Johnny Marr – The Messenger (Warner Bros)

Johnny Marr - The Messenger

Il 31 ottobre prossimo Johnny Marr compirà cinquant’anni. Nel suo risolversi a oltre venticinque dacché sfasciò gli Smiths a debuttare infine da solista c’entrerà magari anche questo compleanno importante. Laddove era per caso che il lavoro la cui titolarità condivideva con gli Healers, “Boomslang”, usciva quando era alle viste il quarantesimo di genetliaco. La triste verità era che quell’album – di cui pochi si ricordano e del quale l’artefice stesso in un certo qual modo cerca di cancellare la memoria insistendo sull’essere questo il suo esordio in proprio (e tecnicamente lo è) – era rimasto per un sacco di tempo inedito per mancanza di un’etichetta disposta a pubblicarlo. Un disco dell’ex-partner in crime di Morrissey! La triste verità è che più che brutto tout court era e resta inutile, che è pure peggio. Dimenticabilissimo e dunque dimenticato. Dopo di quello ci si rassegnava all’evidenza che Marr, cui pure nessuno toglierà mai il titolo di più influente chitarrista della sua generazione, quando si siede a scrivere una canzone ha bisogno di scriverla con qualcun altro il cui talento di autore eguagli il suo di musicista (ed ecco perché gli Electronic, almeno all’inizio, funzionavano). Evidenza? Era tale a oggi. Dopo “The Messenger” un po’ meno.

Naturalmente no, non è il seguito infinitamente atteso per quanto attiene il versante Marr (giacché sebbene erraticamente Morrissey da quelle parti si è aggirato spesso) di “Strangeways, Here We Come”, ultimo atto peraltro per lunghi tratti sottotono dell’epopea smithsiana. O meglio: lo è in qualche frangente, essendo piuttosto un catalogo di amori del quale fanno parte gli ascolti giovanili, le tante collaborazioni adulte e, certo, pure gli Smiths. Come non risentirli in una European Me che è una sorta di Rusholme Ruffians rivisitata? O in una New Town Velocity in cui per la prima volta (ed è l’undicesima traccia di dodici) ci si sorprende ad attendersi quell’altra di voce. Sensazione che permane nel congedo con tratti beatlesiani nella melodia e funk-punk nel piglio Word Starts Attack. Quando sotto la traccia che intitola il tutto ci si sorprende a cercare anche la firma di Bernard Sumner. Ciò detto:  se The Right Thing Right profuma di Northern soul, Upstarts è omaggio al pari evidente ai Buzzcocks; se Generate! Generate! (insieme la più epidermica e la più memorabile del lotto) rimanda agli Wire del secondo album, The Crack Up evoca dei Depeche Mode con le chitarre. Opera gradevole cui difetta un centro di gravità permanente, “The Messenger” prova a fare di questa assenza un pregio e al tirare delle somme ci riesce. (Ri)partenza in attesa di seguiti che aiutino a darle un senso maggiormente compiuto.

1 Commento

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Una risposta a “Johnny Marr – The Messenger (Warner Bros)

  1. Gian Luigi Bona

    Mica male questo pezzo.

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