Della copertina come opera d’arte: l’esordio dei Black Sabbath

Ci avete fatto caso? È un venerdì 13. Scusa perfetta per recuperare una pagina che scrissi riguardo al disco più influente che mai sia stato pubblicato – non casualmente – un venerdì 13. Uno dei dischi più influenti di sempre e stop.

Black Sabbath - Black Sabbath

Una delle più bizzarre aberrazioni prodotte dall’introduzione del CD fu – non rammento né l’anno né il marchio, né se si trattasse giusto di un prototipo o se fu in effetti commercializzata – una testina fonografica… senza puntina: era un raggio laser a leggere il microsolco (posso immaginare che tale testina potesse essere montata solo su bracci tangenziali), eliminando così, in assenza di un contatto fisico, il problema dell’usura del vinile. L’idea non era poi così bislacca, ma evidentemente il curioso oggetto non doveva funzionare granché bene se è sparito senza lasciare tracce, a parte un vago ricordo nella memoria degli appassionati. Peccato. Forse il compact disc non si sarebbe imposto tanto velocemente in presenza di una simile invenzione. Non che io abbia alcun pregiudizio contro quello che è da ormai tre lustri il supporto più diffuso, ne apprezzai da subito maneggevolezza e capienza (assai meno un suono che impiegò anni a perdere una patina di artificiosità), ma ho altresì sempre pensato che uno dei suoi principali pregi, le dimensioni ridotte che consentono di archiviare in poco spazio quantitativi immani di musica, sia nello stesso tempo il difetto che più lo fa detestabile. Insomma: mi garberebbe di più se avesse un diametro di trenta centimetri come i buoni, vecchi dischi in sacro vinile. Lo amerei di più non avesse assassinato l’arte della copertina discografica, ambito in cui quanto è grosso – lo spazio che hai a disposizione per esprimerti – conta eccome. Perché puoi essere inventivo quanto vuoi (e c’è chi, Bruce Licher ad esempio, con il CD ha realizzato oggetti splendidi), ma una cosa è potere contare su 31 centimetri per 31, quando non per 63 in caso di copertina apribile, altra sulla miseria di 12 per 12. Estraggo dalla sua pesante busta di plastica trasparente la ristampa griffata Earmark del primo, omonimo 33 giri dei Black Sabbath, la spalanco e per l’ennesima volta mi perdo (nulla in questo senso è cambiato da quando un compagno di liceo mi prestò la sua copia) nell’immagine quintessenzialmente gotica della misteriosa signora in nero, in piedi in mezzo a una palude vestita dai colori dell’autunno. Alle spalle, una casa che in tale contesto pare non meno sinistra. Getto un’occhiata al CD e ne resto un po’ schifato. Rifletto su quanto in questo caso il fascino che promana dalla copertina sia parte integrale dell’essere tale disco un capolavoro e mi dispiace per il ragazzino che, inevitabilmente, a essa non potrà dare che uno sguardo distratto: molto si perde, moltissimo. Estraggo il disco, faccio scivolare la puntina sui solchi esterni, getto un’occhiata perplessa – nulla si ode dai diffusori – alla manopola del volume, convinto di essermela dimenticata sullo zero e invece no, è su una tacca che incrementerà la mia popolarità nel condominio. Dal silenzio assoluto del vinile vergine si levano uno scrosciare di pioggia e campane a morto. Poi un lento, mefitico, squassante riff.

