(Una premessa per questa insolita puntata di una rubrica di cui ho l’onore e il piacere di essere uno dei due curatori sin dal 2003, anno in cui il supporto fonografico di cui si occupa era non più ai minimi storici ma nemmeno granché sopra: i dati dai quali partirò per fare i miei ragionamenti si riferiscono al mercato statunitense. Vado a usarli come riferimento perché sono i più facilmente reperibili, i più precisi e riflettono inoltre dinamiche quasi esattamente sovrapponibili a quelle che caratterizzano i mercati britannico, europeo, giapponese.)
Ci informa “Wikipedia” che “Nielsen Soundscan è un sistema di informazione e tracciatura delle vendite creato da Mike Fine e Mike Shalett” e che è “il metodo ufficiale di tracciatura di singoli, album e video musicali negli Stati Uniti”. I dati vengono raccolti settimanalmente dai registratori di cassa di parecchie migliaia di negozi, tradizionali e non (quindi anche “on line”), e sono quelli cui “Billboard” si affida sin dal marzo ’91 per compilare le sue classifiche. Con ogni evidenza, ritenendoli dunque più affidabili di quelli rilevati seguendo un metodo diverso dalla RIAA, la Recording Industry Association Of America. Premesso l’ovvio, e cioè che da sempre una certa quantità di vendite sfugge perché passa per altri canali (impossibile ad esempio conteggiare le copie vendute brevi manu o per posta dagli stessi artisti o da etichette medio-piccole), e che quindi i numeri andrebbero rivisti al rialzo quantomeno di un 10%, è la Nielsen allora a raccontarci che per il vinile l’annus horribilis era il 1993. Nel pieno del boom di grunge (una scena per i cui principali esponenti, Nirvana in testa, il vinile rappresentava un feticcio) e hip hop (un genere musicale nato letteralmente dalla manipolazione del vinile), le vendite di album nuovi negli USA (ove per “nuovo” si intende un titolo fresco di stampa ma pure di ristampa) si contavano in appena trecentomila esemplari. Andranno da allora a risalire ma restando per alcuni anni modestissime – un milione e cento nel ’96 e nel ’97, un milione e mezzo nel 2000 – per poi nuovamente flettere, tornando sotto il milione nel biennio 2005-2006. Carta canta e certifica che mentre già capitava di imbattersi in giornali e siti in articoli che celebravano – fra stupore, entusiasmo e scetticismo – non solo la mera sopravvivenza ma il ritorno in auge del più classico dei supporti in realtà di LP nuovi se ne vendevano ancora pochi. Era soprattutto il mercato dell’usato, i cui numeri non sono conteggiabili, a vedere espandere sensibilmente il volume d’affari. Stava però – e probabilmente non ce ne si rendeva conto appieno – cambiando, per usare una parola grossa, la temperie culturale. Il vinile era di nuovo cool e come goccia che scava la pietra questo concetto comincerà a fare presa sulle giovani generazioni. È il 2008 l’anno della svolta vera, un milione e novecentomila gli LP nuovi venduti negli USA contro il milione e cento del 2007. Da allora la curva ha preso a salire a ritmi vertiginosi e vi do tre cifre per misurare quanto: sei milioni e centomila gli album in vinile che si sono venduti lo scorso anno, otto quelli che si calcola (prudenzialmente) che si conteranno alla fine di quello corrente. Ma la cifra più impressionante è la seguente: dell’ultimo lavoro di Jack White, lo splendido “Lazaretto”, si sono volatilizzate quarantamila copie nella prima settimana nei negozi. Quarantamila copie. Un singolo LP nel 2014 ha totalizzato in una settimana il 13% delle vendite di tutti gli LP stampati nel 1993 nell’arco intero di quell’anno. Se ancora serviva a qualcuno una dimostrazione, eccola: indietro non si torna.
