Happy Birthday To Siou(xsie)

Compie oggi gli anni Susan Janet Ballion, meglio nota con il nome d’arte di Siouxsie Sioux. Curiosamente, non ho un vero articolo su di lei – e sull’epopea Banshees – da tirare fuori dagli archivi, siccome sull’indimenticato “Extra” altri (eccellentemente) se ne occupò. Celebro allora la ricorrenza ripubblicando due recensioni che, messe insieme, sintetizzano comunque bene il mio pensiero su una bad girl che fece epoca e sui suoi formidabili sodali.

Siouxsie And The Banshees - Voices On The Air The Peel Sessions

Voices On The Air: The Peel Sessions (Polydor, 2007)

Quanto ci manca John Peel! Che guida preziosa sarebbe ancora per orizzontarsi in un’attualità ingestibile da noi comuni umani, quando lui fino alla fine ebbe un radar pressoché infallibile per qualsiasi cosa nuova valesse la pena conoscere. E quanto ci fa rodere il pensiero che se ne sia andato proprio quando gli sviluppi tecnologici avevano reso facile seguirlo anche a chi non abita nel Regno Unito. Nel contempo, quanto ci consola che abbia lasciato un’eredità a tal punto immane che, benché siano ormai vent’anni che escono raccolte di incisioni per questo o quello dei suoi programmi, ancora tanto resta da recuperare. Si pubblica per la prima volta, si riordina o entrambe le cose. Si prendano ad esempio Siouxsie & The Banshees. Nel 1987 e nel 1989 erano usciti due dodici pollici con le loro prime sedute di registrazione per Peel – rispettivamente del 29 novembre ’77 e del 6 febbraio ’78 – e fra le svariate centinaia di mix residuo di quando recensivo i singoli per questo e poi un altro giornale li ho conservati da allora come due dei più preziosi. L’uno e l’altro come minimo da Top 20, azzarderei. Nel 1991 erano stati messi assieme in un mini, peraltro da tempo di ardua reperibilità, ma non mi risulta che a oggi le tre sedute successive – 9 aprile ’79, 10 febbraio ’81 e 28 gennaio ’86 – avessero mai ricevuto una stampa legale. Eccole qua, finalmente riunite in settanta minuti netti di totale memorabilità. Anche se poi sono proprio le due già edite a farsi preferire.

Ho sempre pensato che i migliori Banshees siano stati i primissimi. Nemmeno quelli dell’esordio a 33 giri “The Scream”, no. Bensì quelli che San John catturava diversi mesi prima che ponessero mano a quel comunque colossale debutto, addirittura prima che rimediassero un contratto discografico. Lontani dagli stereotipi gotici nei quali alla lunga cadranno, quei Banshees facevano onore al loro nome facendo mulinare svelte nenie e innodie ultramondane, e un’elettrica affilata come una lama di Toledo e urlante come un gatto indemoniato, su un tribale tambureggiare a rotta di collo. Quintessenza di punk, ma già un passo oltre. Sta qui la Love In A Void definitiva, è qui che la paranoia di Suburban Relapse non fa prigionieri, qui Hong Kong Garden induce centripeta al delirio e allora si salvi chi può dall’Helter Skelter. Siamo alla trascendenza. Più terreno il resto di un programma in ogni caso rimarchevole, in particolare in una stentorea Regal Zone e in una Voodoo Dolly della quale Patti Smith avrebbe potuto menar vanto.

Pubblicato per la prima volta su “Il Mucchio”, n.630, gennaio 2007.

Siouxsie And The Banshees - A Kiss In The Dreamhouse

A Kiss In The Dreamhouse / Nocturne / Hyeana / Tinderbox (1982, 1983, 1984, 1986; ristampati Polydor, 2009)

Dice bene Paul Morley nelle stupende – stupende! – note che accompagnano ciascuna di queste quattro ristampe e in particolare in quelle a corredo di “A Kiss In The Dreamhouse”: “Fra noi c’era chi ascoltava Siouxsie & The Banshees (…) per via di come sapevano trasformare in musica pop l’agonia della vita e della morte. Altri, bene o male che fosse, li prendevano molto più seriamente”. Colpa di questi ultimi se a un certo punto, proprio a partire dall’82, che era quando usciva il primo di questi quattro album, si cominciava a percepire Susan Dallion e compagni se non (ancora) come delle macchiette quantomeno come gente in parabola calante. Ridotta a un’iterazione sempre meno ispirata, dopo avere ideato archetipi, di stereotipi. Colpa della marea montante di gruppi e gruppetti dark e dei loro fan così lugubri da far ridere. I Banshees avevano liberato la bestia gotica e per quanto si potesse avere amato uno o tutti i fantastici quattro primi LP – “The Scream”, “Join Hands”, “Kaleidoscope” e “Juju” – riusciva difficile non rimproverarglielo. Che avevamo fatto di male per meritarci il Batcave? Così questi secondi quattro LP della compagine londinese, usciti fra l’82 e l’86 e adesso rimasterizzati ed espansi (unica scaletta invariata quella di “Nocturne”), venivano accolti complessivamente non male ma con molta sufficienza e poca attenzione.

Togliamo pure dal conto “Nocturne”, che è il più classico dei doppi (di CD ne basta uno) dal vivo e sul quale – annotato magari con soddisfazione di un’asciuttezza che rimandava ai bei tempi antichi – non è che ci fosse da ricamare chissà che. Ciò premesso, con il senno e la prospettiva del poi stupisce che non si siano colte al tempo sia la bellezza che le caratteristiche che li facevano ciascuno peculiare e chiaro indizio di un gruppo tutt’altro che immobile e sempre uguale a se stesso. Oggi si possono valutare meglio la sottile vena sperimentale che attraversa “A Kiss In The Dreamhouse”, la sapienza degli arrangiamenti a tratti neo-classici di “Hyaena”, l’inclinazione sorprendentemente uptempo (più le atmosfere che i ritmi in sé, si badi) di “Tinderbox”. Ben al di là di qualche canzone della cui memorabilità ci si rese conto subito (Cascade, Swimming Horses, Candyman, Cities In Dust) è una quaterna con non molto da invidiare alla prima. La discesa vera comincerà dopo. O no? Qualche settimana fa mi è capitato di riascoltare “Peepshow” e di scoprirlo infinitamente superiore al mediocre ricordo.

Pubblicato per la prima volta su “Il Mucchio”, n.658, maggio 2009.

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