Sono imbarazzato. Mi sento un po’ scemo a raccontare un album che non posso credere che un solo lettore di questo giornale non conosca, qualunque sia la sua età, raro esempio di quel tipo di cose che ti spari in cuffia a tredici anni e ti cambiano la vita e puoi riascoltarle decenni dopo senza vergognartene. Un classico che venne spernacchiato all’epoca dell’uscita dalla stampa, come tutti i dischi successivi dei Sabbath (almeno due dei quali possono legittimamente essere detti, come questo, delle pietre miliari). Solo che poi ci si è resi conto che, se un singolo LP ha inventato l’heavy metal, ebbene: eccolo. E infiniti, metallici sottogeneri. E lo stoner. E… Non male per essere l’esordio frettolosamente assemblato (“Ci avevano dato due giorni per registrarlo. Al tempo non sapevamo se due giorni fossero tanti o pochi. Così incidemmo tutto in un giorno solo”, riferisce il chitarrista Tony Iommi) da quattro ragazzetti che in precedenza tutt’altro avevano suonato: blues, pop-rock intriso di psichedelia. Non che qui non ci sia del blues (l’armonica di The Wizard lo è, indiscutibilmente, e così l’impianto di Evil Woman). Non che non ci sia un’attitudine psichedelica (espressa da bislacche trovate come l’intreccio di chitarra acustica e scacciapensieri che introduce il pauroso riffarama di Sleeping Village; e che dire di The Warning, che parte direttamente con un assolo di elettrica?). Ma ciò che alla fine ricordi è il mostruoso muro di suono che ti si staglia davanti e che fa di quest’album uno dei… dieci?… più influenti (o semplicemente copiati) della storia del rock.

Veniva pubblicato il 13 febbraio 1970 (un venerdì, ça va sans dire) e subito violava i Top 10 britannici e sfiorava i Top 20 statunitensi. Non passavano che sette mesi e aveva già un successore, “Paranoid”, ancora più scuro e possente, numero uno nel Regno Unito, numero dodici negli USA. Nel 1971 toccava a “Master Of Reality”, copertina minimale quanto quella di “Black Sabbath” era stata affresco in cui obnubilarsi, il nome del gruppo in viola, il titolo del disco in rilievo e in nero su sfondo nero. La Earmark ha ristampato pure questo ed è l’occasione giusta per verificare come in trentadue anni non abbia smarrito un’infinitesimale frazione del suo rude fascino. Per stupirsi di fronte al folk di Orchid e di Solitude e alla sensibilità ecologica esibita (anche in questo anticipatori!) dai presunti satanisti di Birmingham nel gioco al massacro di Into The Void.

Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.237, luglio/agosto 2003.

20 commenti

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20 risposte a “Della copertina come opera d’arte: l’esordio dei Black Sabbath

  1. giuliano

    ce l’ho, questa stampa earmark.
    la qualità del vinile era davvero superba, vinile davvero vergine, a differenza di altre etichette (il cui vinile tutto ha fuori che la verginità).
    i prezzi poi erano davvero contenuti: lo comprai, come altri earmark, a 14 ero circa. Si poteva fare.
    oggi spesso, troppo spesso, i prezzi continuano a rimanere alti.
    d’altra parte, vedo che queste “vecchie” stampe earmark cominciano ad avere quotazioni altine nell’usato (sui 30 euro): crisis? what crisis? possono tenersele, possono.
    mi pare pacifico però che non prendevano i master originali, bensì la copia digitale usata per i cd. o no?.
    comunque, anche la earmark oggi è un ricordo del passato.

  2. “Black Sabbath” è il chiodo sulla bara della nazione hippie; forse il più grande album del 1969, che è tutto dire.
    La casa sullo sfondo è il mulino di Mapledurham, vicino a Oxford.
    Sul discorso artwork e cd, c’è da dire che la plastica della scatola non aiuta: è come paragonare due chiacchiere tra amici e un colloquio carcerario con la barriera divisoria.

    • giuliano

      Il disco, in realtà, è del 1970 (venerdì 13 febbraio 1970).
      In quanto all’Lp che ha ucciso gli anni ’60 propenderei per “The Stooges”, che infatti arrivò nei negozi la settimana di Woodstock.
      Rimanendo in tema di date e ricorrenze, mi viene in mente che tra due giorni saranno passati 40 anni tondi dallo storico concerto di Lou Reed all’Howard Stein’s Academy of Music, New York, da cui sarebbe stato tratto “Rock and roll animal” (e susseguentemente “Lou Reed Live”). Era il 21 dicembre del 1973.