Sia chiaro: non sono i numeri in assoluto a essere rilevanti – in percentuale nel 2013 le vendite degli album nuovi in vinile negli Stati Uniti non hanno rappresentato che il 2% del totale del mercato contro il 41 del download e il 57 del CD – ma il trend. È un fatto che il vinile è l’unico supporto i cui numeri si incrementano, e vistosamente, invece che calare. È un altro che, al di là di ogni discussione su cosa suoni meglio (il dibattito ferve sin dalla commercializzazione del CD, nell’83, e l’unica conclusione sensata è quella che rigetta gli estremismi delle opposte fazioni: dipende), è passato il messaggio che per chi ama davvero la musica è più spesso che no il modo migliore per usufruirne. Ed è un terzo e almeno altrettanto importante, e sotto gli occhi di tutti, che il vinile non solo non perde valore economico con il tempo ma di norma ne acquisisce. Maggioritario nel mercato dell’usato di un minimo livello, praticamente monopolista in quello delle rarità. E anche questo pesa.
Poi lo so bene che non è tutto oro quel che luccica e che una crescita tumultuosa porta con sé pure problemi e – ahem – distorsioni. Per dirne uno: è prossimo il momento in cui le fabbriche che stampano vinile negli USA, appena una dozzina (la più grande lavora con ventidue presse, la più piccola con una), non saranno più in grado di soddisfare le richieste. Dirà il lettore: non si possono produrre nuove macchine? La paradossale risposta è che no, perché il mercato resta troppo piccolo, e lo sarebbe anche al doppio delle copie vendute oggi, per giustificarne il costo esorbitante. Per dirne un altro: sono state le etichette indipendenti a rilanciare il vinile e ora che le major si sono accorte che è tornato a essere un affare i piccoli si trovano a patire attese sempre più lunghe e a stampare meno copie di quelle che potrebbero vendere. E per dirne un terzo, che all’audiofilo è quello che interesserà di più: per quanto pazzesco possa sembrare, c’è chi non coglie che vinile e CD sono due supporti profondamente diversi e che stampare sul primo usando il master approntato per il secondo è non solo una sciocchezza ma una truffa nei confronti dell’utilizzatore finale. Impossibilitato a sapere se c’è una corretta masterizzazione alla fonte di ciò che sta acquistando e che, a), gli costa di più e, b), è destinato in qualche misura a degradarsi.
L’auspicio è che di questa grave stortura si prenda presto coscienza e si rimedi. Quella che per me è una certezza è che la rinascita del vinile sta avendo come ricaduta la scoperta di un modo consapevole di vivere la musica per una nuova generazione, di venticinquenni ma anche di ventenni. Ne abbiamo nel frattempo persa almeno un’altra, quella dei trentenni, ma per la prima volta da molto in qua il futuro non sembra più nero pece. Il vinile salverà la musica.
Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.355, settembre 2014.
Bello e veritiero articolo. Una curiosità: perché sostieni che la generazione dei trentenni è perduta? Io, per esempio, ne compio trenta tra qualche mese, e vinili ne compro (usati, non album nuovi); e come me diversi, ancorché pochi, coetanei. Mi colloco tra i perduti o no? Uno spunto di riflessione: se è vero, come affermi, che questa generazione di acquirenti di vinile è persa, non può essere colpa del fatto che questa è la generazione che più fa i conti con la disastrosa situazione occupazionale italiana, mentre i venti-venticinquenni ancora rimangono sotto l’egida reddituale dei genitori.
Ciao.
Credo che investire nella musica – sia tempo che denaro – abbia quasi sempre a che fare più con quanto si ha nella testa che con quanto c’è nel portafoglio. Penso che sia – facendo salvi i dovuti casi estremi – quasi sempre una faccenda di formazione culturale e quasi mai di reddito. Quando cominciai ad appassionarmi io i dischi costavano cifre improponibili (altro che il caro-CD di cui si favoleggiava fino a qualche anno fa!) e ciò nonostante se ne vendevano tantissimi più di quanto non se ne vendano oggi. E’ un tempo che non tornerà mai, ma scorgo in giro indizi che il futuro potrebbe regalarci qualche sorpresa positiva.
Sono d’accordo Venerato !
