Che tempo faceva – Alcuni album dei Weather Report

Weather Report - Weather Report

Weather Report (Columbia, 1971)

Chissà che effetto dovette fare al tempo se ancora oggi quello che fu il primo Bollettino Meteorologico lascia stupefatti e incerti riguardo a cosa si sia ascoltato e “jazz” non è fra le parole che vengono sul subito in mente. Uno tenderebbe piuttosto, fin dal gassoso incipit di Milky Way, a parlare di ambient, prima di far mente locale e rendersi conto che nel 1971 il concetto era a venire. E, non spiegassero le note di copertina che le impalpabili tessiture sono state generate da piano e sassofono soprano, si scommetterebbe qualsiasi cifra che le hanno invece ordite strumenti elettronici. In ogni caso: musica fluttuante e astratta, impressionistica se mai tale aggettivo ha avuto un senso applicato al pentagramma e valga come sommo esempio una Waterfall che dice tutto il titolo. Ogni tanto un tema – Orange Lady dinnanzi agli altri – che si avvinghia per sempre alla memoria.

Joe Zawinul era fresco reduce dalla rivoluzione elettrica davisiana, Wayne Shorter invece pure (dintorni del resto praticati anche dal provvisorio terzo leader, Miroslav Vitous, e dai gregari Airto Moreira e Alphonze Mouzon). Si sente. Ma si va pure decisamente oltre, fra storte e notturne fughe percussive (Umbrellas) e un’ondeggiante estasi di sax (Seventh Arrow), filigrane di voci pastorali (Tears) e l’irruzione alla ribalta all’ultimo momento di un po’ di swing (Eurydice). “I Sing The Body Electric” sarà, da lì a qualche mese, il capolavoro che sappiamo, con il suo dare concretezza melodico-ritmica alle intuizioni del debutto, aggiungendoci oltretutto inaudite fragranze etniche. Ma, per quanto per certi versi incompiuto, il primo Weather Report resta un amore che non si scorda mai.

Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.253, gennaio 2005.

Weather Report - I Sing The Body Electric

I Sing The Body Electric (Columbia, 1972)

Il Brasile, l’India, l’Africa, il flamenco, sintetizzatori che suonano come chitarre affogate nel fuzz, effetti wah-wah applicati a piano e contrabbasso. Certi Weather Report flaccidi e vaselinati (eppure immensamente popolari) degli ’80 sono distanti anni luce. Il secondo Bollettino Meteorologico, dopo quello omonimo, diseguale ma fors’anche più intrigante dell’anno prima, prevede perturbazioni creative stordenti ed elettrizzanti, e rinfrescanti come un temporale in una giornata estiva in precedenza benedetta da sole e brezzoline. Accoppiata perfetta quella dei leader Wayne Shorter e Joe Zawinul (il primo un virtuoso dello strumento portato alla composizione, il secondo un compositore capace di virtuosismi strumentali): protagonisti insieme già della rivoluzione elettrica davisiana e si sente. Oh, se si sente.

Pubblicato per la prima volta su “Extra”, n.13, primavera 2004.

Weather Report - Mysterious Traveller

Mysterious Traveller (Columbia, 1974)

Album dell’anno (il 1974) per i lettori di “Down Beat”, secondo nella classifica jazz di “Billboard” e – ciò che più colpisce, dando nel contempo una chiara indicazione riguardo all’eclettismo del programma e alla percezione che giustamente si aveva dei titolari come di un ensemble capace di trascendere ogni limitazione di genere – trentunesimo in quella R&B e persino quarantaseiesimo in quella pop: innegabile che “Mysterious Traveller” sia stato illo tempore il disco che faceva passare di categoria il gruppo guidato da Joe Zawinul e Wayne Shorter, portandolo a riempire, dopo i club e i teatri, i palasport. Rendendolo un nome di casa in case dove di jazz ne era sempre entrato poco, ma senza per questo perdere per strada i cultori storici. Facile cogliere, riascoltandolo, le ragioni del suo successo: è che un disco così ecumenico i Weather Report non lo avevano ancora fatto; è che è un disco dove ciascuno può trovare i Weather Report che preferisce. Così, se la densa e stentorea Nubian Sundance prefigura l’etno-fusion che verrà e Cucumber Slumber funkeggia che è un piacere, le gassosità di Scarlet Woman rimandano agli esordi della sigla e il morbido duetto sassofono/piano di Blackthorn Rose parecchio più indietro. È la grande forza – ma pure un po’ la debolezza – di un lavoro di transizione, incidentalmente l’ultimo con Miroslav Vitous a far cantare il basso. Incisione allo stato dell’arte allora e tuttora.

Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.349, gennaio 2014.

