Archivi del mese: dicembre 2013

I 15 post del 2013 più commentati su VMO

15) Simon & Garfunkel – Bridge Over Troubled Water (di gesti inconsulti ed eccezioni alle regole)

14) Velvet Gallery (8)

13) La saga tragica dei Love di “Forever Changes”

12) Blow Up n.177

11) La ribollita

10) Velvet Gallery (28)

9) Bruce Springsteen 1973-1995 (7): Born In The U.S.A.

8) Velvet Gallery (41)

7) 10 album che non regalerei al mio peggiore nemico

6) And the winner is…

5) David Bowie – The Next Day (ISO/Columbia)

4) Un lungo addio

3) Velvet Gallery (16)

2) La zuppa del casale (rock)

1) Game over

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I 15 post più letti nel 2013 su VMO

15) Pink Floyd 1967-1969 – Remember A Day (per i settant’anni di Roger Waters)

14) Dub per principianti – Storia e consigli per gli acquisti

13) Velvet Gallery (41)

12) The Strypes – Snapshot (Virgin)

11) Lou Reed (1942-2013)

10) Bastonate (a Morrissey)

9) Il primo volo magico di Claudio Rocchi

8) David Bowie – The Next Day (ISO/Columbia)

7) La ribollita

6) Keith Richards in 39 dichiarazioni

5) La ‘ggente la reclama a gran voce: Sufjan Stevens – Silver & Gold (Asthmatic Kitty)

4) Velvet Gallery (16)

3) 10 album che non regalerei al mio peggiore nemico

2) Un lungo addio

1) La zuppa del casale (rock)

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Emozioni da poco (9): Love e Lone Justice

La prima volta che scrissi del disco che, potendone salvare uno e uno soltanto, porterei con me sulla classica isola deserta: “Forever Changes”.

Bassifondi 9

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I 15 migliori album del 2013 di VMO

Garland Jeffreys - Truth Serum

15) Garland Jeffreys – Truth Serum (Luna Park)

House Of Love - She Paints Words In Red

14) House Of Love – She Paints Words In Red (Cherry Red)

Grant Hart - The Argument

13) Grant Hart – The Argument (Domino)

Jonathan Wilson - Fanfare

12) Jonathan Wilson – Fanfare (Bella Union)

Arbouretum - Coming Out Of The Fog

11) Arbouretum – Coming Out Of The Fog (Thrill Jockey)

Boards Of Canada - Tomorrow's Harvest

10) Boards Of Canada – Tomorrow’s Harvest (Warp)

My Bloody Valentine - mbv

9) My Bloody Valentine – mbv (My Bloody Valentine)

Primal Scream - More Light

8) Primal Scream – More Light (Ignition)

The Strypes - Snapshot

7) The Strypes – Snapshot (Virgin)

North Mississippi Allstars - World Boogie Is Coming

6) North Mississippi Allstars – World Boogie Is Coming (Songs Of The South)

Billy Bragg - Tooth & Nail

5) Billy Bragg – Tooth & Nail (Cooking Vinyl)

Cate Le Bon - Mug Museum

4) Cate Le Bon – Mug Museum (Turnstile)

Arctic Monkeys - AM

3) Arctic Monkeys – AM (Domino)

Eleanor Friedberger - Personal Record

2) Eleanor Friedberger – Personal Record (Merge)

Wolf People - Fain

1) Wolf People – Fain (Jagjaguwar)

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Yusef Lateef 1920-2013

Apprendo solo ora, con qualche giorno di ritardo, della dipartita da questa terra di Yusef Lateef, scomparso l’antevigilia di Natale alla bella età di novantatré anni. Spesi intensamente e splendidamente. Fiatista e compositore extraordinaire, il jazz gli fu sempre stretto e a ragione di ciò al jazz riuscì a conquistare tanti. Impossibile non innamorarsene per chi, per dire, arrivò a John Coltrane per tramite dei Byrds o dei Grateful Dead. Solo due volte mi è capitato di scrivere direttamente di costui. In questi termini, una decina di anni fa, raccontavo uno dei suoi album più classici, “Live At Pep’s”.

Yusef Lateef - Live At Pep's

Dice per una volta bene Scott Yanow: William Evans, meglio noto come Yusef Lateef, suonava world music quando nemmeno l’etichetta ancora esisteva e con un approccio di tale creatività che quanti in Occidente hanno trafficato con la suddetta materia dai ’90 in qua di rado possono vantare. In tempi in cui parlare di musiche del mondo faceva venire in mente al massimo la policromia tendente al delirante dell’exotica, Don Heckman, autore delle note di copertina originali di quest’album registrato in un club di Philadelphia il 29 giugno 1964, doveva viceversa mettere le mani avanti e, lodati gli esperimenti del nostro uomo con vari strumenti a fiato cinesi e sottolineata la sua capacità di inserire con naturalezza scale orientali in un ambito jazz, subito dopo provvedere a rimarcare la sua provenienza dalla tradizione blues e l’abilità di strumentista e improvvisatore. Giusto per non spaventare il pubblico più tradizionalista. Fa un po’ sorridere, ma d’altro canto Lateef fu un precursore persino rispetto a un Pharoah Sanders o a un Don Cherry e si può comprendere come al tempo di queste incisioni potesse parere un alieno.