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D’accordissimo su tutto, a partire dal titolo. L’unica mia paura è che l’industria discografica, in nome del profitto, riesca ancora una volta a far saltare tutto e ad invertire la tendenza…
E’ in atto da tempo un processo di aumento del prezzo dei vinili nuovi che sembra irreversibile e certo non motivato da altre logiche che non siano quelle del “battere il ferro finchè è caldo”. In molti casi, ormai, il costo di un LP singolo si attesta fra i 25 e i 30 euro…ed è una cosa francamente scandalosa anchè perchè, analogamente, in nome di logiche diverse e antitetiche, si abbattono i prezzi di quel piccolo supporto argentato che, fino a non moltissimi anni fa, ci veniva venduto a peso d’oro…cercando in tutti i modi di convincerci che quei soldi li valeva davvero…
Vero! Il prezzo del vinile in questi ultimi due anni è aumentato assurdamente… riusciranno a suicidarsi anche in questo settore?:)
Ehm, dicesi legge della domanda e dell’offerta.
Secondo me bisogna pensare anche all’apparato iconografico che si porta dietro il vinile. Qualcuno si ricorda una copertina veramente straordinaria che accompagna un CD ?
Io no.
Pensate al valore di una copertina come “Born To Run”. Quanti cercherebbero di riconoscere i personaggi presenti sulla copertina di “Sgt. Pepper’s…” se fosse uscito direttamente in CD ?
“La vita è adesso” di Claudio Baglioni vendette 1.200.000 copie. L’ordine di grandezza delle vendite complessive in vinile oggi. “Salvare la musica”? Di cosa stiamo parlando?
Veramente a oggi se ne sono vendute quasi quattro milioni (quante in vinile e quante nelle successive ristampe in digitale, non è dato sapere). Ma si dà il caso che sia un album uscito nel 1985. Forse era un’altra epoca. Forse, eh? Ma davvero: di cosa stiamo parlando?
Infatti…che dovremmo dire allora di “Dark Side Of The Moon” o “Thriller”? Fra loro e noi c’è di mezzo internet e due tipi di music business che non sono assolutamente comparabili…la posta in gioco ormai è la sopravvivenza, e quindi la salvezza, della musica che, secondo me, sta anche nel ritorno al supporto fisico, vinile o CD che sia…
Potendo scegliere, naturalmente, mille volte il vinile, ma principalmente per la bellezza ed il valore intrinseco del supporto, che difficilmente ti puoi costruire in casa, oltre che per scontate ragioni affettive.
La “dimensione” migliore, ormai praticata da diverse label, è poi a mio avviso quella del LP+CD, che sta in molti casi soppiantando l’inutile coupon per scaricare l’MP3. Primo, perchè ti risolve il problema dell’ascolto in auto o in situazioni di “fretta”; secondo perchè ti va davvero capire quanta speculazione c’è stata intorno ad un supporto il cui costo di produzione è davvero irrisorio. Tanto che adesso te lo regalano…
L’altra sera ho visto in rete un’intervista di Billy Corgan in cui parlava del futuro degli album, e il suo discorso si ricollega benissimo anche a quello del vinile: in poche parole lui sosteneva che oramai proporre al pubblico un formato la cui durata va dai 40 minuti in su è anacronistico, perché per il livello di attenzione delle nuove generazioni è improponibile, per cui l’unico scenario possibile sarà quello di un’industria che produce singoli da scaricare in pochi secondi… Insomma, il solito discorso pessimistico che si sente continuamente in giro da una decina d’anni… Ma sarà così? Poi leggi un’articolo come questo e le cose non sembrano così scontate.. E chi ci dice che i ragazzi domani non continueranno se non a preferire quantomeno ad apprezzare l’ascolto di un disco che dura quasi un’ora, oppure che il vinile non diventi di nuovo un fenomeno di massa? Magari uno nasce nel 2150 e potendo scaricare musica da Plutone preferisce lo stesso avere un disco in vinile, magari perché questo oggetto ha avuto un ruolo fondamentale nella crescita della musica che lui starà ascoltando (e lo ha avuto proprio in virtù di quel formato), o magari perché non vorrà rinunciare all’idea di amare un disco anche per la copertina, come è stato per noi.
