliggerle ed è comportamento del quale tuttora non mi capacito (manco mi capacito che quella persona non abbia reagito andandosene e facendo causa, ma tant’è). A Daniela Federico rimprovero di essere passata dalla sera alla mattina dal Direttorio al trono imperiale. A Daniela Federico rimprovero le tante promesse fatte (anche io conservo le mail, eh?) e per la più parte non mantenute. Una direzione che con l’acqua sporca di trascorse cialtronaggini ha buttato via quel bambino, bellissimo e dispettoso, che era lo spirito che ha reso “Il Mucchio” un giornale differente da tutti gli altri che nei decenni si sono occupati di musica, o prevalentemente di musica, in questa terra dei cachi. Le rimprovero di essersi fatta prendere per il collo nella risoluzione del contenzioso con l’ex-direttore, quando era lei ad avere in mano corda e sapone, e anche quei soldini oggi avrebbero fatto comodo. Ma il coraggio se uno non ce l’ha non se lo può dare e credo che pure da questo derivi la mollezza del “Mucchio” post-Stefani. Forte con i deboli (fastidiosissimo il continuo ricordare ai collaboratori storici che fuori dalla porta c’è la fila degli aspiranti collaboratori) e debole con i presunti forti, la direttora si è persa in costose quisquilie come il rinnovamento grafico quando l’unica, piccola possibilità di restare a galla sarebbe stata quella di studiare e attuare un assalto al Web. Dov’è il nuovo sito del “Mucchio” di cui si favoleggia da un paio di anni? Persino il forum sta gradualmente sfiorendo. Daniela Federico non è arrivata ieri al “Mucchio”, c’è dal lontanissimo 1986, e ciò nonostante in tutti questi anni non ha metabolizzato nulla – per carità: mia opinione – né dello spirito del giornale né della psicologia del suo lettore medio: ci avesse mai acchiappato qualcosa, non le sarebbe passato per l’anticamera del cervello di fare di una recensione che di quello spirito e quella psicologia è financo esageratamente pregna un assurdo casus belli. Non l’avevo certo scritta con quella intenzione (ho un sacco di piacevoli perversioni ma il sadomasochismo no, non mi aggrada) e mai mai mai mai mai mai mai (ho detto abbastanza volte “mai”?) avrei immaginato che avrebbe costituito un problema. Cara Daniela, perdona il francesismo: non ci hai capito un cazzo.
E, cara Daniela, fatti dire un’altra cosa. Non sarebbe andata a finire così male (mi sarei dimesso ugualmente, ma sarebbe stata un’uscita di scena infinitamente meno chiassosa) se, messa a conoscenza del fatto che ritenevo che un tuo ventilato progetto editoriale potesse danneggiarmi, tu sul finire dello scorso settembre non avessi ritenuto di telefonare prima al tuo legale e soltanto poi al sottoscritto. Non si fa così, Daniela. Non fra amici. Gli amici, se sorgono dei problemi fra loro, provano a spiegarsi senza andare prima a vedere a chi dà eventualmente ragione la legge, anche perché non sempre la legge dà ragione a chi eticamente l’avrebbe. Per quanto assurdo sembri innanzitutto a me stesso, io fino a quel pomeriggio ancora mi ostinavo a pensarti come a un’amica. Ma Dio ci scampi dai “compagni che sbagliano”.
