Il disco più famoso e venduto dei Pink Floyd compie oggi quarant’anni. Quando ne compì trenta a me e agli altri principali collaboratori di “Audio Review” vennero chieste duemila battute celebrative dell’evento. Io fui piuttosto severo. Forse anche troppo.
Il primo album che ho comprato in vita mia? “A Nice Pair”, il doppio che racchiude i primi due LP del quartetto inizialmente guidato da Syd Barrett, “The Piper At The Gates Of Dawn” e “A Saucerful Of Secrets”. Lo conservo ancora gelosamente fra le molte migliaia che gli sono andati dietro e lo conosco a memoria. Fu un’introduzione esemplare al rock, alla psichedelia, all’avanguardia, se vogliamo alla fantascienza, tutti amori che hanno nutrito la mia vita nei ventisei anni trascorsi dacché investii un paio di paghette in quelle quattro facciate di vinile e hanno contribuito in maniera determinante a fare di me ciò che sono. Umanamente parlando, posso dire di volere un gran bene ai Pink Floyd. Ragionando da critico, credo che fino a “Ummagumma” (live incluso, disco in studio non compreso) furono un gruppo notevolissimo e che anche dopo qualcosa di buono abbiano fatto. Ma non riconosco “The Dark Side Of The Moon” fra quel buono, sebbene la sua importanza storica sia indiscutibile. Sparlarne da un lato è un po’ come dir male di Garibaldi: possono avere torto i trenta milioni che l’hanno acquistato da quel fatidico marzo 1973 in cui raggiunse i negozi? Una perfetta media di un milione per anno, pensate. 741 settimane consecutive nelle classifiche di “Billboard”, record che probabilmente non sarà mai battuto. Dall’altro mi pare un lavoro talmente sopravvalutato che a criticarlo mi sembra di sparare sulla croce rossa. Ma tant’è.
Antitesi del punk che sarebbe venuto, è stato scritto. D’accordo. Ma anche antitesi di quella psichedelia da cui Roger Waters e compagni venivano, opera dalla forma impeccabile e dalla sostanza latitante, bella calligrafia messa in mostra per non dire niente alla fine, pop di prima qualità ma senza quel soffio di vita vera che fa il pop immortale. So che su una rivista che tratta principalmente di alta fedeltà quanto sto per dire echeggerà come una bestemmia in chiesa, ma lo dico ugualmente: c’è qualcosa di profondamente sbagliato in un disco la cui qualità migliore è che suona splendidamente.
Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.235, maggio 2003.
Può un disco che ha venduto 44,200,000 copie essere sottovalutato? Secondo me sì. Perché? Perché ha venduto 44,200,000 copie. Se togliessimo “Dark side” dal contesto di copie vendute e del rock che qualche anno dopo sarebbe salito alla ribalta (il punk e la new wave, ovviamente), distruggendo saggiamente anche i Pink Floyd stessi, ne rimarrebbe un bellissimo disco pop, in cui la psichedelia non è secondo me del tutto assente (“Any colour you like”) così come l’elettronica “sperimentale” (alla fine “On the run” era abbastanza avanti per i tempi) e le grandi canzoni (“Time”, “Us and them”). Condivido il tuo discorso per quanto riguarda “Money” e forse “Great gig in the sky” (che è kitsch forte ma a me piace comunque), che sono effettivamente più apparenza che sostanza, ma per il resto continuo a ritenerlo un gran bel disco (sopravvalutato, certo, oltre che sottovalutato: d’altronde 44 mln fans CAN be wrong). In misura minore continuo a non capire perché tutti storcano il naso davanti a “Animals”, che secondo me non è affatto male.
Ciao, e perdona lo sproloquio!
Alberto
infatti bello Animals, o almeno, l’ho ascoltato molto di più rispetto a Dark Side..
se metti “on the run” a fianco di qualsiasi cosa krauta elettronica coeva, comunque, ti rendi conto del livello (inferiore) di idee. Ma questo lo si può dire di tutto “Dark Side”, che comunque ha il pregio di aver ispirato i Flaming Lips – e pure i Radiohead di “Ok Computer”, nel senso di una musica di mapio respiro e di ambizioni altrettanto; pace se l’esito è stato altalenante – ben prima della loro rilettura integrale, con quel suono progedelico cosparso di ironia allestito da “Yoshimi” in poi e che, quasi, ti fa cambiare idea. Ma anche no.
