C’è speranza per tutti e il tempo e l’applicazione fanno miracoli, se è vero come è vero che Elvis Costello con gli anni ha imparato a cantare. Verrà magari un giorno in cui J Mascis si renderà conto, alla millesima occasione, che un’intervista non è una seduta di tortura e non rischierà inconsapevolmente la vita di fronte al giornalista di turno, esasperato da mugolii e monosillabi. Per intanto è diventato un Signor Manico, per quanto la classifica di “Spin” che due anni fa lo posizionava quinto fra i cento più grandi chitarristi di sempre resti la più ridicola mai apparsa su un giornale specializzato. Mi piacerebbe verificare dal vivo, prima o poi, tanto per ricollocare nella memoria il ricordo di quando (erano i tardi ’80) lo vidi all’opera con i Dinosaur Jr e sullo strumento (detto da uno che quel gruppo lo adorava e ne possiede l’opera omnia, 7” e 12” inclusi) si dimostrò di un’inettutidine tale da far sembrare al confronto le sue risposte standard un capolavoro di eloquenza e capacità affabulatoria. No. Sul serio. Una roba imbarazzante e lo sottoscrive uno che ha sempre privilegiato l’espressività alla tecnica.
Quasi da non crederci che sia lo stesso J Mascis che lascia l’elettrica sullo sfondo in questo che è il suo sesto lavoro da solista e preferisce danzare leggero, con grazia pari alla vivacità ed entrambe rimarchevoli, sulle corde di un’acustica. Decisamente da non crederci che per raccontare un suo brano – lo strumentale indianeggiante Drifter – si possa chiamare in causa John Fahey invece del solito Neil Young. Peccato – grandissimo – che alla perizia strumentale vertiginosamente migliorata corrisponda lo sfiorire di una scrittura viceversa memorabile quando costui era giovane e, se giudicato solo in quanto musicista, “diversamente abile”.
Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.356, ottobre 2014.
Però dai, nei primi album ci sono certi assoli…ok lo scazzo dal vivo, ma sicuro fosse anche allora così scarso?