Piena la storia della black di gente che, partita dal sacro, è poi andata a batter cassa (benché anche restando in chiesa qualcuno se la sia cavata non male, da Mahalia Jackson in giù) passando al profano: Sam Cooke quello che suscitava più polemiche. Rimarcando quanto siano labili i confini fra soul e gospel proprio una canzone di costui – e anzi “la” canzone di Sam Cooke, A Change Is Gonna Come – suggellava cinque anni fa, in una lettura quantomai struggente, l’esordio in lungo in età che si può ben dire matura di Naomi Shelton. Una che ha compiuto esattamente il percorso inverso e restano a testimoniarlo alcuni singoli funk leggendari fra dj e collezionisti. Era un gran bel debutto “What Have You Done, My Brother?”, solido il repertorio, di prim’ordine gli strumentisti e lo stesso le voci a contorno della leader. Una talmente brava da riuscire quasi a convincerci (quasi) che parli di Dio e con Dio quando intona con intensità bruciante canzoni con titoli come I Need You To Hold My Hand o He Knows My Heart.
Fattosi aspettare tanto a lungo da indurre il timore che la signora avesse deciso di lasciare isolato quel tardivo exploit, “Cold World” ripaga l’attesa con un’altra dozzina di brani dritti dagli anni ’60. Stilosi ma mai artefatti, densi di un sentimento denso della solita ambiguità. Tecnicamente è gospel, lo certificano argomenti e l’interagire fra la voce solista e un coro che pure qualche libertà pop se la prende, ma si attacca con una Sinner pigramente quanto schiettamente funk e ci si congeda con una Everybody Knows (River Song) dritta da un ideale libro della ballata sentimentale Stax. In mezzo e non di rado (ad esempio in I Don’t Know) del blues. Che sarebbe anche la musica del Diavolo, ma non ditelo a Naomi Shelton.
Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.354, agosto 2014.