La solita storia sul livello di attenzione delle nuove generazioni…
Oramai quelli della mia età sono diventati come i vecchi che quando ero giovane si lamentavano dei giovani.
Caro Maestro, la mia opinione è semplicissima: se la musica si salverà non sarà grazie ad un hobby costoso come l’acquisto dei vinili (detto da un collezionista di vinile). La musica non è più così centrale nella vita dei giovani e degli adolescenti, basta pensare al ruolo del gaming oggi, facciamocene una ragione.
Aggiungo una cosa, a proposito di “salvataggi”: molti “eroi della mia gioventù” ancora in attività, sono finiti sull’ordine di grandezza delle 1000-2000 copie come vendite dei nuovi lavori, delle quali magari 300-500 stampate in vinile, vendute a un prezzo generalmente esorbitante. Il ricordo di quando compravo tranquillamente in negozio i loro dischi a 16.000 lire è troppo bruciante per continuare a pagargli le bollette in questo modo, e in ogni caso ho anche le mie da pagare. Tra l’altro ho qualche dubbio sulla tenuta nel tempo dell'”investimento” dato che gli unici interessati sembrano essere il migliaio di fan sui quali sono calcolate le copie stampate. Quindi mi dispiace molto ma ci ho messo una pietra sopra.
Il vinile salverà la musica ma di sicuro non l’ambiente. Comunque, a parte questo, capisco il ragionamento di chi preferisce il vinile a qualsiasi altro supporto, ovviamente è giusto che ognuno possa scegliere, e fin quando ci sarà domanda di sicuro si continuerà a produrre vinili. E’ però un po’ ingiusto – e non mi riferisco all’articolo in questione, ma in generale – considerare chi scarica mp3 o altri formati digitali (ci sono anche i FLAC o gli mpc) come qualcuno che non ama la musica, o come uno che la sta distruggendo. Ogni tanto bisogna anche pensare un po’ più in termini futuristici, e ai grandissimi vantaggi che questi “nuovi” formati portano anche alla musica, altrimenti si rischia di restare fermi su discorsi nostalgici che lasciano un po’ il tempo che trovano.
Secondo me l’ansia di consumo di nuove tecnologie (dico anche in generale) è molto più indotto di quello che crediamo
Io nei trenta sono appena entrato e per quel che riguarda me e gli amici musocofili che ho direi che ha ragione Eddy. Sono dieci anni che mi balocco con l’idea di passare al vinile, ma continuo a comprare il cd. Che ormai suona quasi uguale, puoi sentirlo in auto, è accompagnato da libretti più che decenti e soprattutto costa tanto, tanto di meno. Anche senza affidarmi ai rivenditori online riesco a portarmi a casa di tutto a prezzi ridicoli, cinque o sei euro. Mesi fa ho comprato blunderbluss per 7euro, nuovo. Nello stesso negozio il vinile stava a 28.90… Ma il motivo vero è che noi trentenni abbiamo cominciato a comprare dischi quando il cd era l’unico formato esistente (e manco Napster c’era ancora), e il cd è il formato dei dischi più importanti della mia adolescenza, da grace a the river a ten I’m your man eccetera. Semmai passerò al vinile sarà per snobismo, il cuore della maggior parte dei trentenni sta con lo sfigatissimo cd 🙂
Hai colto perfettamente nel segno, a parte il fatto che anche noi, come i predecessori, abbiamo iniziato con la cassetta…quanti tentativi per stoppare la registrazione di “Heartbreaker” al momento giusto, senza ritrovarmi su nastro anche il “With a…” con cui inizia “Livin’ Lovin’ Maid”!
Verissimo 🙂 qui rischiamo di lanciarci in reminiscenze da trentenni ricordando le compilation fatte in cassetta mettendoci un pomeriggio intero per quella carina dell’altra classe sperando che tra una Friday I’m in love e una I know it’s over finalmente capisse