Il 24 luglio 1967 gli Yardbirds pubblicavano quello che sarebbe rimasto il loro ultimo album vero, non contando il discutibile frutto nel 2003 di una parzialissima reunion. Così raccontavo “Little Games” dieci anni or sono, prendendo spunto da una riedizione dal programma notevolmente ampliato rispetto ai dieci brani originali.
Lo annotavo, giusto un mese fa, in cima alla recensione della ristampa espansa, su Sunspots, di “Having A Rave Up With”: Yardbirds riformati e in tour. Difficilmente risulterà la notizia più eccitante del 2003. Una successiva mail ricevuta da un distributore ha precisato i contorni dell’operazione. Dell’organico fanno parte, dei componenti storici, i soli Chris Dreja e Jim McCarty, con reduci del pub-rock (da Dr. Feelgood e Nine Below Zero) a completare una formazione logicamente orba di Eric Clapton, Jeff Beck e Jimmy Page e pure di Paul Samwell-Smith, che nella vita ha evidentemente di meglio da fare che andare alla disperata ricerca di passatissime glorie e di qualche spicciolo per assicurarsi che i sessanta incombenti siano, se non proprio favolosi, non troppo disagiati. C’è pure un album in studio in ballo, in uscita a fine aprile (e lì Jeff Beck una comparsata da ospite la fa) e annunciato in pompa magna come il successore di “Little Games”, una faccenda di appena trentacinque anni fa. Quale ne sia il cabotaggio è chiarito da una scaletta che a fronte di sette brani nuovi mette in fila otto classici del bel tempo che fu. Insomma: non ci credono nemmeno loro. Dovremmo crederci noi? Fortuna che un rifugio dalle miserie odierne viene offerto da un riordino (si fa per dire: la confusione, nell’incasinata discografia, cresce anzi) di archivi che, a brevissima distanza dal succitato “Having A Rave Up With”, ha riportato nei negozi giustappunto “Little Games”. Undici anni fa ce n’era già stata una riedizione (sempre su EMI) talmente allargata da richiedere un doppio CD. Questa volta basta un dischetto ma è pieno zeppo, con registrazioni coeve di quelle che furono selezionate per il 33 giri originale e altre radiofoniche, per la BBC, che però in parte già stavano su una raccolta del ’91, “On Air”. Dazed & confused come a questo punto sarete, sento che un’unica ma essenziale domanda vi sorge alle labbra: merita l’acquisto? Assolutamente sì, per un libretto esemplare (venti pagine zeppe di notizie e con un apparato iconografico di prim’ordine) e per il fascinoso ritratto che offre di un gruppo da un lato sempre più allo sbando, dall’altro in volo verso inauditi empirei e altre avventure. Che ci saranno ma con protagonisti perlopiù nuovi e una diversa ragione sociale: Led Zeppelin.
Proprio dalla fine del corposo programma vi consiglio di partire, da una White Summer ulteriormente inacidata dall’eccitazione data dal palco e da una Dazed And Confused fosca e hardelica che transiterà pari pari nel repertorio del Dirigibile. Ci troviamo alla Playhouse di Manchester, è il 6 marzo 1968 e Keith Relf (voce e armonica), Jimmy Page (chitarra), Chris Dreja (basso) e Jim McCarty (batteria) stanno per preparare le valigie per un tour americano di tre mesi che sarà l’ultimo. “Little Games” è uscito nell’estate precedente, solo oltre Atlantico, e la sua performance commerciale è stata modesta. I giornali ne hanno parlato poco. La critica, a posteriori (complice un missaggio opaco che le ristampe correggeranno), sarà sempre tiepida o peggio. Tempo di un po’ di sano revisionismo.
Intendiamoci: non siamo affatto in presenza di un capolavoro, ché i Nostri furono fino all’ultimo complesso da 45 giri piuttosto che da LP, e l’album risulta sommamente frammentario, privo di un’idea unificatrice, teso a cercare nuovi approdi restando tuttavia a metà del guado. Così, dalla marcetta lisergica della canzone che lo battezza e lo inaugura si passa a un classico blues elettrico come Smile On Me. Si azzarda uno straordinario raga come White Summer (a dir poco debitore comunque nei confronti di quel misconosciuto eroe della chitarra che è Davy Graham) e subito ci si rifugia nel beat di Tinker, Tailor, Soldier, Sailor. Si prova a fare il bis della gotica Still I’m Sad con Glimpses e poi ci si produce in un omaggio, tanto calligrafico da farsi plagio, quale Drinking Muddy Water. Si sporcano di psichedelia le dodici canoniche battute di No Excess Baggage e ci si tuffa quindi nel vaudeville di Stealing Stealing. Si ammannisce una squisitezza folk chiamata Only The Black Rose e subito se ne dissipa il sognante effetto con l’ingenua protesta di Little Soldier Boy. Gioco di tentennante equilibrio (squilibrato in realtà) che il corredo di bonus perpetua con brani ad ogni buon conto di buona fattura, fra i quali vorrei segnalare una circense (da Tom Waits ante litteram) I Remember The Night e una svagata e pruriginosa Goodnight Sweet Josephine (ben tre versioni). Mentre con il Bob Dylan rivisitato di Most Likely You Go Your Way (And I’ll Go Mine) siamo davvero soltanto al livello di curiosità.
Eppure, anche se così evidentemente slegato “Little Games” cattura e per due ragioni: una è che vi si avverte più una sana curiosità per il nuovo che andava avanzando che non la paura di farsi superare dai tempi; l’altra è che è come se gli Yardbirds, avvertendo forse che la fine si approssimava, avessero allora deciso di mettersi per intero in un disco. Qui la loro parabola c’è tutta: dal purismo blues degli esordi con Eric Clapton a una psichedelia, via beat, geneticamente disposta con Jimmy Page a farsi hard. È come se fosse un “Greatest Hits” ma paradossalmente senza le hits, che in buona parte stanno invece sulla ristampa di “Having A Rave Up With”. Procurandovi questi due titoli, avrete molto se non tutto di quanto merita avere di una compagine insieme (un altro paradosso) grandemente sopravvalutata e sottovalutata. Certo: non della lega dei Beatles, degli Stones, dei Kinks. Nondimeno capace di fare la storia e non solamente per l’incredibile sequela di chitarristi solisti che vi transitarono.
Pubblicato per la prima volta su “Il Mucchio”, n.521, 18 febbraio 2003.
Un loro tour con ospiti Clapton, Beck, Page e Green sarebbe lo spettacolo del decennio. Anzi, dei decenni!