“Il Mucchio” si appresta a subire una drastica riduzione della foliazione di cui ci si è guardati bene dall’avvisare i tanti che proprio in questi giorni, essendo passato un anno tondo da quell’altro fatal gennaio, stanno rinnovando l’abbonamento. Agli interni è stato dato il preavviso che precede il licenziamento. I collaboratori retribuiti (percentuale che con il tempo è andata facendosi sempre più minoritaria) hanno ricevuto la scorsa settimana (io compreso) un modesto acconto delle spettanze del 2012. Il resto rinviato a una data da destinarsi che somiglia sinistramente al “mai”. Da qui a fine mese dovrò pagare la quota annuale all’Ordine dei Giornalisti e all’Associazione Stampa Subalpina. In probabilissima assenza di sviluppi positivi in questi pochi giorni che mancano, ne approfitterò per fare ciò che in quasi tre decenni non ho mai fatto (avevo un bravissimo avvocato e il mio punteggio in cause simili è a oggi di tre a zero in mio favore): chiederò assistenza per recuperare i crediti che avanzo dalla Stemax. Al “Mucchio” ho dato tanto in vita mia, troppo. Gli spiccioli (che poi per me spiccioli non sono) farò il possibile per non lasciarglieli.
un’enorme tristezza…non aggiungo altro..
Letta tutta d’un fiato. L’amaro in bocca è indescrivibile.
Difficile aggiungere altro se non amarezza……
Un lettore si immagina tutt’altro, sarà anche “colpa” di voi giornalisti che con i vostri scritti ci fate sognare (mi viene in mente il titolo stupendo dato da Bertoncelli ad un suo libro “Paesaggi Immaginari”) ma a leggere questo tuo post è difficile non avere un grosso magone.
Che immensa tristezza….
in questo sventurato paese i sogni non muoiono all’alba, ma anche prima.
la strage tricolore delle illusioni ci toglie tutto, anche il piacere di leggere un rivista musicale: non che non conoscessi vicende di questo tipo, ma queste righe mi lasciano in uno stato di prostrazione.
verrebbe voglia di mandare affanculo tutto, e mettersi a pensare solo alla propria sopravvivenza, ma la si darebbe vinta al partito dei furbi, che in italia sono notoriamente maggioranza, perdipiù chiassosa.
troppe volte, nella mia vicenda professionale ho visto semianalfabeti col tesserino acquistato chissà come accaparrasi postazioni sontuosamente retribuite: nel frattempo giornalisti appassionati e competenti sono costretti a una vita stentata.
a te la mia solidarietà e la mia stima, per quello che può servire.
Le conseguenze dei furbi le pagano sempre gli onesti.
So long…
Davvero…non è un bel leggere, però mi piacerebbe sentire anche l’altra campana. Tra parentesi, sono tra quelli che hanno rinnovato l’abbonamento.
Anche se preferisci Beefheart, devi ammettere che Zappa ha sempre l’uscita giusta, in questo caso “We’re Only In It For The Money” (non chi scansiona e mette a disposizione telematica di tutti i suoi articoli, ma spero che si intuisca).
Ribadisco ciò che scrissi tempo addietro: sfrutta il momento per assemblare un tuo greatest hits, che tutti saremmo ben contenti di trovare sugli scaffali. Anzi, fa’ di più: indìci un sondaggio in tal senso.
P.S. ma davvero le riviste musicali pagano i collaboratori? Io scrivo da più di due anni e ho ricevuto a stento le copie omaggio della rivista…
ciao
Sulla home del sito dell’Ordine dei giornalisti del Lazio trovi questa istruttiva lettera aperta, della quale ti riporto qualche stralcio… Vale la pena di leggere.
Eraclito Corbi e la Carta di Firenze. Lettera aperta al Presidente Iacopino.
martedì 8 gennaio 2013
Caro Presidente Iacopino
Ho ascoltato con attenzione e commozione il tuo discorso alla conferenza stampa di fine anno del Presidente Monti. Vi ho ritrovato il senso delle battaglie per la Carta di Firenze e per l’Equo Compenso, questioni come sai ancora aperte.
Subito dopo, però, mi è venuto in mente Eraclito Corbi. Molti si chiederanno: chi è costui? Questo signore, non riesco proprio a chiamarlo collega, è il direttore/editore nientemeno che di un quotidiano, il “Corriere Laziale”, ed è consigliere nazionale dell’Ordine in quota pubblicisti.