Con le orecchie di oggi, “Live At Pep’s” è un disco di godibilità, inventiva e sentimento sensazionali, una passeggiata per il globo declinando jazz con prepotente tendenza alla contaminazione, siano i sapori di India di Sister Mamie (ispirata dal virtuoso dello shenai Bismallah Khan) o di tropici americani di Oscarlypso, la notte d’Arabia di The Magnolia Triangle o quella di New Orleans di See See Rider. Travolgente lo swing di Number 7 e di Twelve Tone Blues, squisita la malinconia di Gee Sam Gee, da urlo il flauto che graffia il boogie di Slippin’ & Slidin’.

Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.238, settembre 2003.

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Emozioni da poco (8): The Byrds

Qualche appunto dall’epoca in cui entrare nella quinta dimensione costava 8.500 lire.

Bassifondi 8

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Santa Soul Is Coming To Town (la compila natalizia)

Perché il fatto che oggi sia Natale non è una buona ragione per non essere funky.

9) Aretha Franklin – Joy To The World

8) Solomon Burke – Presents For Christmas

7) Ray Charles – Merry Christmas Baby

6) Booker T. & The MG’s – Merry Christmas Baby

5) Marvin Gaye – Christmas In The City

4) Stevie Wonder – What Christmas Means To Me

3) Al Green – Feels Like Christmas

2) James Brown – Soulful Christmas

1) Otis Redding – White Christmas

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Say It Loud – I’m Santa And I’m Proud (gli album natalizi di James Brown)

James Brown - The Complete James Brown Christmas

Lo so: la collocazione ideale di questa recensione sarebbe stata sul numero di fine novembre, più che in tempo per consentire al lettore di riflettere sull’opportunità di fare o farsi un altro regalino per fine anno. Ma sarà mica colpa mia se questo doppio CD che raccoglie, ingrassandoli con sette bonus, i tre LP natalizi del Godfather Of Soul (“Christmas Songs” del ’66, “A Soulful Christmas” del ’68 e “Hey America” del ’70) non mi è stato recapitato che il 21 dicembre? Quando già persino “Il Mucchio” di gennaio stava per atterrare nelle edicole. E tuttavia Santa Claus tornerà a visitarci e dunque… Considerata la velocità alla quale si volatilizzano le emissioni Hip-O Select e i prezzi stratosferici che raggiungono in breve, faranno però bene gli interessati ad accattarserlo adesso “The Complete James Brown Christmas”. Ne vale la pena? Assolutamente sì, giacché queste due ore e un quarto smentiscono la leggenda che l’unico album di canzoni natalizie buono mai pubblicato sia stato quello che curava nel ’63 Phil Spector. James Brown ne confezionava di quasi al pari brillanti ricorrendo a un trucco semplicissimo: intendere il Natale come un pretesto e declinare allora la musica che avrebbe sistemato in quegli anni su un qualunque altro suo disco. Aspettatevi un bel po’ di blues, con una speziatura di jazz, soul confidenziale fin troppo sexy sotto l’albero e – via via che ci si inoltra nell’ascolto – sempre più funky. Groovy!

Pubblicato per la prima volta su “Il Mucchio”, n.679, febbraio 2011.

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You’ve Got A Hit: il genio pop di Carole King

