Sarà che da cultore di lunga data sono abituato ad attese interminabili. Sarà che “Blessed” (che beninteso con quasi qualunque altra firma in calce mi avrebbe fatto altra e migliore impressione) un po’ mi aveva deluso ed era una prima volta. Fatto è che non mi ero reso conto che dalla sua pubblicazione fosse trascorso l’intervallo di tre anni ormai usuale per una che fra un disco e il seguito arrivò a mettercene sei e persino otto. La prima reazione trovandomi fra le mani “Down Where The Spirit Meets The Bone” è stata dunque “di già?”. E l’inaudita corposità del programma mi ha poi, se non maldisposto, fatto temere il peggio, giacché prima di “Blessed” anche “Little Honey” non si era segnalato fra i capolavori della Williams e sommando uno all’altro mi ero fatto persuaso che costei possa ancora, in forza di una classe immensa, avere nelle corde grandi dischi ma che questi siano ora un’eventualità e non più una quasi certezza. Ne resto convinto. Solo che la signora il grande e forse grandissimo (cresce a ogni ascolto) album l’ha piazzato subito ed è persino un doppio, il suo primo alla bella età di anni sessantuno. Un’ora e tre quarti senza un calo di tensione, senza che mai l’ispirazione vacilli, diciannove brani autografi e a suggellare un’eccezionale rilettura di dieci minuti di Magnolia, un J.J. Cale classico reso come fosse Wild Horses.
A proposito: uno dei piccoli capolavori ascoltati in precedenza si chiama Protection e suona come una Patti Smith country alle prese proprio con gli Stones. Troppi altri andrebbero citati ma lo spazio è finito: mi limito alla ballata sentimentale It’s Gonna Rain e allo stomp blues Something Wicked This Way Comes, rispettivamente in chiusura di primo disco e apertura di secondo.
Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.357, novembre 2014.
Che facciamo Venerato ?
Nella mia lista di fine anno c’è e nella tua ?
Anche nella mia, ed al posto più alto. In cima.
Svettante anche nella mia