Eraclito Corbi, alla fine del 2012, è stato sospeso per 12 mesi dall’Ordine regionale del Lazio: accusato di aver sfruttato per anni i collaboratori della sua testata non pagandoli e promettendo loro, in cambio di un lavoro spesso quotidiano, soltanto il tesserino da pubblicista, cioè qualcosa che era loro dovuto e non da lui. Insomma, violazione ripetuta della clausola di solidarietà (articolo 2 della legge istitutiva dell’Ordine) e soprattutto, da quando è in vigore, della Carta di Firenze.
Ma non basta, questo signore si è opposto e si oppone al riconoscimento della rappresentanza sindacale dei giornalisti nel quotidiano. Cosa per la quale l’Asr l’ha segnalato alla magistratura per comportamento antisindacale (per la cronaca siamo in attesa del secondo grado di giudizio).
Qualcuno potrebbe pensare che si tratti di una piccola testata alle prese con problemi finanziari, niente di più sbagliato: il Corriere Laziale beneficia di un contributo pubblico che dal 2006 al 2010 ha portato nelle casse della cooperativa Edilazio 92 la “modica” cifra di oltre 9 milioni di euro…
E allora ti chiedo un atto pubblico di riparazione verso chi ha subito le angherie di cui si è reso protagonista Corbi. E ti chiedo di dichiarare fin da ora che ti batterai, insieme a noi tutti, per fare in modo che questi falsi pubblicisti non trovino posto nel prossimo Consiglio Nazionale dell’Ordine e, qualora disgraziatamente dovesse accadere, tu, come tutti quelli che si candideranno alla presidenza, rifiuterete i voti di questi signori che occupano indegnamente il posto proprio di quei senza voce, sfruttati e mal pagati con e per i quali ci stiamo battendo.
Paolo Butturini
Segretario Associazione Stampa Romana
Grazie dell’interessante contributo, ma non sono pubblicista né aspirante tale (anzi, la mia attuale posizione mi renderebbe incompatibile con l’iscrizione all’Albo; per inciso e a titolo personale, vedere sparire l’Ordine dei Giornalisti, anomalia italiana per eccellenza, mi riempirebbe di giubilo). Mi limitavo a segnalare, non senza sarcasmo, che quello che a Eddy – sacrosantamente! – pare eresia, probabilmente anche per la sua posizione di autorevole decano nel mondo dell’editoria musicale, è la normalità nei “piani bassi” dell’apprendistato.
Un sincero augurio di successo nella battaglia che portate avanti.
Sai com’è, si lavora e si deve venire pagati. Per me è sempre stato così, dal giorno uno. Gratis non avrei mai scritto.
Per tutti gli appassionati al giornale per il modo in cui lo abbiamo vissuto seguito sostenuto il sentimento non puo’ che essere una tristezza infinita a questo punto sarebbe bene mettere fine a questa assurdo agonia ….e comunque credo sia giusto che tu abbia buttato fuori tutto perche’ quello che hai scritto e come Lo hai scritto sgombra il campo da ogni equivoco io x esempio avevo visto un po’ di esagerazione nel lasciare il giornale x una recensione ma adesso il quadro e’ molto piu’ chiaro e dispiace pure sentire che gente che nata altrove avrebbe potuto scrivere su moio wire uncut sia stata costretta a subire tali bassezze…questo e’ proprio un paese assurdo
Beh, che non lasciavi per una recensione s’era capito.
Ma, diobono, che magone…
Lo so che dovrei parlare solo per me, ma penso che tra di noi ci sia una parte di lettori Velvettiani che il Mucchio lo lasciarono affettivamente nell’88 e poi hanno continuato a seguire te (e Federico, e i migliori degli altri) obtorto collo quando siete ritornati da Max Stefani. Quel ritorno non mi aveva mai convinto fino in fondo e i fatti purtroppo sono stati peggio del male che ho sempre pensato di Stefani. L’unico risvolto che mi ha realmente sorpreso di questo tuo lungo addio è la figura di Daniela Federico, della quale fino all’anno scorso non pensavo assolutamente nulla, di cui ho assistito sbigottito alla gestione senza senso della direzione, e di cui i rsvolti umani sovrapposti a quelli professionali lasciano senza parole.
