Joe Meek – Lone Rider: Maximum Pop! (Hoodoo)

Joe Meek - Lone Rider

Fuori dal reggae, nella storia della popular music non vi sono che due produttori che impressero a tal punto un marchio inconfondibile su ogni cosa che toccarono da vedere rubricate immancabilmente le raccolte di loro produzioni non alla voce “autori vari”, bensì sotto il loro nome. Le epoche auree coincisero quasi esattamente, entrambi furono gradualmente messi fuori gioco dall’avvento dei Beatles e l’uno e l’altro conservano fama di mattoidi. All’uno e all’altro poi (vorrà probabilmente dire qualcosa, ma non è argomento che si possa affrontare in una recensione) sono toccati finali tragici per le loro parabole gloriose. L’americano Phil Spector sconta dal 2009 una condanna per omicidio che lo terrà probabilmente in carcere fino all’ultimo dei suoi giorni (oggi settantaquattrenne, non ha speranza di uscire prima del 2028), l’inglese Joe Meek scansava un analogo destino suicidandosi nel 1967, trentasettenne. Un uomo che appena cinque anni prima si era ritrovato in cima al mondo e per cominciare alle graduatorie di vendita USA con quello che resta (al netto di un coro a bocca chiusa) il più memorabile (e allora futuristico) strumentale rock di sempre: Telstar dei Tornados. Pezzo in ogni senso enorme – dal suono di un razzo al decollo che lo apre al twang riverberato delle due chitarre accoppiate, alla melodia istantanea disegnata dal clavioline – con il torto di fare ogni tanto dimenticare che non fu che uno dei duecentoquarantacinque singoli cui il Nostro pose mano, quarantacinque dei quali entrarono nelle classifiche del Regno Unito.

Questa eccezionale raccolta ne mette insieme trenta del periodo maggiore, ’58-’62, e non ci si crede ancora né si riuscirà a crederci mai che Meek immortalò questi rock’n’roll di rado derivativi e più spesso “from the outer space” in uno studiolo casalingo, letteralmente nella sua camera da letto, con i poveri mezzi tecnici del tempo. C’era della follia in costui e, oltre a una folta aneddotica, lo certifica l’approdo drammatico della sua esistenza terrena, ma per certo c’era pure del genio.

Pubblicato per la prima volta su “Blow Up”, n.196, settembre 2014.

4 commenti

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4 risposte a “Joe Meek – Lone Rider: Maximum Pop! (Hoodoo)

  1. Beh, quello di registrare in casa propria, dove capitava, era costume diffuso all’epoca: Rudy Van Gelder ha inciso buona parte dei suoi classici nel salotto della casa di Hackensack…
    Sarò strano o arrogante io, ma 45/245 in classifica non mi sembra un gran risultato: Rick Rubin, Mutt Lange e Roy Thomas Baker, solo per nominare i primi peso massimi che mi sovvengono, hanno proporzioni, credo, ben più sostanziose.
    Resta, però, che Joe Meek è unico.

    • Mork

      Perdonami, ma a parte – forse – Van Gelder, gli altri non valgono neanche un’unghia di Joe Meek.

      • Si parla del rapporto tra dischi prodotti e dischi finiti in classifica…
        E comunque, ferma l’antica massima sull’ineffabilità dei gusti, una rilettura ti farà cogliere che nessun giudizio sul valore dei produttori è formulato nel mio commento precedente, “pesi massimi” dovendosi intendere come esclusivamente correlato alla fama dei nomi menzionati.
        Su Van Gelder, beninteso, non concordo con te. E non tanto per questione di gusti, quanto per effettiva rilevanza storica.

  2. ale

    Ma perché gli Honeycombs non se li caga mai nessuno 😦

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