Carole King - Tapestry

Quel che si dice un classico sin dalla copertina, istantanea di serenità domestica con la titolare del disco seduta su un davanzale in una stanza in penombra, apparentemente meno anni impressi sul volto che accenna un sorriso dei ventotto che aveva, maglione e jeans e posa che fa notare i piedi scalzi e davanti a lei su un cuscino un gatto altrettanto mollemente adagiato: a parte la strepitosa qualità delle canzoni, alcune delle quali erano già state delle hit nelle versioni di altri, un po’ dovette contribuire questo scatto (fateci caso: lei enigmatica come una novella Gioconda) alle fortune di un album  che, pubblicato nel febbraio 1971, arrivava al primo posto della graduatoria di “Billboard” il 19 giugno e ci restava per quindici settimane. Trecentodue sarebbero state alla fine quelle di permanenza in classifica, quattordici milioni le copie vendute nei soli Stati Uniti in quei cinque anni e all’altezza del 1997 il Rolling Stone Book Of Women In Rock avrebbe aggiornato il conteggio a ventidue milioni. Trenta in tutto il mondo? Trentacinque? Ai Grammy del 1972 la King veniva premiata per il migliore LP, per la canzone dell’anno (You’ve Got A Friend), per l’incisione dell’anno (It’s Too Late), per la migliore esecuzione vocale pop femminile (Tapestry la canzone): altro record rimasto imbattuto. Molto dovette c’entrarci con un così clamoroso successo che il disco cogliesse benissimo (questione di istintiva sintonia, non progetto impostato a tavolino) l’atmosfera di ritorno al privato di quel passaggio di decennio, in disordinato ripiegamento le truppe hippie che avevano sognato un altro mondo possibile e parimenti in ritirata rabbiosa il movimento per i diritti civili, la tragedia del Vietnam all’acme, il Watergate non lontano ma prima Nixon sarebbe stato rieletto plebiscitariamente, alla faccia degli utopisti del rock. Contemporaneamente un sempreverde e una quintessenziale espressione della propria epoca, “Tapestry” pagherà il fio delle sue formidabili fortune non con l’ostracismo successivo della critica ma con la rimozione e per averne conferma cercate quante più liste vi riesce di “migliori album” e vedete in quante figura. È, come altri dischi che hanno venduto decine di milioni di copie, un grande rimosso  ma, al contrario dei più fra quelli, senza meritarlo. È un mezzo decennio che viene rigettato, mica il secondo LP solistico di Carole Klein King. E vi pare giusto?

Confesso tuttavia di non essere io stesso senza peccato. Mai scritto una cattiva parola su questa artista  e come avrei potuto? Essendo costei una che ha composto alcune delle canzoni più belle – e qui mi inginocchio prostrato dalla reverenza e appena li sussurro quei santi nomi – di Shirelles e Drifters, Everly Brothers e Animals, Byrds e Aretha Franklin. Però questo piccolo capolavoro l’ho per tantissimo tempo sottovalutato, considerando sempre la sua artefice in primo luogo una straordinaria autrice per altri, la coppia formata con il primo marito Gerry Goffin una delle più duttili e ispirate nella storia della canzone americana, e dopo, molto dopo una cantautrice valida, sì, ma volete mettere Joni Mitchell o Laura Nyro? L’acquisto qualche anno fa di un magnifico doppio CD – “A Natural Woman: The Ode Collection 1968-1976” –  mi ha un poco fatto ricredere ma lì di “Tapestry”, sebbene vi sia contenuto integralmente e con i dodici brani nell’ordine giusto (tracce dalla quinta alla sedicesima sul primo compact), finisce per sfuggire quanto sia bene articolato, come abbia un suo peculiare respiro. C’è voluto l’arrivo a casa mia della sontuosa edizione in vinile Classic Records per farmici finalmente “entrare” e dire che mi sono accorto che lo conoscevo a memoria. Fa nondimeno un altro effetto essere introdotti come in origine dallo scintillante intreccio di pop ed errebì, rock(’n’roll) e jazz di I Feel The Earth Move e da lì, in un sapiente gioco di vuoti e pieni, impennate e rallentamenti, passare a una ballata romanticissima come So Far Away, da quella allo scampanellante pop di It’s Too Late e da lì a una Home Again che mostra un’evidente prossimità a Paul Simon, alla zompettante giostrina di Beautiful, allo spiritual laico di Way Over Yonder. Si gira il disco e… pretenderete mica che vi racconti You’ve Got A Friend? Irresistibile tormentone sul lato giusto della melensaggine che l’amico James Taylor (qui alla chitarra acustica) in un certo qual modo scippava a Carole perché era la sua versione (stava registrando a due passi da lì “Mud Slide Slim”) a sfondare per prima. Nel mezzo del cammin della facciata l’intensissima lettura dell’autrice (con lo stesso Taylor e Joni Mitchell ai cori) di quella Will You Love Me Tomorrow? già un numero uno per le Shirelles nel 1960, la King a malapena diciottenne. Come congedo un’asciuttissima (You Make Me Feel Like) A Natural Woman che se non vale l’interpretazione di Aretha è solamente perché quella sconfina nella trascendenza.

Non saprei dire se contò qualcosa per il suo successo, ma resta il fatto che dopo tutti questi anni “Tapestry” suona ancora benissimo, uno di quegli album da far girare per capire se un impianto è valido, incisione di un’essenzialità e un equilibrio mirabili che coglie ogni sfumatura della voce, fotografa il piano e gli archi con una nitidezza rara, fa sentire il legno e il metallo delle percussioni, colloca con precisione ogni esecutore in una plastica immagine sonora che presto svanisce e con il volume giusto puoi dimenticarti che stai ascoltando un disco: il complimento più grande, in materia di alta fedeltà.

Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.259, luglio/agosto 2005.

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Emozioni da poco (7): Quicksilver Messenger Service

Seconda immersione nelle nebbie lisergiche della Bay Area.

Bassifondi 7

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