Ci sono in giro certi giovani che danno l’idea di non essere mai stati giovani, nati adulti e in un’epoca che non è la nostra. Ci sono in giro certi giovani che solo oggi li si può ancora chiamare giovani, esordienti a un’età in cui una volta si era vecchie glorie. Ad esempio Jonathan Wilson, che addirittura è già negli “anta” ed è forse il nome nuovo più chiacchierato dell’attuale decennio in forza di due album oggettivamente rimarchevoli (il primo in zona capolavoro). Non vale come obiezione notare che in precedenza aveva avuto un gruppo, né che quello che avrebbe dovuto essere il debutto da solista restava clandestino: sotto praticamente ogni punto di vista “Gentle Spirit” è il suo esordio “vero”. Ad esempio Matthew E. White, che va per i trentatré e prima di pubblicare nell’agosto 2012 “Big Inner” faceva avant-jazz ma non se n’era accorto nessuno. Ad accomunare ulteriormente i due è l’essere californiani di adozione e ossessionati dai primi ’70, con Wilson però che guarda ancora più indietro, all’era aurea psichelica. Lui è rock, White pop. Anche Matthew E. produce ora un secondo lavoro inferiore al primo, solo che non partiva da altrettanto in alto.
Al netto di un plagio che faceva scalpore, era un bell’album “Big Inner”, un suo punto di forza gli arrangiamenti sofisticati. Non direi che adesso siano un punto debole, quanto piuttosto che non sono sufficientemente solide le canzoni per reggere orchestrazioni tanto imponenti, archi e fiati che scappano per ogni dove. Finisci per guardare più il dettaglio che il disegno generale, per poi accorgerti che era comunque banalotto. Da un contesto che tende al romantico/languoroso – fra un Harry Nilsson bulimico e un Randy Newman che si è perso il sarcasmo per strada – si stacca in positivo la briosa Rock & Roll Is Cold.
Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.361, marzo 2015.