The Waterboys – Modern Blues (Harlequin & Clown)

The Waterboys - Modern Blues

A trentadue anni dacché in molti – e mi ci metto anch’io – si innamorarono di una ragazza di nome Johnny, i Waterboys ancora sono fra noi, ancora saltano di palo rock in frasca folk, ancora sono Mike Scott più chi passa da quelle parti e non si è mai capito perché a un certo punto pubblicò un paio di dischi con la sua identità anagrafica. Fra l’altro proprio poco dopo che la sigla aveva toccato un pur relativo apice di popolarità, poi nemmeno più lontanamente avvicinato. A trentadue anni dacché una ragazza di nome Johnny cambiò il suo nome, quando capì che la sua scelta era fra cambiare e venire cambiata, non importa dunque più a molti che i Waterboys siano ancora fra noi. L’avevano battezzata Big Music, assumendo a etichetta il titolo di una loro canzone, ma a passare all’incasso furono altri: U2, Big Country, Simple Minds, Hothouse Flowers. E di nuovo mi ci metto anch’io fra quelli a cui in fondo non frega granché – il resto del mondo non ha proprio idea di chi siano – che i Waterboys ci siano ancora. Sono ininfluenti e questo è un fatto. Un altro è però che “Modern Blues” surclassa qualitativamente qualunque cosa abbiano dato alle stampe i viceversa sempre acclamatissimi e chiacchieratissimi U2 dal 2000 a oggi e sono quattro album. Che persino a sommarli un “Modern Blues” – che non è la fine del mondo, no, ma si fa ascoltare – non arrivano a pareggiarlo. E allora e magari un minimo di fortuna e attenzioni in più se le meriterebbero pure, Mike Scott e soci. Ecco.

Registrato a Nashville con al mixer Bob Clearmountain, non proprio uno qualunque, il disco è una piccola summa del suono Waterboys post-“This Is The Sea” e insomma ci sono – intrecciati – sia il folk che il rock e in più la propensione allo slargo epico, e inoltre una negritudine pronunciata come forse non mai ma senza che ciò in nessun modo lo renda il loro disco soul o errebì annunciato da qualcuno. D’accordo: Destinies Entwined, che lo inaugura, attacca alla Booker T., ma gli ottoni che fanno irruzione subito dopo sono mariachi piuttosto che Stax. E se l’organo un po’ ovunque è spesso grasso e con un buon senso del groove il referente principale resta pur sempre Al Kooper, come è logico che sia per uno che idolatra Dylan e prova a emularlo: persino citandolo direttamente in November Tale, estesamente nel chilometrico suggello (10’21” introdotti da Jack Kerouac) Long Strange Golden Road, che tranquillamente potrebbe arrivare anche dai dischi di altri discepoli e mi vengono in mente Elliott Murphy e Steve Wynn. D’accordo: Still A Freak è un bluesone, ma più che a Chicago siamo direttamente nelle lande dell’hard, con tanto di piano rock’n’roll ed elettrica urlante, e a conti fatti con il suo riff torpido, il ritornello corale e un ribollente assolo di tastiera giusto Rosalind (You Married The Wrong Guy) è – a me pare – a prevalenza black. Resta da dire della ballatona con accenti alla Lennon The Girl Who Slept For Scotland, del luccicante folk-rock Beautiful Now, delle visioni di Van Morrison congiurate da Nearest Thing To Hip. Vi si cita Charlie Parker e lo si era già chiamato in causa, con tanti altri, nell’incalzante quanto suadente alt-country I Can See Elvis: sfilata di eroi e piace il pensiero che Mike Scott ne abbia tuttora. Io pure. Lui, per esempio.

3 commenti

Archiviato in recensioni

3 risposte a “The Waterboys – Modern Blues (Harlequin & Clown)

  1. Felice di condividerlo con te, questo piccolo grande eroe. Ininfluente ed insostituibile, nelle (poche? tante?) vite in cui è entrato.
    Ancora una volta, what spirit is, man can be.

  2. Oh caro Fishermanblues grazie di esistere ancora.
    Pensa che Fisherman’s, con mia gioia, piace molto anche a mio figlio di poco meno di 18anni!

  3. giuliano

    Cristo santo, finirò per prendermi anche questo Modern Blues, nonostante ne avessi sentito parlare abbastanza tiepidamente nelle settimane scorse. E io ho sempre paura di mettere in questione l’immagine che mi sono costruito negli anni degli artisti che amo di più. Ma la November Tale messa qui in video mi smuove le corde, quelle dylaniane, che scorrono più profonde. Grazie Mike Scott, grazie davvero, per quegli anni lì. E grazie anche a te, Eddy.

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