A me evoca atmosfere alla Clifford Simak. Mi piace. Secondo me il suono pressoché perfetto lo fa sembrare più leggero di quello che effettivamente è. Secondo me sei stato troppo severo.
Comunque ottimo per limonare (citazione dal Venerato…)
Sono completamente d’accordo con te. Di mio aggiungo solo che l’ho comprato in vinile, stampa italiana dell’epoca, e continuo a dubitare della bontà della spesa di due euro che ho sostenuto. Dinosaurs will die (rectius: are dead)
di questo disco ho il ricordo di interminabili giri in macchina “ad andatura da joint” come si diceva all’epoca, tra un abbicco e l’altro quando arrivavano le sveglie c’era sempre qualcuno che andava in panico.
preferisco di gran lunga i PF sino a meddle (e non sono male nepure obscured by clouds e more ed è ottima relics) ma ogni tanto lo riascolto con piacere.
Sono d’accordo con Francesco…si riascolta con piacere, ma di vera sostanza non c’è n’è molta secondo me. In definitiva venerato … Non sei stato poi così severo!
difficile ormai valutarlo in modo oggettivo… il mito legato a quest’Opera musicale è troppo grande, da averne quasi oscurato i grandi meriti. A mio avviso si tratta semplicemente di uno dei 5 album migliori della storia della musica. Poi vennero album altrettanti epocali, ma qui si tocca la summa creativa della band… anche se il mio preferito dei Floyd rimane il primissimo album, quello con il mio idolo Syd Barrett!
Non vi sono più amico. Davvero, non scherzo. Ridatemi il pallone. E’ mio. Ridatemelo! Presto… (Lo portano via)
Sono d’accordo con Eddy e con molti degli amici che hanno scritto sopra.
I PF che continuo ad amare si fermano ad Atom Heart Mother. Il resto è scomparso dal mio radar da tanti anni: mi risulta assolutamente indigeribile.
Baratto tutta la discografia floydiana dagli anni ’70 in poi con 30 secondi di Richard Hell, o dei primi Ramones, o dei Talking Heads.
Io le due ere pinkfloydiane me le tengo entrambe: un po’ come i Flaming Lips, che a loro si sono molto ispirati prima dal lato Barrettiano e poi da quello Waters/Gilmour. Si puo’ dire che The soft bulletin e’ stato un po’ il loro Dark side of the moon?
Ehm… non avevo letto sino a qui (vedi sopra) 🙂
Elogiare i PinK Floyd dell’era Syd (e dintorni) e spernacchiare quelli di Waters è un giochino, tra gli appassionati, che fa tanto “intenditori”.
Tesi confermata da alcuni commenti di sopra.
Io apprezzo tutta l’opera, The final cut compreso (dopo, ovviamente no).
Credo che anche tu Eddy, nei 10 anni successivi all’articolo, abbia un poco smussato quel giudizio severeo.
Altrimenti (anche se la scelta non è tua) penso proprio che Dark Side (in compagnia di The Wall, peraltro) non sarebbe mai entrato nella lista dei 1000. :-).
Che poi, a pensarci bene, era anche nei 500, ossia nei 100 dei ’70.
Insomma, un risultato non certo da seconda linea.
Sono d’accordo, disprezzare i Pink Floyd dopo Syd fa molto fine e non impegna.
E disprezzare i Pink Floyd in toto?
Come Harold Bloom, invece di leggere freudianamente Shakespeare, leggiamo Shakespearianamente Freud. E diprezziamo i Toto (Pretty) in Pink….
Quando si mette mano a progetti come quelli che citi, i gusti personali passano – per quanto possibile – in secondo piano. E se è di gusti personali che si parla rispetto a “Dark Side Of The Moon” (con cui in una certa misura ho fatto pace) patisco cento volte di più, per dire, la presenza nell’ultimo volume Giunti dei Mars Volta. “The Final Cut” personalmente non lo apprezzo proprio. “The Wall” invece sì.
DEprezziamo i Toto, vorrai dire! Già 5,90 per il primo album mi pare un esproprio milionario…
Era “disprezziamo”, ma si vede che si è frapposto Max Weber tra Freud e Shakespeare…
Può togliersi di mezzo, ché io sono ateo…
Ha! Ha! Ha!