      • Hai ragione, ma resta il fatto che è il più grande disco del, e forse anche dal, 1970. Consentimi, però, di ribadire che è “Black Sabbath” il genocidio dei figli dei fiori; “The Stooges” è innovativo ma non altrettanto deflagrante, né sulle prime né sul lungo periodo.

      • giuliano

        E’ un’opinione, la tua, comprensibile (da appassionato quale sei di hard ‘n heavy). Ma dissento.
        Amo assai il primo dei BS, ma la sua influenza, imponenentissima, mi pare più circoscrivibile. Ciò non toglie che il marchio di fabbrica sonoro e l’immaginario che hanno saputo costruire abbia lasciato innumerevoli tracce anche oltre i confini dell’Hard ‘n Heavy (gli Arctic Monkeys, per dire un nome a caso).
        Gli Stooges invece, a mio parere, hanno lavorato sugli elementi di base del rock and roll allargandone i confini, il significato e le possibilità. Un po’ come, in altro modo chiaramente, i Velvet Undergound (non mi pare un caso che John Cale sia stato il produttore del disco degli Stooges in questione).
        I dischi degli Stooges, affilati, potenti, essenziali, tagliano in lungo e in largo i decenni successivi. Arrivano fino al 2013 come se fossero appena usciti. Almeno così suonano alle mie orecchie.
        Nel suono dei BS ci senti invece una cupa sovrastruttura, bellissima e affascinante beninteso, che alla lunga ne circoscrive però le possibilità e che rimane più legata all’epoca nella quale fu prodotto – epoca alla quale, sia chiaro, contribuirono essi stessi a dare senso.
        Nel 1977 anche i BS erano considerati, magari esagerando, degli “old farts”.
        Punti di vista.

        Sarebbe bello avere un’opinione, anche stringatissima, del Maestro.

      • Gian Luigi Bona

        Interessante punto di vista che condivido.
        Sentiamo il Venerato cosa dice.

      • I Black Sabbath nel 1977 erano prossimi a toccare il loro minimo storico. Ciò detto, non metterei mai in gara loro e gli Stooges per una semplice ragione: campionissimi nei rispettivi ambiti, non hanno mai giocato in realtà lo stesso sport.

  3. Gian Luigi Bona

    Nulla mi toglie dalla testa che il crollo delle vendite dei dischi non sia dovuto anche o almeno in parte alla fine dell’arte delle copertine.
    Le copertine davano un’immagine iconica di quello che si sentiva e dell’artista.

  4. Sonica

    Ho comprato il cd, tanti anni dopo e la copertina del cd non rende appieno la complessità artistica. ma c’è da dire che io e l’esordio dei Black Sabbath abbiamo la stessa età, quindi mi sono persa il vinile, per ragioni storiche 🙂

  5. paolo stradi

    Non sono d’accordo con quella che, almeno qui, mi sembra la maggioranza delle opinioni. In un disco quello che conta (come nel calcio, solo il risultato, checchè ne dicano certuni) è solo la parte “uditiva”. Il resto è solo fuffa. Io, per dire, posseggo un vinile di Orietta Berti con una copertina meravigliosa, ma ascoltarlo sinceramente mi stimola certe necessità fisiologiche… Quando invece metto su il CD di TAGO MAGO (con una copertina, ad essere generosi, insignificante) vado in Paradiso… Embè? Dai su, non facciamo gli integralisti, il disco di cui si parla qui sopra passerà alla storia per la musica. E basta. Come tutti i grandi dischi. E sono convinto pure che il CD è, e rimarrà, un supporto vincente.

    • Quindi “Sgt. Pepper’s” sarebbe stato “Sgt. Pepper’s” anche senza quella copertina lì? Per dirne giusto uno, eh?

