Non ci avevo mai fatto caso: al netto di una manciata di recensioni (una delle quali mai pubblicata dal giornale che me l’aveva richiesta) questo è l’ultimo articolo che io abbia mai scritto per “Il Mucchio”. Non sono passati che due anni e cinque mesi, ma mi sembrano secoli.
Rispetto è dovuto a chi seppe guadagnarselo cogliendo subito il livello artistico, ma soprattutto la valenza in prospettiva, di “Turn On The Bright Lights”, esordio in lungo su Matador nell’agosto 2002 per gli Interpol. Applausi dunque al recensore di “Pitchfork” (lo citiamo non a caso, essendo il gruppo newyorkese forse il primo esempio di successo nato in Rete piuttosto che sui media tradizionali), che del disco in questione osservava che “non sarà un nuovo ‘Closer’, o un secondo ‘OK Computer’, ma non è impensabile che questa band possa un giorno aspirare a simili altezze”. Applausi a quello di “PopMatters”, che azzardava che, lungi dal limitarsi a cavalcare una moda, gli Interpol stessero scrivendo la Storia. Se permettete, lasciando il centro dell’Impero e tornando alla carta stampata, un “bravi!” ce lo meritiamo però pure noi, giacché non erano passati che giorni dall’uscita del loro primo album quando Paul Banks, Daniel Kessler, Carlos Dengler e Samuel Fogarino si ritrovavano sulla copertina del giornale che avete in mano. Ma soprattutto – e come sempre; e quanto ci manca! – rispetto è dovuto al compianto John Peel, che in occasione del loro primo tour britannico faceva registrare agli Interpol una delle sue leggendarie sessioni radiofoniche molti mesi prima che “Turn On The Bright Lights” vedesse la luce. Venivano immortalati nell’occasione quattro brani che si sarebbero poi tutti ritrovati fra gli undici dell’album e sono queste quattro incisioni a suggellare il CD aggiunto all’edizione del decennale del disco. Non sorprende che gli Interpol già vi esibiscano una rimarchevole maturità. Erano a quel punto in scena da tre anni e avevano perfettamente forgiato uno stile che pare oggi meno derivativo, o come minimo meno ricalcato su un unico modello, di quanto non sembrò allora.
Non ve n’eravate accorti? Ha probabilmente stabilito un record questa pagina: duemila battute riguardo a Paul Banks (leader no, portavoce sì) e compagni senza che ancora siano stati citati i Joy Division. Fatto! In Obstacle 2, in Hands Away, in The New, in NYC – ma più in generale nell’intero “Turn On The Bright Lights” – risuona più che una semplice eco del gruppo che fu di Ian Curtis: nelle chitarre sincopate come nel basso melodioso, nella batteria angolosa e più che altro in un cantato ombroso che incrementa la cupezza delle atmosfere. Nondimeno nella terza e nella quarta, a bene ascoltare, sono individuabili non meno chiaramente certi R.E.M. gotici, laddove Say Hello To The Angels è la più clamorosa canzone degli Smiths che gli Smiths si dimenticarono di scrivere, Obstacle 1 rimanda ai Talking Heads più nevrotici, Stella Was A Diver And She Was Always Down a Echo & The Bunnymen e PDA trasloca all’ombra della Grande Mela i Fall più pop.
Con il senno datoci da questa ristampa espansa (non solo due CD, anche un DVD con otto estratti da un concerto del settembre 2002 e tre clip), possiamo affermare che a rendere l’album il piccolo classico che oggettivamente è fu pure uno stringente controllo sulla qualità dei pezzi inclusi. Ne restavano fuori canzoni rispettabilissime (la nuova edizione ne regala una mezza dozzina, un paio del tutto inedite per la gioia degli estimatori di lungo corso oltre che di chi ci arriva oggi) e che però, vi avessero figurato, ne avrebbero sciupato gli equilibri, i giochi chiaroscurali, l’armoniosità del fluire. Cosi com’era (ed è, siccome le bonus sono state saggiamente sistemate tutte sul secondo dischetto), l’album si consegna definitivamente agli annali maggiori del rock segnalandosi nel farlo come l’opera che da sola avrebbe potuto giustificare la decisione di Simon Reynolds di scriverci un intero volume sulla retromania che contraddistingue i giorni nostri. Nel loro reinterpretare assortiti passati incrociandoli, nel loro evocare un’epoca – quella della new wave – con un sottile scarto che fa la ricostruzione altra rispetto al modello, gli Interpol si svelano paradossalmente modernissimi.
Pubblicato per la prima volta su “Il Mucchio”, n.701, dicembre 2012.
Mi piacerebbe sapere cosa pensi degli altri dischi degi Interpol e dei dischi solisti del cantante.
Pollice in su per tutti. Per “Antics” in particolare. Quelli di Paul Banks li ho ascoltati un po’ distrattamente e preferisco non pronunciarmi.