Linda Perhacs – The Soul Of All Natural Things (Asthmatic Kitty)

Linda Perhacs - The Soul Of All Natural Things

A definire “atteso”, quarantaquattro anni dopo una meraviglia di nome “Parallelograms” che peraltro all’epoca nessuno ascoltò, il ritorno di Linda Perhacs si incorre insieme nell’understatement e in una grossolana forzatura della realtà. La verità è che per quanto, da un decennio a questa parte, il culto abbia visto ingrossarsi esponenzialmente le sue fila sempre culto resta. Fermate dieci, cento, mille persone per strada e chiedete loro di farvi il nome di una ex-igienista dentale e dieci, cento, mille ve ne diranno un altro (ogni paese ha forse quelle che si merita). La verità è che, benché i segnali in tal senso si stessero moltiplicando sin dal 2010, in pochi anche fra i più ferventi dei fedeli credevano davvero che la riapparizione a una ribalta in fondo mai calpestata sul serio avrebbe fruttato più di qualche ospitata in dischi altrui. Fuori luogo chiamare in causa un’altra celebre (si fa per dire) ritornante quale Vashti Bunyan, giacché le due vicende – artistiche, umane – sono distanti ben oltre l’oceano e il continente intero che le separano. Che di “The Soul Of All Natural Things” si stia poi parlando (mia impressione) più di quanto a suo tempo si parlò di un “Lookaftering” rimasto isolato sarà forse dovuto al fatto che la storia di Linda (la raccontavo qui) è persino più singolare di quella di Vashti. Oppure a una miseria della contemporaneità che si direbbe, se possibile, ancora più pronunciata di nove anni or sono. Si è scritto di più di questa oggi settantenne californiana nell’ultimo paio di mesi che in tutto il tempo precedente trascorso da quando “Parallelograms” passò direttamente dalle vasche delle novità a quelle delle offerte, salvo ricomparire tre decenni dopo fra le selezioni di rarità da pagare a peso d’oro.

E allora com’è il secondo album più aspettato di sempre? Già un prodigio, naturalmente, che sia uscito e converrà accostarvisi con in testa questo semplice concetto: i miracoli non si replicano. Non subito, figurarsi quasi quattro decenni e mezzo in differita. Il tempo non è trascorso senza lasciare segni. Per quanto ancora sorprendentemente giovane e fresca la voce della Perhacs non è più quella che era e se il lontano predecessore poteva venire grossomodo catalogato alla voce “acid folk”, ma resta comunque un unicum, tanto in questo disco nuovo risulta in qualche modo già ascoltato e non sempre in quel suo distante antecedente. A volere appiccicare etichette a ogni costo qui siamo più dalle parti di un dream pop depurato di ogni pur minima traccia di rumore, o ancora di più (scusate la parolaccia) di certa new age. E paradossalmente a situarlo in una territorio a rischio di banalità e noia più che la musica è una weltanschauung rimasta la stessa del ’70: alla vita Linda Perhacs si approccia tuttora con la stupefacente innocenza della ragazza che fu. Tuttavia non ci si annoia, no. Volano i quarantadue minuti che separano l’attacco incantato della traccia inaugurale e omonima dal consegnarsi al silenzio di una celestiale e ipnotica – un recitativo al centro – Song Of The Planets. In mezzo qualche mezzo miracolo c’è. L’avvolgente valzer intessuto di archi Children, una sospesa e adeguatamente caleidoscopica Prisms Of Glass, l’attacco chiesastico e i giochi di voci di When Things Are True Again. Spiace giusto – non perché sia pessima, solo che dispiega una “modernità” che quantomeno alle mie orecchie suona posticcia – una Intensity dalle atmosfere 4AD e dalle scansioni semidanzabili. Alla leggenda di Linda Perhacs “The Soul Of All Natural Things” nulla aggiunge e semmai qualcosa sottrae, ma è stato lo stesso un piacere incontrarlo e trascorrerci insieme qualche ora.

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