Il rock diversamente elettrico di “Blood On The Tracks” (della prima grande resurrezione di Bob Dylan)

Bob Dylan - Blood On The Tracks

Sorta di buco nero, di terra di nessuno e del nulla in una vicenda artistica che ha a oggi superato il mezzo secolo, i primi anni ’70 risultano paradossalmente un’età aurea per Bob Dylan se è ai tabulati delle vendite che si guarda. Nel ’70 quella presa per i fondelli all’universo mondo che è “Self Portrait” è quarto negli USA e persino primo in Gran Bretagna e l’anno dopo il secondo volume dei “Greatest Hits” va via come il pane. Comprensibile, dando un’occhiata al programma, laddove lascia invece piuttosto sbalorditi che il pubblico premi nel ’73 un “Dylan” raffazzonato dalla Columbia con una manciata di scarti per vendicarsi dell’essere stata tradita per la Asylum e, l’anno dopo, quello che resterà l’unico album in studio per la Asylum stessa, il veramente mediocre (eccezion fatta per una grande canzone come Going, Going, Gone e una immortale come Forever Young) “Planet Waves”. Addirittura il primo LP del Nostro ad andare al numero uno negli Stati Uniti. Insomma, della prima metà dei ’70 dell’artista che come nessuno plasmò il decennio precedente dopo “New Morning” e fino a un certo punto non salvi che tre tracce (essendo la terza Knockin’ On Heaven’s Door, dalla colonna sonora di “Pat Garrett & Billy The Kid”) e un doppio dal vivo (il classico “Before The Flood”, con The Band). L’uomo nato Robert Allen Zimmerman sta diventando irrilevante per la contemporaneità, elemento residuale di un’epoca che (fa strano dirlo) allora si percepisce più lontana di quanto non sembri a noi. Dylan non sarà mai più al centro della scena culturale e tuttavia proprio il 1975 è testimone della sua prima grande resurrezione. Ce ne saranno altre forse pure più sorprendenti, ma artisticamente così felici no.

Sono una riappacificazione e un divorzio ad andare in scena con e in “Blood On The Tracks”. La prima con la Columbia, il secondo dalla moglie Sara e ha un bel dire Sua Bobbitudine che le dieci canzoni qui contenute nulla hanno a che vedere con la sua vita sentimentale, ha un bello scrivere (nel 2004, in Chronicles, Vol.1) che furono ispirate dai racconti brevi di Anton Chekhov. Nemmeno serve a smentirlo che sia lo stesso figlio Jakob a inquadrare il disco come una collezione di conversazioni famigliari. Basta e avanza l’evidenza di un lavoro intimo e confessionale (per quanto in maniera dylaniana e dunque ellittica) come mai prima e dopo ed è rivelatore il titolo: sangue nei solchi. Fenomenale ritorno in quota dopo gli anni modesti di cui si è detto, il disco vale come affresco complessivo di rock diversamente elettrico rispetto ai furori giovanili di una Like A Rolling Stone; in ogni senso maturo e classico. Il che non toglie che diversi brani si staglino con perentorietà nell’emotivamente densissimo programma, da una Tangled Up In Blue di spumeggiante urgenza a una Simple Twist Of Fate viceversa struggente, dalla serenata spagnoleggiante You’re A Big Girl Now a una declamatoria Idiot Wind, alla torrenziale marcetta Lily, Rosemary And The Jack Of Hearts, a un’affilata e ipnotica Shelter From The Storm in attesa di trasformarsi, dal vivo, in uno dei più incalzanti rock’n’roll dello sterminato catalogo dell’autore. “Blood On The Tracks” risulterà fino a quel punto il suo più grande successo ed è da allora e all’unanimità considerato il suo album da avere se, post-’60, se ne vuole avere uno solo.

Notevole questa riedizione Original Master Recording dalla dinamica apprezzabile a dispetto di una durata oltre i venticinque minuti per lato e dai cui… ahem… solchi emergono dettagli che prima andavano persi: in un disco che credevo di conoscere a memoria mai avevo percepito così nitidamente – per dire – certe linee di basso.

Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n. 350, aprile 2014.

8 commenti

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8 risposte a “Il rock diversamente elettrico di “Blood On The Tracks” (della prima grande resurrezione di Bob Dylan)

  1. Francesco Manca

    Blood on The Tracks è uno dei dischi più irrequieti che abbia mai sentito, anche per gli standard dylaniani, e lo si capisce ascoltando le varie versioni delle canzoni: la prima volta che ho ascoltato Idiot Wind su Bootleg Series non ho pensato ad una prima stesura del brano, ma ad uno completamente nuovo, le parole sono le stesse (o quasi) ma il tono è opposto, le impressioni sono da tutt’altra parte; per Shelter From The Storm la trasfigurazione come ha detto Eddy avviene dopo dal vivo, per non parlare di Tangled Up In Blue, dove quella in studio è una sorta di via di mezzo tra la versione bellissima registrata a New York e le successive… Insomma, quale Blood On The Tracks?

  2. Rusty

    Scusa l’ot Eddy, ma l’anno in fondo è il medesimo: mi dai un giudizio su CSNY 1974? Ne scriverai?

  3. Difendo Planet waves a spada tratta. Sicuramente non e’ ai livelli di Blood on the tracks, ma il livello medio dei brani, il suono e’ quello classico di The Band (in fondo e’ l’unico vero album in studio insieme, vista la natura “speciale” dei Basement tapes) e alcuni testi sono ai suoi massimi livelli (Dirge un vertice della dark side dylaniana).

  4. Francesco

    Non sono così tranciante come il VM ma Planet Waves anche per me è lontano dalle vette dylaniane, molto lontano. E la presenza della Band non lo salva, anche perchè all’epoca anche loro avevano intrapreso una curva discendente che sarà piuttosto ripida. Insomma i capolavori li avevano alle spalle. E per dirla tutta lascio perdere volentieri anche before the Flood, il synth di Hudson mi da sui nervi e di quella tournee ci sono altri e ben superiori show. Nel frattempo attendiamo in gloria il basement..
    ciao
    PS VM, grazie per avermi fatto conoscere Paolo Nutini. La mia esterofilia me lo aveva fatto trascurare ma questo qui è veramente notevole, un rod stewart senza le puttanate. speriamo continui.

    • Fai una breve ricerca su Paolo Nutini e scoprirai l’insospettabile… 🙂

      • Francesco

        per ora mi godo l’ultimo disco che ha fatto (il mio primo approccio a nutini), poi andrò come spesso ho fatto a ritroso, ma con la dovuta calma, più di tot non riesco più ad assimilare e poi ultimamente sono in trip husker du/bob mould ( e nutini, ovviamente) che hanno monopolizzato lo stereo a piano terra e la macchina. in taverna domina in questo periodo, in lussurioso vinile, santana III.

  5. Antonio

    Idiot wind in Hard Rain, vertice live di ogni tempo.

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