Weather Report - Heavy Weather

Heavy Weather (Columbia, 1977)

Questione di gusti: i Weather Report che davvero mi fanno impazzire sono quelli dell’omonimo esordio e dell’immediatamente successivo “I Sing The Body Electric”. Dapprincipio fluttuanti e astratti e subito dopo protesi a dare concretezza melodico-ritmica a tali quietamente folgoranti intuizioni, aggiungendoci a buon rendere inaudite fragranze etniche, fra sintetizzatori come chitarre affogate nel fuzz ed effetti wah-wah applicati a piano e contrabbasso. Il che naturalmente nulla toglie alla grandezza, ben altrimenti premiata dalle vendite, di tanti successivi album (strutturati più rigidamente e di un’eleganza più convenzionale, pur nel loro perseverare a mischiare mondi) della premiata ditta Zawinul & Shorter. Sin dall’uscita, datata 1977, “Heavy Weather” è il preferito di quasi tutti quelli che non scelgono invece “I Sing The Body Electric”. Ci può stare, non solo e non tanto per quella Birdland per la quale dopo i Manhattan Transfer ho sviluppato una certa intolleranza, quanto per la melodia sublimemente romantica di A Remark You Made, per lo strepitoso sfoggio di tecnica (mai fine a se stessa) di Jaco Pastorius in Teen Town, per il samba Palladium, per una The Juggler che sa affascinare anche con i silenzi e in questo rimanda al Bollettino Meteorologico primevo.

Sarò due volte esplicito riguardo a questa edizione ORG in doppio 12” da ascoltare a 45 giri. Dicendo che settanta euro per un album sono comunque una cifra indecente, che in nessun modo i materiali e un pur sofisticato processo di stampa possono giustificare. Ma aggiungendo subito dopo che stento a ricordare, in decenni di ascolti, dei vinili che mi abbiano lasciato altrettanto stupefatto per la qualità dei suoni. Così impossibilmente alta che a un certo punto semplicemente ti dimentichi di stare ascoltando un disco e, mentre i musicisti si materializzano nella tua stanza, la musica si fa immateriale. Il che dovrebbe essere l’obiettivo ultimo dell’alta fedeltà, giusto? Settanta euro saranno allora troppi, ma questo “Heavy Weather” riesce a valerli tutti.

Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.341, marzo 2013.

Weather Report - Live In Offenbach 1978

Live In Offenbach 1978 (Art Of Groove, 2011)

Fama costruita in gran parte sugli spettacoli dal vivo pur essendo la loro discografia in studio la parata di classici che era fino a un certo punto, i Weather Report solamente nel 1978 (il “Live In Tokyo” edito a suo tempo solo in Giappone non conta, né la metà catturata in concerto di “I Sing The Body Electric”) si risolvevano ad approntare il canonico doppio celebrativo. Ci si metteva però di mezzo il più disastroso dei possibili incidenti sul lavoro, l’accidentale cancellazione di parte dei nastri durante l’editing, e andava a finire che “8:30” vedeva la luce con una quarta facciata incisa in studio ex novo e tutta di inediti. Grande album, eh? Ma certamente non una fotografia fedele dei primi passi di una delle formazioni meglio assortite del Bollettino Meteorologico, quella con la giovane sezione ritmica formata da Jaco Pastorius e Pete Erskine ad affiancare gli stagionati leader Joe Zawinul e Wayne Shorter. Dice allora bene Iain Murray nelle note a corredo di questo doppio CD che “Live In Offenbach 1978” è un po’ quello che avrebbe voluto essere “8:30”. Esce con trentatré anni di ritardo, e a ragione di ciò non potrà fare la Storia, ma per i cultori è imperdibile, ultima certificazione di vera gloria di un gruppo ancora sul versante giusto di un jazz elettrico raffinatissimo senza essere algido, infiltrato di elettronica, di rock, di suggestioni terzomondiste.

Pubblicato per la prima volta su “Il Mucchio”, n.686, settembre 2011.

3 commenti

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3 risposte a “Che tempo faceva – Alcuni album dei Weather Report

  1. antonio

    Devo essere l’unico fan di Shorter che considera i dischi coi Weather report tra i meno interessanti della sua carriera e gli preferisce non solo i dischi come leader e le collaborazioni degli anni sessanta, ma anche le cose successive, spesso stroncate dalla critica che si ferma alla superficie (soprattutto High life per quanto mi riguarda, al netto di una batteria orribile e di scelte di suoni discutibili è un disco della madonna e forse il mio preferito nella sua discografia assieme a Speak no evil). Forse proprio perchè si parla del più importante compositore del jazz moderno e il suo apporto compositivo sui dischi coi WR è molto risicato e anche in quel periodo le cose migliori mi pare le abbia regalate su altri dischi, come Ana Maria sul disco con Milton Nascimento, forse il suo pezzo più bello degli anni settanta.
    Anche io comunque preferisco le prime cose del gruppo.

  2. Francesco

    idem, primi due-tre dischi, poi basta. si suonano da dio ( e ci mancherebbe altro!) ma non è più roba per me, una fusion che non mi dice nulla. Speak non evil è uno dei dischi jazz che prefewrisco..

  3. Massimo Sarno

    So che arriva fuori tempo massimo, ma Voglio comunque dare un mio lapidario commento; definire “fusion qualsiasi” la musica di artisti con questa fantasia e capacita` com positiva mi sembra, con tutto il rispetto, una grande sciocchezza. Poi si puo` apprezzare o meno, ma la musica di plastica e` altrove.

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