Dire che nutro scarsa simpatia per i Journey – o quantomeno per quei Journey (i primi tre LP oggettivamente tutt’altra e più nobile faccenda) che a partire dal ’78 e da “Infinity” lucravano immense fortune con un hard da stadio insieme patinato e becero – è un eufemismo. Ciò premesso: che razza di inizio di carriera ebbe Neal Schon! Ogni volta che faccio girare il terzo album dei Santana – non accadeva da un tot ma adesso avevo un’ottima scusa per tornarci su e ne ho approfittato a più riprese – resto invariabilmente a bocca aperta dinnanzi alla fantasmagoria dei duelli e dei duetti inscenati nei suoi solchi dal leader e da un Neal Schon appena entrato (era il 1971) a far parte della compagnia. Non mi vengono in mente molti altri esempi di due chitarre soliste così felicemente predisposte a dialogare e integrarsi, fuoco d’artificio continuo cui nondimeno resta estraneo il virtuosimo fine a se stesso. Sarebbe stupefacente di per sé e tanto di più lo diventa quando ci si ricorda o si viene a conoscenza di un dettaglio: all’epoca Schon aveva diciassette anni. E più lo si ascolta e meno ci si crede. Diciassette anni. C’è mai stato o ci sarà mai un altro come lui?
Lo scrivevo su queste pagine, in questa stessa rubrica, sei anni fa: a radunare tutte le cose davvero degne di nota di Carlos Santana dal jazzato e non disprezzabile “Caravanserai”, che è del ’72, in poi basterebbe un CD. Di altro e infinitamente superiore livello i primi tre LP, da affrontare in ordine cronologico anche perché di valore decrescente, ma di frazioni di punto e partendo in ogni caso da un capolavoro. Per quanto più lo faccio andare, “III”, e più mi pare poco sensato porlo in competizione con i predecessori. È che qui, con le due chitarre al centro del proscenio e le tastiere di Gregg Rolie spinte un po’ indietro, si gioca proprio a un altro sport. E se non vi si toccano gli apici di quegli altri due dischi in termini di puro impatto addirittura li si sorpassa. Album travolgente sin dal secco rutilare percussivo di una Batuka incandescentemente funky e fino a una Para los rumberos di cui il titolo dice tutto, passando fra il resto per i vortici mozzafiato di Toussaint L’Overture, un errebì esplosivo quale Everybody’s Everything e il romantico ballabile in tempo medio Guajira. Qui il Santana per molti versi più etnico e contemporaneamente, grazie a Schon, il più rock. Da ovazioni questa stampa su Mobile Fidelity capace di riprodurre fedelmente ciascun colore di una tavolozza eccezionalmente policroma e di farlo individuare con facilità, nel mentre rende giustizia alle dinamiche di un gruppo dalla sezione ritmica di ben quattro elementi.
Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.354, agosto 2014.
Dai, anche Caravanserai è un gran disco. Estenderei a lui il titolo “l’ultimo Santana da salvare”. Da lì in poi basta davvero un cd a coprire 42 anni fino ad oggi. Singolo, eh.
e neanche da 80 minuti…però amigos piace a mia figlia…
comprata questa edizione in vinile due giorni fa, si sente veramente da dio, anche se 35 eurini sono tanti