Ho un rapporto un po’ complicato con Joseph Arthur, ma non è colpa mia: è in primis questo cantautore di Akron, Ohio (la città dei Devo: una delle poche influenze non rintracciabili nella sua opera), ad avere un rapporto complicato con sé stesso, non avendo evidentemente ancora deciso che tipo di artista diventare da grande. E dire che il debutto discografico risale a ormai sedici anni or sono e da lungi si è inoltrato negli “anta”. Partiva male la nostra storia. Vedeva la luce a inizio 1997 un album chiamato “Big City Secrets” e c’era di che farsene incuriosire: era il primo disco rock a uscire su Real World, etichetta di proprietà di Peter Gabriel, usualmente in tutt’altre ed etniche faccende affaccendata, ma ascoltandolo sul serio non si riusciva a capire cosa avesse scorto l’ex-Genesis in quella dozzina di canzoni sfocate, ben più interessanti nelle intenzioni – “country psichedelico”, lo definiva “Mojo”, quando per l’autore trattavasi di “folk-rock sperimentale” – che negli esiti. Mi convinceva assai di più tre anni dopo “Come To Where I’m From”, per quanto trovassi inquietante un album incerto se ispirarsi ai Beastie Boys o a Elvis Costello, oppure agli U2, e mi piaceva proprio nel 2002 “Redemption’s Son”, che pure in fatto di schizofrenia era persino più esagerato: capace di mettere insieme in qualche misterioso modo Nirvana e Left Banke, Springsteen e Jane’s Addiction. Da allora la frequentazione si è fatta occasionale. Qualcosa ho ascoltato senza gradirlo molto (“Temporary People”, “The Graduation Ceremony”), altro non l’ho proprio ascoltato. E dunque ho messo su “The Ballad Of Boogie Christ” (che è comunque un titolo fantastico) senza sapere cosa attendermi. Al limite con qualche pregiudizio dato dall’avere letto che trattasi di concept, ideato oltretutto originariamente in forma di raccolta di versi, e non dico di avere con i concept il rapporto che aveva Goebbels con la cultura ma siamo lì. Naturalmente sono stato infilato in contropiede. E stavolta Giuseppe Arturo è andato a rete.
La sua prova migliore di sempre? Perlomeno fra quelle che ho sentito (oltre che di una decina di album il nostro uomo è titolare di un congruo numero di EP e ha scritto parecchio per cinema e TV), certamente sì. Questione ovviamente e in prima istanza di qualità della scrittura, uniformente alta come non mai. Ma a elevare oltre la media della produzione tanto dell’artefice che dell’odierno cantautorato rock “La ballata di Cristo Boogie” è la naturalezza con cui tutto si tiene in quello che è sostanzialmente un bel zibaldone di Americana. Dove davvero la varietà non manca, tant’è – per dire – che si passa dal blues con vista sul gospel di Currency Of Love al folk-rock con uno scorcio di raga di Saint Of Impossible Causes e da quello a una traccia omonima un po’ valzer e un po’ rock’n’roll. E non sono che i primi tre brani! Più avanti ho apprezzato particolarmente la dolente I Miss The Zoo (una versione diversa rispetto a quella inclusa nel 2012 in “Redemption City”), una stoniana It’s OK To Be Young/Gone, gli scatenati errebì Black Flowers e Famous Friends Along The Coast. Solo in dirittura d’arrivo, con la ballatona All The Old Heroes, tentata dal retorico e tirata troppo per le lunghe dopo un bell’attacco quasi cameristico, il disco sbanda e rischia di finire fuori strada. Pare tuttavia peccato veniale, in quanto isolato, per uno che del prendere male le curve aveva a oggi fatto un connotato precipuo.
“bel zibaldone” non si può proprio leggere…
Firmarsi pare brutto?
Proviamo con le “Operette Morali”, allora.
🙂
Confesso che mi sono chiesto il perché della scelta di scrivere “bel zibaldone” in luogo di “bello zibaldone”.
Da quel che capisco della recensione, sembra un John Hiatt minore. Ci sono andato tanto lontano?
Se lo leggi a voce alta, “bello zibaldone” è più faticoso di “bel zibaldone”. E suona meno bene, peraltro.
Preliminarmente precisando che credo sia evidente a ognuno la padronanza di Eddy sulla lingua italiana, segnalo che le regole grammaticali di quest’ultima consentono il troncamento di “bello” in “bel” davanti a parole cominciano per consonante, con l’eccezione di s impura, gn, ps, z. Di qui la mia domanda.
Quindi non posso dirti “bel gnoccone mio”? Scherzo… La faccio molto breve. Io sono uno che scrive molto “a orecchio”. E a orecchio “bello zibaldone” mi suona malissimo.
Infatti, il mio punto era esattamente quello di uno che ha sempre editato i suoi articoli leggendo a voce alta (non che abbia funzionamento regoalrmente, però… :))
Io invece mi chiedevo della nuova usanza di scrivere “sé stesso” invece che “se stesso”. Ma i linguisti hanno davvero cambiato idea? (Lo chiedo seriamente, senza sarcasmo).
“Per colpa di un accento
un tale di Santhià
credeva d’essere alla meta
ed era appena a metà.”
In ogni città d’Italia dovrebbe far bella mostra di sé un monumento di Gianni Rodari.