Impressioni di John Coltrane

John Coltrane - Impressions

Naturalmente in un caso simile trattasi di feticismo. Naturalmente, a prima vista e anche a seconda e terza, non ha molto senso tirare fuori quattro banconote da dieci euro, vedendosi restituita solo una moneta da uno, per procurarsi un’edizione di “Impressions” che riproduce fedelmente la primigenia ed è dunque orba dei 10’37” di una splendida Dear Old Stockholm aggiunti alla stampa digitale attualmente in catalogo. Che, incidentalmente, di euro al massimo ve ne costerà quattordici, ma magari appena dieci. Naturalmente l’appassionato di ’Trane più oltranzista (parrebbe ch’io non rientri nella categoria, pur avendo quel mezzo metro di libreria occupato da album del sassofonista; ma la banale verità è che finora mi è solo mancata un’occasione) questi pezzi li ha anche altrove, nei monumentali “Complete 1961 Village Vanguard Recordings” e “Classic Quartet: Complete Impulse! Studio Recordings”. È insomma questo un caso in cui, per quanta devozione io nutra per l’analogico, mi verrebbe da consigliare di investire nel digitale. Però il mondo è bello perché è vario e ad esempio ho un conoscente che, a quarant’anni salutati da un pezzo, continua a spendersi ogni mese metà stipendio in musica e a non volerne sapere del compact disc. Prima o poi gli toccherà traslocare per l’imponenza della collezione di vinile e in casa non ha un solo CD. A uno così questo “Impressions” griffato Speakers Corner in plastica pesante, nera e lucente interessa eccome. Manco a dirlo che suona divinamente e pensare che il mai abbastanza lodato Rudy Van Gelder dovette arrangiarsi, per eternare la maggioritaria parte live, con una console e un registratorino non esattamente allo stato dell’arte nemmeno per il 1961.

Nella folta discografia coltraniana “Impressions” fa un po’ storia a sé. Non uno dei cinque titoli indispensabili e forse nemmeno fra i dieci nelle posizioni di rincalzo, per un verso patisce un’indubbia frammentarietà, proveniendo le sue quattro tracce da tre diverse sedute d’incisione effettuate in un arco di tempo alquanto lungo, dal novembre ’61 all’aprile ’63. Per un altro se ne fa invece forte, fotografando una situazione in continuo divenire e offrendo dunque una rappresentazione fra le più estese immaginabili in appena trentacinque minuti del genio di un uomo che plasmò il jazz moderno come a pochi – probabilmente al solo Miles Davis, che ha però avuto molto più tempo a disposizione – è riuscito. La differenza fra due giganti che pure collaborarono proficuamente è misurata dal raffronto fra la davisiana So What e il brano che a questo LP dà il titolo. Simili accordi e struttura, questo ha un’intensità bruciante, mai rinvenibile nel Davis pre-elettrico; quella un’eleganza distaccata.

Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.288, marzo 2008.

11 commenti

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11 risposte a “Impressioni di John Coltrane

  1. Antonio

    l’articolo mi da uno spunto.. quali sono i cinque titoli indispensabili di Trane? E a questo punto, i dieci?

    • I primi cinque, in ordine di registrazione: “Blue Train”, “Giant Steps”, “My Favorite Things”, “A Love Supreme”, “Ascension”. Aggiungi “Africa Brass” e le collaborazioni con Monk, Ellington e Hartman e a dieci ci siamo già.

  2. marktherock

    parlando di collaborazioni, a me piace da impazzire anche il Trane notturno e minimale col Red Garland Trio (Traneing In). Aspetto però in merito l’illuminato parere del VM e di altri cultori ben più preparati di me

  3. Sciabar

    D’accordo con il Venerato! Per quanto mi riguarda ho anche una particolare predilezione per “Live at Village Vanguard” (Con Eric Dolphy), “Live at Birdland”, “Crescent” e Coltrane (quello Impulse!) e lo stesso “Impressions”, qui magistralmente recensito, e’ album di livello eccelso. In generale sia il periodo Atlantic che quello Impulse! presentano pochissimi punti deboli e comunque con Trane e’ difficile limitarsi a dieci titoli. Per quanto riguarda la collaborazione Coltrane/Garland esistono quattro album a nome di quest’ultimo, All mornin’ long – Soul junction – Dig It – High pressure, tutti registrati nel ’57 ed oggi pubblicati per la Ojc, sicuramente molto interessanti e godibilissimi anche se qualitativamente inferiori rispetto ai celebrati capolavori.

    • marktherock

      ti ringrazio, “Dig it” ce l’ho e mi piace assai, e poichè adoro quel particolarissimo (e quasi ossimorico) slow swingin’ ribattuto di Garland, mi metterò subito alla ricerca degli altri tre. Ci vorrebbero tre vite disponibile, ahimè…

  4. Sciabar

    Se ami Red Garland sono molto belli anche i dischi in trio, quasi tutti con Paul Chambers e Art Taylor. “Groovy”‘ , “A Garland of Red”, “Red Garland’s piano” e “At the Prelude” non avranno fatto la storia maggiore del jazz ma sono sicuramente un gran bel ascoltare.

  5. antonio p. (non l'antonio sopra)

    in quella lista mancano i miei preferiti, Crescent e Olé.

  6. marktherock

    …che furono i primi che mi misi in casa, da totalmente ignorante e dunque acritico lettore della breve guida al Jazz di Walter Mauro (una vera ciofeca, detto tra noi). Erano proprio quei due i titoli di Trane consigliati in una discografia che anni dopo potei finalmente giudicare quantomeno discutibile

  7. marktherock

    ovviamente Crescent ed Olè sono grandiosi, ma insomma…;)

  8. antonio p.

    non conosco quella guida, ovviamente essendo probabilmente i miei dischi preferiti apprezzo la scelta (però mi pare di ricordare che anche Stanley Crouch consideri Crescent il più bello). Poi che sia discutibile ci sta, ma lo è quanto un’accoppiata A love supreme/Giant steps. Inoltre dico la verità, di Giant steps amo davvero solo Naima (non a caso il pezzo che si avvicina di più alle cose su Crescent), preferisco evidentemente il Coltrane lirico a quello delle prove di bravura sui Coltrane changes), alla fine l’idea corrente che vuole quei due dischi sopra tutto il resto per me lascia davvero il tempo che trova.

    • marktherock

      preciso che quel mio precedente “una discografia che anni dopo potei finalmente giudicare quantomeno discutibile” era riferito alla Discografia Base consigliata dal Mauro nel suo bignamino. Quei due titoli scelti a rappresentare Coltrane magari sono scelte particolari ma, per dirla con Benitez, “ci può stare”. Inspiegabili sul serio sono certe scelte su Mingus (non c’è The Black Saint…) o peggio ancora su Monk (Brilliant Corner sparito dai radar), per dire due che mi vengono in mente. Di Miles Davis c’è You’re Under Arrest ma non Filles du Kilimanjaro (figuriamoci On the Corner!), a rappresentare Ayler c’è Love Cry e stop! Sempre per dire: il Red Gardner di cui sopra? Omesso completamente. Pharoah Sanders? Idem con patate. Capitolo Jazz vocale? Jimmy Scott? E chi era costui. Maddai…

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