Non ci avesse sfortunatamente lasciati nel luglio 2003, il maestro di tutti i maestri di seduzione compirebbe oggi settant’anni. Certo di fare cosa che oltraggerà molti, lo omaggio recuperando la recensione di un suo album classico.
Bella e un po’ perfida soddisfazione potere scrivere di Barry White sapendo che la sua semplice presenza su queste pagine scandalizzerà talebani del rock di ogni tribù: da coloro che girano con la cresta incuranti del fatto che dal 1977 siano passati tre decenni e mezzo a quanti maneggiano ancora con reverenza i vinili di Emerson Lake & Palmer. E tutti quelli in mezzo. Per una volta uniti nel gridare all’abominio, presumibilmente ignari che l’uomo nato nel 1944 Barry Eugene Carter crebbe ascoltando musica classica e, giovanissimo, curò l’arrangiamento di un caposaldo errebì quale Harlem Shuffle (poi rifatto dai Rolling Stones) e scrisse alcuni brani per quel Bobby Fuller la cui canzone più famosa è I Fought The Law (poi rifatta dai Clash). Eppure ho abbastanza anni da ricordare quando nessuno avrebbe ammesso di apprezzare la voce ipervirile e iperconfidenziale del nostro uomo, la ritmica solidissima che la sottendeva e lo faceva catalogare alla voce “disco” (ma si può chiamare anche funky, eh?), le sontuose orchestrazioni che la avvolgevano. Gli LP e soprattutto i 45 giri finivano in classifica egualmente e in Italia più a lungo che non negli USA stessi dove, “guarita” la febbre del sabato sera, le fortune commerciali di Barry White conoscevano un declino più rapido, subitaneo.
Nondimeno a un certo punto la parabola discendente si invertirà e, con sublime paradosso, quest’uomo più grasso della vita si scoprirà icona trasversale in patria (lì sì), adorato dalla più variegata delle platee. Mi piace pensare che l’autore che come probabilmente nessuno ha contribuito con la sua musica – forse più che con qualsiasi altro album con questo “Let The Music Play”, oggi ristampato in un’edizione addizionata da cinque versioni alternative della lussuriosa traccia omonima – al sovrappopolamento del pianeta se ne sia andato certo troppo presto (cinquantottenne), ma consolato dal sapersi amatissimo.
Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.333, maggio 2012. Adattato.
A pensarci bene, è impietoso fare un’edizione…espansa di Barry White.
🙂