Neil Young – Storytone (Reprise)

Neil Young - Storytone

È da lungi (qualche decennio) conclamato: di prevedibile Neil Young ha giusto l’imprevedibilità e una delle dimostrazioni più eclatanti la offriva non più tardi di due anni or sono, quando a pochi mesi l’uno dall’altro dava alle stampe uno dei suoi dischi più imbarazzanti di sempre (e, diomio, stiamo parlando di uno che di dischi imbarazzanti ne ha pubblicati un bel po’) e uno dei suoi più memorabili (ossia capace di rientrare in quella dozzina – anche abbondante – che nessun appassionato dovrebbe farsi mancare). Dalla polvere di “Americana” agli altari di “Psychedelic Pill” come niente fosse, ma averne di quasi settantenni (ma anche di ventenni e trentenni, eh?) così vivi, così disposti al triplo salto mortale senza rete. E pazienza se ogni tanto, anche spesso, ci scappa la caduta rovinosa. In tal senso il Canadese nel 2014 aveva già dato, con lo sconcertante, irritante, irredimibile “A Letter Home”. A parte che non è elettrico, a “Storytone” non riesce di inscenare il tipo di ricorrente resurrezione posto disinvoltamente in essere dalla Pillola Psichedelica. E nondimeno…

Naturalmente avrete già letto e/o ascoltato: un doppio album ma composto di due dischi, ciascuno dei quali mette in fila le stesse dieci canzoni in versioni diverse ma sistemate esattamente nel medesimo ordine. Che però è un doppio solamente nella sua versione “Deluxe” e dunque “lo” “Storytone” che conta dovrebbe essere quello orchestrale. Non fosse che nell’edizione espansa il disco che vede il vecchio Neil cantarsela e suonarsela da solo è il primo: e dovremmo dunque considerare quello il più importante? Secondo logica sì, non fosse che “logica” e “Neil Young” insieme nella stessa frase non possono starci. Avrebbe potuto fare mezzo e mezzo scegliendo di ciascun brano una lettura? Certo che sì e tuttavia quella che è la debolezza principale dell’opera, la ridondanza, coincide con il punto di forza del suo offrire rese tanto diverse dei medesimi spartiti e alla fine va bene così. Prendere o lasciare. Il doppio, se si decide di prendere. Con la consapevolezza di ritrovarsi fra le mani un Neil Young di sicuro non iscrivibile alla categoria dei disastri ma in ogni caso minore.

Non avrei mai creduto: complessivamente meglio i pezzi dove il nostro uomo si fa accompagnare da un’orchestra più coro di novantadue elementi e in particolare laddove si esce dal quadrilatero delimitato da Hollywood, Disneyland, Las Vegas e Broadway. Ossia in una Say Hello To Chicago con swing da big band e nelle due tracce – Like You Used To Do e soprattutto I Want To Drive My Car – eseguite come avrebbe potuto un B.B. King. Suggestivo il gusto cinematico dell’attacco di Glimmer, a rischio di overdose glicemica ma senza arrivarci il country-pop di When I Watch You Sleeping e All Those Dreams. Nella versione “solo” preferisco davvero giusto Plastic Flowers (che sarebbe una canzone grandissima se solo Neil After The Gold Rush non l’avesse già scritta quei quattro decenni e mezzo fa) e una Tumbleweed che in solitario accentua la prossimità al classico di Buddy Holly Everyday. Mentre Who’s Gonna Stand Up la trovavo insopportabile fatta con i Crazy Horse, ridotta all’osso non sta in piedi (e resta fastidiosa) e non la salva l’orchestra, giacché per quanto si possa lucidarla la merda resta merda. Provate a indovinare quale brano e in quale lettura ha scelto Old Neil per promuovere “Storytone”.

13 commenti

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13 risposte a “Neil Young – Storytone (Reprise)

  1. Marco Bottardi

    Carissimo Cilìa, ti seguo da tempo con affetto e stima, complimenti per l’ennesima recensione puntuale e chiarificatrice. Forse sarò scusato per la mia giovane età (23), ma vorrei chiederti un consiglio sui futuri ascolti che ho deciso di dedicare a Neil Young. Ho ascoltato – e adorato – tutto fino a Tonight’s the night, escluso Time Fades Away che tende ad annoiarmi in fretta. Visto che – come hai detto tu stesso – la qualità dei dischi di Young è sempre altalenante, cosa mi consigli di ascoltare degli album compresi tra Zuma e quest’ultimo Storytone?

    • Ovviamente “Zuma” e poi “Rust Never Sleeps”, “Freedom”, Ragged Glory”, “Mirror Ball”, “Chrome Dreams II” e “Psychedelic Pill”. Volendosi tenere stretti. Ma secondo me ci stanno anche “American Stars N Bars” (fosse anche solo per “Like A Hurricane”), magari “Comes A Time”, tutto sommato anche “Living With War”.

    • marktherock

      beh, su “Time Fades Away” mi permetto di dissentire. Younghiano in sostanza e in spirito fino al midollo, idiosincratico e autolesionisticamente anticonformista come solo lui. Con le folle adoranti che andavano a rendergli omaggio dal vivo per ascoltare gli “zuccherini” di Harvest e lui che ti propone? i riff al curaro conditi dai testi al vetriolo di “Don’t be Denied” e soprattutto gli sbuffi epici di un capolavoro come “Last Dance”, presagi di morte e propedeutici all’uscita dal tunnel di On the Beach? ma stiamo scherzando?

  2. Graziano

    Mi permetto di aggiungere anche “Sleeps with angels”

    • marktherock

      a me piacque pure molto l’elettroacustico (o, forse meglio, acustico-elettrico) “Silver & Gold”, folky e stringato il giusto, a differenza del prolisso “Harvest Moon”. ma con lo zio Nellie, è quasi d’obbligo che ognuno abbia le sue proprie “deviazioni”

  3. Francesco

    Per me weld è imprescindibile. si lo so è un live, ma è un live di NY!

  4. Antonio

    Vabbè, ma come si fa a consigliare Living with War?

    • Rusty

      Un sito specializzato (non ricordo quale) mise in ordine tutti i dischi di Young e LWW era l’ultimo, definito “album spazzatura”. Le vie della critica sono infinite.

    • L’amico che chiedeva consiglio già ne ha in casa, sempre che io sia ancora capace a far di conto, sette. Ne ho segnalati altri dieci, “Living With War” in ultima posizione e sarebbe dunque il diciassettesimo album di Neil Young da eventualmente avere considerando solo i lavori in studio. Il diciassettesimo.

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