Paul Simon sotto i cieli africani di Graceland

Avrete letto anche voi della… disavventura domestica in cui giusto ieri sono incappati Paul Simon e la sua bella quanto talentuosa moglie. Che dire? A parte che il caso già si sta sgonfiando, be’, sono cose che a volte capitano anche nelle migliori famiglie. E se si tornasse a parlare di musica? Ad esempio di “Graceland”: classico istantaneo e a suo tempo campione di incassi, disco epocale come pochi e incidentalmente pure un’influenza – decisiva e clamorosa – su una delle band più chiacchierate degli ultimi anni, i Vampire Weekend.

Paul Simon - Graceland

Classe 1941, Paul Simon è probabilmente l’unico artista ad avere attraversato la storia della popular music dall’epoca del 78 giri (usciva anche così Hey Schoolgirl, successo colto appena sedicenne e già in coppia con Art Garfunkel, ma sotto l’imbarazzante sigla Tom & Jerry) a quella dell’mp3. Un altro record del cantautore di Newark: era il primo in area pop-rock a pasticciare con quella che molto dopo sarebbe stata chiamata world music. L’anno era il 1970, l’album l’ultimo in studio con Garfunkel, “Bridge Over Troubled Water”, il brano El condor pasa, escursione andina a dire il vero alquanto kitsch ma tant’è. A inizio 1972, nell’omonimo 33 giri che tutti scambiano per il suo esordio in proprio quando già aveva pubblicato un disco da solista nel ’65, il nostro uomo risultava decisamente più convincente in una Duncan di analoga ispirazione e soprattutto nel calypso Me And Julio Down By The Schoolyard e nel reggae – in anticipo di due anni sul Clapton di I Shot The Sheriff, di uno sull’ascesa allo stardom di Bob Marley, di qualche mese su The Harder They ComeMother And Child Reunion. Inciso in Giamaica, con Leslie Kong in regia.

1984. Dopo avere disseminato di successi di critica e di pubblico la prima metà degli anni ’70, Simon è entrato nel tunnel di una crisi prima esistenziale (quantomeno un doloroso divorzio gli ha ispirato nel ’75 lo straordinario “Still Crazy After All These Years”) e quindi artistica (un mezzo disastro nell’83, pur regalando alcune canzoni superbe, “Hearts And Bones”) che gli sembra senza uscita. Pensieri di ritiro gli traversano la mente quando un bel giorno, guidando, infila nell’autoradio una cassetta di un gruppo sudafricano, tali Boyoyo Boys, prestatagli da un amico. È un’epifania degna di quella primigenia di San Paolo. Un brano in particolare – Gumboots – entusiasma il Nostro a tal punto da fargli ritagliare un testo in inglese sullo spartito originale ed è l’inizio del progetto “Graceland”. Registrato in gran parte in Sudafrica, in violazione della lettera ma non certo dello spirito dell’embargo che vigeva allora contro il regime razzista di Pretoria, fra l’ottobre ’85 e il giugno ’86, l’album veniva pubblicato il 12 agosto sempre dell’86 da una Warner ancora scottata dalle vendite deludenti dei due precedenti LP e a dir poco scettica che un disco così eclettico, e dalle sonorità spesso esotiche per l’orecchio americano, potesse funzionare. Quattordici milioni di copie vendute (cinque nei soli Stati Uniti) la faranno ricredere.

A parte quello ovvio, vale a dire l’altissima qualità della scrittura, il principale punto di forza di un’indubitabile pietra miliare quale è “Graceland” è quello di non essere ciò che facilmente sarebbe potuto diventare, vale a dire la gitarella turistica di una popstar in un paese del Terzo Mondo in cerca di fonti di ispirazione fresche da espropriare, bensì un lavoro di genuina fusione – in una cornice non colonialista ma di incontro paritario – fra culture. Vi convivono zydeco e mbaqanga, pop, rock e tex-mex, diresti di stare ascoltando doo wop e invece è isicathamiya. Ci sono Ladysmith Black Mambazo, Miriam Makeba e Youssou N’Dour ma anche gli Everly Brothers, i Los Lobos, Adrian Belew e Linda Ronstadt. Under African Skies, come recita il titolo di una canzone che – paradossalmente, coerentemente – finisce per suonare come la più “occidentale” del lotto. Meno coerente e al pari paradossale è che il venticinquennale dell’uscita di questo capolavoro a suo tempo osteggiato si appresti a venire celebrato con un profluvio di riedizioni una sola delle quali dovrebbe interessare all’appassionato che ancora non lo possieda o desideri cambiare la sua copia usurata o, al confronto, malsuonante: la più essenziale, un CD con sei tracce aggiunte al programma originale e in più un DVD a meno di venti euro. Pura follia speculativa, allo zenit con un box che costerà dieci volte tanto, tutto il resto.

Pubblicato per la prima volta su “Il Mucchio”, n.695, giugno 2012.

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