La parte del post in cui commenti le conseguenze della sua scellerata decisione di assumere la direzione credo sia scritta sì con frustrazione, ma soprattutto con la consueta onestà intellettuale che anche i tuoi detrattori non possono non riconoscerti. E’ la tragedia di tutti i contesti di lavoro, quando c’è qualcuno perfettamente in buona fede che ricopre un ruolo per il quale è completamente inadatto.
In effetti, io lasciai il Mucchio nel 1988 e ci ritornai quando Cilìa, in una antica mail (che ancora conservo) mi disse che era “tornato in forza al Mucchio”.
C’hanno davvero preso tutto…
C’hanno preso TUTTO.
Prendo doverosamente atto di quanto Massimo Del Papa precisa riguardo alla sua transitoria posizione di socio nella cooperativa Stemax.
http://massimodelpapa.blogspot.it/2013/01/la-musica-e-finita.html
Ciao Eddy, grande tristezza nel leggere queste righe, ma lo immaginavo. Capisco l’amarezza, per motivi analoghi il mio 2012 è da buttare. ricorda che solo gli amici ti possono deludere, degli altri alla fine rimane poco, (e ti importa poco) ma la botta dagli amici è peggiore che la semplice questione economica
Sottolineavo, con il documento riportato, che la mala gestio dei soldi pubblici, anche dove meno ce lo aspettavamo, è ormai norma. Un’onda di fango ci sta seppellendo, ci insegue anche quando apriamo internet e sfogliamo una rivista. Come preannunciava Flaiano siamo diventati un paese di bagnini e di ladri. Da nord a sud, non si salva nessuno (è un’iperbole retorica, sia chiaro, ma dà il senso, spero, di quello che stiamo vivendo). L’infezione ha travolto le capitali morali e quelle geografiche. Che facciamo, andiamo avanti? O dichiariamo clinicamente morto questo paese, e ognuno se ne va per sé? Non lo so più, non so più nulla, e non mi va più di sapere nulla.
Una nota a margine: sul Forum del Mucchio, un signore definisce i frequentatori di questo blog “4 anziani bavosi”. L’augurio è che tu non debba affrontare mai, nella vita, la pena di dover sostenere un tuo familiare ridotto a essere “bavoso”. Te lo auguro di cuore. Non ho altro da aggiungere. Anzi, sì: sei un imbecille.
Non ho parole ma leggendo tutto quanto mi torna tutto.
Certo che come guida spirituale (Pardon, Spiritual Guidance…) invece di John Belushi potevano mettere la Banda Bassotti.
Dimenticavo, io l’abbonamento avrei dovuto rinnovarlo a maggio…
Solo due piccole cose, su questa triste faccenda: 1) mi dispiace, e tanto, che il giornale che mi ha insegnato praticamente tutto sulla musica stia facendo questa fine. Ne faccio una semplice questione di riconoscenza: sono riconoscente di potermi essere fatto, soprattutto attraverso il “Mucchio”, e soprattutto attraverso il gruppo dei torinesi, negli anni, la cultura musicale che ora posseggo; 2) sono felice, d’altro canto, di aver abbandonato in tempo la mia “carriera” da giornalista. Di storie come questa (pagamenti dilazionati, gente che si arricchiva alle spalle degli altri che nel frattempo morivano di fame ecc.) ne ho sentite a bizzeffe, e anch’io sono stato, mio malgrado, coinvolto in ben due fallimenti di giornali (uno era E Polis, per cui ho collaborato per un anno a titolo gratuito – anche se all’inizio non lo sapevo). La carta stampata, in Italia, non ha mai attecchito davvero (dati alla mano), e ora che la crisi è oggettiva in tutto il mondo, noi siamo il paese che prima degli altri ne subirà le conseguenze. Ed è una cosa molto molto triste.
