Chi sia il campione e chi lo sfidante non si può dire o invece sì: tutti e due campioni, campionissimi. E in ogni caso, intenti ad addentare due panini, le braccia intrecciate come due amanti intenti a un brindisi, oppure due pugili in vena di cazzeggio alla conferenza di presentazione di un combattimento… Sulla sinistra Wes Montgomery: “Un chitarrista che esibisce un controllo del suo strumento di rara autorevolezza”. Sulla destra Jimmy Smith: “Un animale il cui attacco alla preda, l’organo Hammond, ha come risultato la sua totale sottomissione”. Così quello che potremmo definire come il cronista dell’incontro, vale a dire Holmes “Daddy-O” Dayilie, all’epoca conduttore già da diciannove anni di una leggendaria trasmissione di jazz diffusa nell’etere dagli studi della WAAF di Chicago, nelle impagabili (si firma “swingceramente Vostro” e non aggiungo altro) note di “The Dynamic Duo”, disco registrato in due giorni – 23 e 28 settembre 1966 – nei celebri studi di Englewood Cliffs, New Jersey, di Rudy Van Gelder, con la produzione curata dallo stesso padrone di casa e tanto l’appassionato di jazz che quello di alta fedeltà già si staranno sfregando le mani, soddisfatti ed eccitati. E l’arbitro? Proseguendo con la metafora del match di boxe si potrebbe dire che sia il terzo uomo la cui foto campeggia sull’interno di copertina, vale a dire Oliver Nelson, arrangiatore impareggiabile che fa rendere al massimo ciascuno dei ben diciotto musicisti che affiancano la coppia di superstar. E l’organizzatore? Non è citato da nessuna parte e merita invece eccome di venire nominato: Creed Taylor, discografico geniale (un tempo si poteva dire, oggi sembrerebbe una contraddizione in termini) che aveva l’idea di mettere insieme (Montgomery fra l’altro al passo d’addio alla Verve) due dei più celebri e dotati fra i suoi protetti. Che formidabile tenzone! Terminante in perfetta parità, va da sé. Smith dritto alla giugulare del rivale e sodale, e dell’ascoltatore, con fraseggi serratissimi e un suono felicemente obeso. Montgomery fluido ed elegante e con un aplomb tale da sembrare flemmatico, lento persino, quando è in realtà pure lui velocissimo. Metteteci intorno percussioni (Ray Barretto e scusate se è poco), batteria (Grady Tate e idem come sopra) e una quindicina di fiatisti che randellano come disperati e che otterrete? Un groove irresistibile, invincibile, un disco che coniuga meravigliosamente classe e divertimento. Tanto per rammentare ai troppi che convenientemente troppo spesso se lo dimenticano che il jazz nasceva come musica da ballo.
Sono solamente cinque brani ma il più breve – una cinematografica 13 (Death March) – dura ben 5’21” e il più lungo – una delle più magmatiche versioni a memoria d’uomo del classico spiritual Down By The Riverside – arriva a toccare i dieci. Agli opposti della ballabilità una Night Train bella jump e il sorridente romanticismo di Baby, It’s Cold Outside. Incisione superlativa per dettaglio, calore e – appunto! – dinamica.
Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.278, aprile 2007.
“Suono felicemente obeso”, è un gioiello.