Se ne parla già da alcune settimane un po’ ovunque, quando alla pubblicazione dei “Complete Basement Tapes” manca ancora, a oggi, un mese esatto. Insomma: uno degli album più genuinamente attesi del 2014 è un box di sei CD che espande a dismisura quella che all’altezza della prima uscita, nel 1974, era già una raccolta (allora “solo” un doppio LP) di materiali d’epoca, con dentro incisioni, ufficialmente inedite ma ampiamente bootlegate in precedenza, risalenti al 1967. E mi pare che ciò sia estremamente significativo in due sensi: per come fa sospettare che nel 2014 di musica nuova interessante ce ne sia in giro pochina, se è vero come è vero che l’usato sicuro tira come non mai; e per l’ennesima dimostrazione che si sta per dare di come quello degli archivi dylaniani sia un pozzo apparentemente senza fondo, in cui a ventitré anni dalla pubblicazione del primo, triplo e a suo modo epocale volume della “Bootleg Series”, ancora si possono pescare materiali degnissimi di nota. Giacché a lasciare stupefatti quasi più della quantità è la qualità.
Poi magari ogni tanto alla Columbia scappa la mano. Forse non era il caso di approntare come decimo tomo della collana di cui sopra (quello dedicato ai “Basement Tapes” sarà l’undicesimo) “Another Self Portrait”. Quando viceversa sarebbe stato forse il caso di non condannare alla clandestinità nel momento stesso in cui la si mandava (si fa per dire) nei negozi questa quadrupla “50th Anniversary Collection” di cui a suo tempo riferivo su “Blow Up”.
È una storia surreale e da raccontare assolutamente per come esemplifica, in maniera plastica, la totale incomprensione che l’industria discografica – ciò che ne resta – seguita ad avere di come siano cambiati i meccanismi di diffusione e consumo della musica. Negli ultimi giorni del 2012 Sony Music ha pubblicato un cofanetto quadruplo con registrazioni di Dylan del 1962. Moltissime sono outtake di “The Frewheelin’” (occupano da sole i primi due dischetti), altre vengono dai cosiddetti “Mackenzie Home Tapes” e c’è infine un bel gruzzoletto di incisioni live. Nulla di che eccitarsi per chi dell’uomo di Duluth possiede magari giusto i classici, o anche più o meno intera la produzione “ufficiale” e nondimeno non intende fare della sua esegesi un impiego a tempo pieno. Per i cultori e gli studiosi più accaniti, al contrario, un’altra cornucopia di tesori di cui bearsi dopo i nove diversamente voluminosi volumi delle “Bootleg Series”. Tutto bene, tutto fantastico per questi ultimi, non fosse che la diffusione di “The 50th Anniversary Collection”, quattro CD-R (avete letto bene) in un boxino decisamente spartano, è stata a dir poco clandestina, solo in Europa e in un centinaio di esemplari (avete di nuovo letto bene) disseminati in una manciata di negozi fra Regno Unito, Francia, Germania e Svezia. L’uscita ovviamente non è stata pubblicizzata in alcun modo, ma altrettanto ovviamente la notizia si è sparsa in fretta e il risultato è che questa rarità istantanea e assoluta circola nel momento in cui scrivo, fra eBay e Discogs, a prezzi variabili fra i mille e i quattromila euro (e ancora una volta avete letto bene). Ma c’è un senso in tutto ciò? Per la Sony a quanto pare sì.
Essendo cambiate recentemente le leggi europee sul copyright, è successo che la copertura è passata da cinquanta a settant’anni per le registrazioni dal ’63 in poi, mentre per quelle degli anni immediatamente precedenti vale il principio “usale o perdile”. Avendo in qualche modo pubblicato adesso queste ottantasei tracce, la casa discografica storica di Dylan si è assicurata il diritto di riutilizzarle da qui al 2032, impedendo che altri potessero accedervi con ogni crisma di legalità. Va bene, un senso – un po’ distorto, giacché stiamo parlando di materiali che interessano comunque un pubblico non certo di massa – c’è, ma perché in cento copie? Perché non come decimo tomo delle “Bootleg Series”? L’ineffabile risposta è stata: per non danneggiare le vendite di “Tempest”. Eh? Scusa?? Come??? A parte i prezzi folli richiesti per una copia fisica sul mercato dell’usato, la seconda inevitabile conseguenza di questa strategia demenziale è stata che, se ci tenete ad ascoltare “The 50th Anniversary Collection”, impiegherete pochi minuti a procurarvene aggratis una copia liquida. E quanto ci vorrà prima che i taroccatori si mettano all’opera? Quando la Sony vorrà ripubblicare queste incisioni, saranno già nelle case di tutti quelli che potevano essere interessati ad ascoltarle. Complimenti.
Dovrei riferirvi della musica adesso, cercando di essere obiettivo per quanto può esserlo uno che della collana di rarità ufficiali più volte menzionata ha nei propri scaffali l’integrale. Il massimo dell’obiettività cui posso giungere è concedere che, per reggere le versioni multiple di uno stesso pezzo (per esemplificare: cinque della sola Sally Gal che a suo tempo fu scartata e altrettante di Corrina, Corrina, per non dire di sette – ! – Mixed Up Confusion) di uno che non era esattamente John Coltrane, un po’ malati bisogna esserlo. Di una porzione rilevante quantomeno del secondo CD qualunque persona sana di mente può fare a meno. E tuttavia vorrei osservare – pacatamente, sommessamente – che recuperando tutto ciò che di Bob Dylan aveva in forma compiuta negli archivi ed era datato ’62 la Columbia ha scavato alcune gemme cui qualunque appassionato medio di rock dovrebbe gettare l’orecchio, una volta almeno. Per constatare ad esempio che ben tre anni prima della contestatissima svolta elettrica il principale responsabile del folk revival non si faceva nessun problema a suonare rock’n’roll, accompagnato da un gruppo rock’n’roll. Godetevelo alle prese, a più riprese, con la canzone che inventò Elvis, That’s All Right Mama, e sappiatemi dire. Ascoltate Rocks And Gravels e provate a negare che, esclusa come fu da “The Freewheelin’”, avrebbe potuto essere recuperata su “Bringing It All Back Home”.
Pubblicato per la prima volta su “Blow Up”, n.177, febbraio 2013.