Tristezza, tristezza, tristezza…..
..
Hai tutta la mia stima…
La cosa più ridicola di tutte è il piangere miseria dei signori in questione, con Stefani che negli ultimi mesi di direzione fingeva disperazione perchè sobbarcato di debiti,mutui e processi pendenti…
A me viene lo schifo, sono lettore assiduo dal n. 2 del ritorno al mensile,mai perso un numero, mi reputo un lettore indipendente, in quanto,da cattolico, tanto mi faceva schifo la superficialità di Stefani tanto, da critico, mi lascia interdetta la nuova linea editoriale attualmente in vigore, che mischia una parte musicale sinceramente mai così in forma e sul pezzo con una parte extra che non sa letteralmente di nulla:politica sparita,inchieste inesistenti, un pò di questo e un pò di quello senza approfondire nulla.
Onestamente non so se continuerò col Mucchio a questo punto,mi dispiace, una volta che emergono gli altarini è difficile far finta di niente. Secondo me forse è proprio il ruolo del cartaceo che non riesce più a stare dietro – un articolo (specie se non musicale) dopo una settimana è già vecchio – alla realtà, vedi dove sto scrivendo ora?
Dispiace per te, dispiace per chi ancora si spende,ed è capacissimo (Bordone,Ivic,Besselva), ma ti dirò di più, dispiace più per chi vi(vi maiestatis) ha letto per tanto tempo credendo di avere di fronte uno come sè ed invece era più finto di una banconota da 3 euro
Mi hai rubato le parole dalla tastiera !!!!
sono uno di quei lettori per la quale hai continuato a tenere duro. avrai sempre la mia gratitudine per questo Eddy.
Come ho già avuto modo di scrivere, per me il Mucchio è indissolubilmente legato a un particolare periodo della mia vita: gli anni della gioventù. Rimpiangendo quelli (poco originale, lo ammetto), non posso che farmi trascinare nella malinconia leggendo il lungo articolo di Eddy. Quando iniziai a comprare la rivista, ben presto divenne per me pura evasione dalle inquietanti e minacciose nuvolacce che già si stagliavano all’orizzonte dei tempi e che oggi si sono concretate in un’epoca balorda come poche altre. Certo, il rapporto in seguito mutò, così come cambiarono gran parte dei collaboratori e di conseguenza il contenuto del giornale. Mi sembra che non possa esistere dimostrazione più simbolica e inquietante di questo cambiamento della metamorfosi che portò Max Stefani dallo scrivere malevole recensioni su John McVie al disquisire sul numero di cd che potevano essere sorretti dai capezzoli di una ragazza. Ma va bene, come dicono i saggi lo zeitgeist cambia e allora perché non accettare questo cambiamento? Quello che trovo insopportabile è la questione relativa al disinvolto rapporto col denaro (pubblico) che evoca Eddy, esponendosi magari pure a rappresaglie legali. Ma forse no, del resto come lui scrive i bilanci sono pubblici, basta saperli leggere. Mi sento abbastanza pugnalato alle spalle da una rivista che ha sudato moralismo (ebbene sì), con le copertine al cinghiale Craxi e al caudillo Berlusconi; con le invettive sulla società malata e sul cristianesimo; con le contumelie contro le case discografiche rapaci e contro le spese di prevendita dei biglietti dei concerti; con le frustate ai musicisti paraculi. Ebbene, ora scopro che dietro tutto questo stava un’allegra combriccola di dissipatori, una compagnia di furbastri che fagocitava risorse e che maltrattava i collaboratori.
Quale morale? Che non si è mai sufficientemente adulti e vaccinati per evitare disillusioni.
