“I like my man like I like my whiskey/aged and mellow”, cantava Esther Phillips quando era ancora Little Esther, e non se la prenderà Mavis Staples, che è donna di mondo oltre che di chiesa, se si estende un simile, profano paragone a una voce che sembra assurdo dire, gettando l’occhio a catalogo e storia pregressi, che più passano gli anni e più si fa invincibile, ma è proprio così. Favolosa questa seconda (terza? quarta?) giovinezza di una che ha appena festeggiato il settantaquattresimo compleanno e calpesta palcoscenici dacché ancora doveva spegnere l’undicesima di candelina. Principiava nel 2007 con l’approdo alla Anti e quel “We’ll Never Turn Back” sapientemente curato in regia da Ry Cooder e tutto incentrato sull’epopea della lotta per i diritti civili negli Stati Uniti dei ’60 e, dopo un parimenti strepitoso “Live: Hope At The Hidehout” spedito nei negozi alla vigilia delle elezioni che per la prima volta portavano un uomo di colore alla Casa Bianca, trovava essenziale continuità nel 2010 con “You Are Not Alone”. Prodotto, quello, da Jeff Tweedy degli Wilco. Squadra che vince non si cambia.
Non c’è niente da fare: qualunque cosa canti la più giovane di casa Staples automaticamente si trasforma in gospel, anche e tanto più stupefacentemente quando in origine non lo era. Vale per Can You Get To That, che nella versione primigenia dei Funkadelic inclusa nel capitale “Maggot Brain” più che rimandare a cerimonie domenicali prefigurava, con un bel po’ di anticipo, tal Prince Rogers Nelson e che adesso ha il cielo come unico limite e obiettivo. Differenza fatta tutta da Mavis, siccome l’arrangiamento attuale non si discosta, se non per dettagli scarsamente significativi, da quello del ’71. Vale tanto di più per una scarna, felpata e di intensità rabbrividente Holy Ghost, che inaugura l’album e con l’immediatamente successiva Every Step – appesa a un arpeggio statico fintanto che ritmica e coro non la fanno decollare verso empirei gioiosamente indicibili – ne stabilisce il tono. Arriva dai Low e, guarda che caso, da “The Invisible Way”, recente ed eccelso lavoro del trio di Duluth diretto da Tweedy. Che è l’autore di Every Step – e più avanti di una dolcisssima Jesus Wept; e infine del blues che strascicando i piedi si porge da congedo di One True Vine – e non si sa se preoccuparsi del prossimo Wilco, temendo che stia dando via le canzoni migliori, o viceversa sognare – preso atto di un simile stato di… grazia – il capolavoro che cancellerà i capolavori precedenti. Relativo a quel punto lo stupore nello scorgere la firma di Nick Lowe sotto una giocosa Far Celestial Shore, rassicurante (fin quando un’ustionante chitarra solista non apre il primo e unico scorcio e squarcio di rock) vedere quella dello scomparso da lungi patriarca di casa Staples, Roebuck detto “Pops”, sotto l’altrimenti suadente I Like The Things About Me. Sow Good Seeds, invita esplosiva la settima traccia di dieci. Woke Up This Morning (With My Mind On Jesus) racconta un’esultante nona e sì, capita pure a me di svegliarmi e rivolgere come prima cosa il pensiero a Nostro Signore, ma in maniera diversa da questo scricciolo con voce da leonessa. Ad ascoltarla, Mavis Staples, quasi ti viene voglia di emendarti, di pentirti, di crederci. D’altronde Bobbie Dylan non è uno che si innamora di persone banali.
Finalmente! Aspettavo che ne scrivessi qui sul blog dal giorno in cui gira quasi ininterrottamente nel mio lettore, ossia il 28 giugno.
Tra gli ultimi lavori di Mavis Staples mi piace ricordare anche “Have a Little Faith” del 2004 (Alligator).
Perfettamente sincronizzati: comprato ieri, ascoltato oggi, recensione del Venerato stasera, completamente d’accordo… Le piccole cose che funzionano perfettamente in un mondo in cui non funziona un tubo.
Inutile dire che concordo, si tratta di un disco eccellente.
Ma la cosa che vorrei dire è un’altra, e mi è venuta in mente riascoltando oggi un po’ di Cynics e Miracle Workers. Potresti regalarci, Maestro, una tua piccola trattazione sul garage revival con annessa discografia di base, simile agli articoli su power pop e krautrock? Arriverà mai un pezzo del genere su VMO? Inutile dire che te ne sarei – e non solo io, credo – molto grato.
Una cosa sul garage revival potrei farla molto presto. O comunque abbastanza presto. Diciamo entro fine anno. Però non qui.
Io invece ti sarei molto grato – ma de bon – se mai tu decidessi di cimentarti con un pezzo su Nick Lowe, grandissimo autore… di più: grandissimo stilista della nostra musica.
La butto lì: una volta, tanti anni fa, con Townes Van Zandt mi andò di lusso. Vedi mai…
(e, già che ci sono, anche sul Richard Thompson solista, che so tu ami moltissimo, mi piacerebbe leggerti)