      • paolo stradi

        Per l’amor di Dio, Eddy, la mia è solo un’opinione, vale per me e basta. Per ampliare la discussione volevo portare un esempio, anzi due. Posseggo due vinili, Electric Ladyland e Beggar’s Banquet, e il rispettivo CD. Nel primo caso donnine nude e primo piano virato in rosso, nel secondo all white e interno wc. Ebbene, in tutti i casi, capolavori. Punto.

    • Gian Luigi Bona

      Le copertine sono state fondamentali per lo sviluppo del rock e della sua cultura. Non credo si possa discutere su questo.
      Il paragone con Sgt. Pepper è uno dei più calzanti ma non solo.
      Per esempio c’è la cover di Born To Run, di London Calling, di Aladdin Sane e centinaia di altre.

  6. Beta

    Grande disco.
    La qualità della musica indiscutibilmente conta; come darti torno.
    Cio nonostante il fascino delle copertine incentivava l’acquisto, e spesso riconoscendo copertine famose su magliette di altri ti potevi fare amici.

    P.S.
    Caro Eddy. Se questo è tra i dieci album più influenti del rock; e con Velvet, Beatles, Dylan e Clash arriviamo a 5: quali sono gli altri secondo te?

    • Beatles quale? Dylan quale? Giochino che lascia un po’ il tempo che trova… Per dire: l’influenza di “Pet Sounds” oggi pare molto vistosa ma non è sempre stato così, quella di Nick Drake ha impiegato decenni a emergere, “Remain In Light” per un po’ è stato rimosso… eccetera. Eccetera.

      • Beta

        Ovviamente il mio è un gioco. Come quando in birreria con amici inizia una “discussione” (che lascia il tempo che trova, appunto) su quale album dei Radiohead sia il migliore.
        La mia era pura curiosità, consapevole che la lista è eternamente aperta e in continuo cambianento…..come Nick Hornby insegna.

  7. Disco splendido. Il mio preferito dei Black Sabbath resta “Sabbath Bloody Sabbath”, ma l’omonimo è mostruosamente emozionante. http://riservaindipendente.wordpress.com/

  8. Federico Zeta

    Interessante andare a vedere la lista delle cover Vertigo, molte dello stesso autore di quella descritta da Eddy

    http://rateyourmusic.com/list/alabaster/record_label_list__1__vertigo/

  9. Ho il cd e il vinile originale d’importazione inglese,la copertina del vinile è un altra cosa a mio parere il disco originale nostante abbia 44 anni suona ancora discretamente è suono puro “analogico”,lo pagai 80 euro qualche anno fa ora ho visto che è quotato oltre i 100

  10. Mimmo Monopoli

    vorrei dire qualcosa sul discorso cd/vinile: in parte sono d’accordo con Paolo Stradi, la musica rimane la parte fondamentale di un lavoro e il cd con il tempo ha raggiunto livelli che il vinile non potrà avvicinare( parere personale,certo), e lo dico vecchio (ho 61 anni) appassionato che si è innamorato della nostra musica con il vinile (il cd non esisteva) ma che non ha mai sopportato i raschi,i rumori,le deformità,insomma tutti i difetti del vinile che per me ne rendevano ….faticoso l’ascolto. Poi oggi il vinile è diventato per molti una moda,è trend acquistarlo, esibirlo magari senza ascoltarlo,tanto che i prezzi sono molto alti e non credo solo perchè ci siano pochi impianti per produrlo. Sono comunque d’accordo anche con Eddy,la copertina è stata ( ora non piu’) componente importante ma solo per dischi di qualità perchè non credo si ricordino o si acquistino dischi brutti con copertine meravigliose; come Eddy avrei preferito che i cd fossero inseriti in custodie delle stesse dimensioni di quelle dei vecchi vinili,che sicuramente avrebbero occupato piu’ spazio ma ,come giustamente sostiene il venerato maestro,non avrebbero assassinato
    l’arte della copertina discografica

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