“Stiamo perdendo il gusto dell’indignazione”, recitava il sottotitolo di “My Private Life”. Che se fosse stata una domanda avrebbe trovato una risposta nel titolo di un’altra simpatica e coeva rubrichina: “La faccia come il culo”.
sto ridendo perché ripensavo a una intervista a MS di qualche anno fa in cui definiva Massimo Cotto “piemontese falso e cortese”. Detto da lui non suona molto autorevole. Com’era quell’altra… “italiano in fanteria romano in fureria”. Andiamo avanti così.
facciamo finta di riparlare di musica? mi stavo segnando i dischi in uscita del 2013 che voglio ascoltare
arcade fire
atoms for peace
devendra banhart
beck
black keys
black sabbath
david bowie
nick cave
low
eels
daft punk
depeche mode
flaming lips
johnny marr
mgmt
my bloody valentine
primal scream
queens of th stone age
tool
vampire weekend
kurt vile
yeah yeah yeahs
guided by voices
mazzy star
black angels
io ci posso stare, e voi?
come dite? No?
Vabbè.
Dai ripartiamo dalla musica. Anche perchè i dischi in arrivo sono tanti e promettono molto bene.
Io sono sono in fremente attesa sopratutto per il nuovo David Bowie.
Già perché se io sono su questo sito e ho la casa piena di CD e vinile, dii riviste e libri è grazie a quel giorno di marzo del 1976 quando andai a vedere “L’Uomo Che Cadde Sulla Terra”. Avevo 15 anni e nel paese del vercellese dove vivevo la parola “cultura” se pronunciata in pubblico ti procurava parecchie prese per il culo. Praticamente quello che racconta spesso Bruce.
Il film era stranissimo rispetto a quelli che avevo visto fino ad allora ma ancora più strano era quel tipo che recitava. Mi ha aperto gli occhi, la vita poteva essere più interessante di quel che credevo.
O. K. Praticamente sembra una lettera alla rubrica “Ditelo A Padre Eddy” però posso davvero dire (da quanto aspettavo questo momento…) il rock mi ha salvato la vita !!!!
mi ricorda quello che disse tanti anni fa jim jarmush allibito dopo aver visto benigni in toscana gareggiare con alcuni anziani nella recitazione a memoria dei versi di dante: “nella provincia americana se pronunci la parola poesia ti infilano un fucile su per il buco del culo”.
Il regista del film che hai citato,Nicolas Roeg, ha avuto molto a che fare con il rock, piu’ o meno direttamente.Oltre a Bowie,Jagger e Art Garfunkel
sono stati interpreti di suoi film e durante le riprese di un suo film a
Venezia, Rober Wyatt (fidanzato con una ragazza che lavorava con
Roeg), scrisse buona parte della musica di “Rock Bottom”.
uh, dimenticavo linda perhacs… sì, sta finendo di registrare il suo secondo disco, a distanza di 43 anni dal primo. Prendiamola con calma, insomma.
Con i giovani che hanno incominciato a viaggiare e studiare le cose sono cambiate ma all’epoca c’era da impazzire.
Eh… grande Jim Jarmush !
Beh che dire …. il mucchio è da 30 anni la mia guida musicale e tu Eddy sicuramente di gran lunga il consigliere giusto per gli ascolti.
Amarezza assoluta!
Vorrei sapere se per Te oltre a Blow ci sono altri programmi ambiziosi in ballo.
Grazie comunque di cuore.
Luca
Come ho appena risposto in “Chi sono” a un lettore che mi chiedeva se avessi intenzione di rieditare in formato kindle un mio volume di qualche anno fa, è nei miei programmi pubblicare nei prossimi mesi e anni numerosi ebook.
E su “Blow Up” scriverò in ogni caso parecchio parecchio.
Eddy io ti ho sempre stimato (anche dopo avere scoperto su Facebook che eri un juventino sfegatato), però da tempo il mucchio lo compravo solo quando c’era l’extra Vorrei invece sapere se uscirà il libro sugli articoli che hai scritto su Blow up su gruppi garage e psichedelici, lo comprerei immediatamente.
