Rod Stewart compie oggi settant’anni e mi era venuta l’idea, invero perfida, di celebrarlo riesumando un po’ di righe velenose scritte commentando uno dei tremendi volumi della serie “The Great American Songbook”. Poi ho ripensato a tutte le volte che ho fatto girare negli ultimi mesi il cofanetto dei “Complete Mercury Studio Recordings” e mi è parso che sarei stato un ingrato. Gli faccio allora gli auguri con la recensione di un’ancora recente – e splendida – collezione di “Rarities”.
È talmente tanto tempo che non fa più un album decente (quanto? diciamo trentadue anni, dal ruffiano ma gustoso “Tonight I’m Yours”, avendone da allora pubblicati parecchi peggio che imbarazzanti) che si stenta a ricordarsi che quel signore anziano, per quanto ben tenuto, che persevera a infliggerci collezioni di standard e si commuove in tribuna a Glasgow quando capita ai Celtic di compiere un’impresa vera è stato una delle più grandi voci della storia del rock. Con quella raucedine così caratteristica, una delle più inconfondibili oltre che delle più belle, di quelle che si dice che potrebbero cantare qualunque cosa e il guaio è che – dopo gli Steampacket, dopo il Jeff Beck Group, dopo i Faces, dopo piccoli capolavori quali “Gasoline Alley”, “Every Picture Tells A Story”, “Never A Dull Moment” – troppo spesso ha cantato per l’appunto qualunque cosa. E dunque che ci si può attendere da una raccolta di rarità (piuttosto presunte a volere essere pignoli, quelle autentiche non più di un paio) di costui? Tanto, in realtà, se tutte quante provengono dalla prima metà dei ’70, sua età aurea artisticamente prima ancora che commercialmente.
E difatti i cento minuti circa di questa doppia collezione scorrono stupendamente. Solo Rod The Mod sapeva cantare Bobby Womack e Mick Jagger meglio di Bobby Womack e Mick Jagger stessi, Elton John meglio di Elton John, Jimi Hendrix meglio di Jimi Hendrix, Bob Dylan meglio di Bob Dylan. Aretha Franklin meglio di Aretha Franklin no, ma anche solo che avesse l’ardire di provarci testimonia come il cielo sia stato, per qualche anno, il suo unico limite.
Pubblicato per la prima volta su “Blow Up”, n.185, ottobre 2013.
Tanti auguri Rod e grazie per i momenti belli (speriamo di vederli tornare !).
che tripletta, quei suoi strepitosi dischi dal ’70 al ’72! Roba da far impallidire chiunque tra i suoi amati “Lisbon Lions”, portandosi a casa il pallone (peccato che invece se lo trasportò al di là dell’Atlantico, con quel che ne seguì)
Purtroppo