Per quanto riguarda un’edizione cartacea, Tuttle potrebbe forse ma forse convincersi a pubblicarne una solo se da un giorno all’altro si volatilizzassero le copie di “Scritti nell’anima” che ha ancora in magazzino.
Per quanto riguarda un’edizione in formato elettronico, ci sto pensando.
Eddy, a proposito di “Scritti nell’anima” (che ritengo un gioiello assoluto) e non avendo mai letto Blow-Up, immagino che esistano delle outtakes di cui sono all’oscuro: c’è la possibilità che vengano integrate magari in formato elettronico? Una deluxe edition insomma..
Come scrivevo nell’introduzione, di outtake ce n’era solamente una, un articolo relativamente breve su Sam Cooke sostituito nel libro da uno molto più lungo uscito in origine su “Extra”. Prima o poi lo ripubblicherò qui. Se mai ci sarà una seconda edizione, su carta o come ebook, aggiungerò di sicuro qualche capitolo scritto apposta.
Comunque sarebbe ora che tu cominciassi a leggere “Blow Up”… 😉
Che “Scritti nell’anima non sia andato esaurito è semplicemente assurdo, comunque andrebbe bene anche l’edizione elettronica.
Il mondo attende un “sì”, lo sai questo, vero ? 🙂
Il mondo se ne sbatte (giustamente) il belino.
Cos’è il belino? Un piemontesismo per pene?
Veramente è genovese…
Oppure per deretano?
ops… chiedo scusa.
Sono decisamente indietro in fatto di vernacoli settentrionali.
Quindi dico giusto se affermo che ieri sera la Giuve se l’è presa nel belino? 🙂 🙂
No, dici sbagliato e nello stesso tempo rischi di diventare il primo utente mai bannato da VMO.
per addolcire… Ho preso Coming out of the fog degli Arbouretum… Bello, davvero bello, a dispetto delle recensioni abbastanza tiepide che vedo on the internet. Da quegli stessi siti che avevano dato voti altissimi ad un disco semplicemente brutto, come l’ultimo di Cat Power. A volte Pitchfork va preso con le dovute avvertenze.
Ottima segnalazione, Eddy.
a proposito di fondi pubblici all’editoria… ma ve lo ricordate quando Beppe Grillo, poco dopo l’intervista data al Mucchio, parlò di giornali improbabili che si accaparravano i fondi e citò proprio il Mucchio Selvaggio fra questi?
E le righe indignate di Stefani?
Eddy come al solito ottimista. Sagittario, del resto… 🙂
tristezza, ma anche tanta soddisfazione nel leggere il coraggio e la chiarezza di queste parole
Tutto d’un fiato e non senza dolore ho letto il tuo “Lungo addio”.
Dal primo numero ho seguito il Mucchio Selvaggio e da sempre apprezzo i tuoi articoli e recensioni. Ho sempre percepito te come il vero spirito del Mucchio, quello nel quale io mi riconoscevo e che faceva del Mucchio una casa comune più che una rivista.
Ancora una volta, come già in passato, non posso far altro che seguirti perché, dopo tanti anni, continuo ancora a leggerti con piacere e sintonia.
Ci tengo a comunicarti il mio apprezzamento e a dirti che … da domani si venderà una copia in più di Blow Up
Saluti
Va naturalmente benissimo che si venda una copia in più di “Blow Up” (magari anche due o tre, eh?). Per svariati motivi non avrei piacere a che se ne vendesse una in meno del “Mucchio”, perché lì dentro ci sono ancora tante persone che stimo, cui magari voglio pure bene. Poi ce ne sono anche due o tre cui proprio bene no. Fermo restando che non potrei mai tornare a bordo (no, stavolta è infinitamente peggio di quell’altra), diciamo che se il vascello si inoltrasse in mari un po’ meno tempestosi ne sarei anche contento e non poco. Solo che dovrebbero cambiare armatore, capitano e primo ufficiale. La vedo un po’ dura.
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