John Fogerty compie oggi settant’anni. Lo festeggio ripescando un resoconto della sua vicenda artistica post-Creedence Clearwater Revival cui per essere aggiornato mancherebbero giusto il grazioso “The Blue Ridge Rangers Rides Again” (2009) e l’autocelebrativo “Wrote A Song For Everyone” (2013).

Qualche numero? Stando agli ultimi dati disponibili, quelli del 2006, alla faccia della crisi della discografia annualmente nei soli Stati Uniti continuano a volatilizzarsi 350.000 CD dei Creedence Clearwater Revival, un gruppo che dal 1968 a oggi si calcola, approssimando per difetto, che di dischi ne abbia venduti trenta milioni: venti di album e dieci di singoli. Quanto sia ancora straordinariamente forte l’appeal del marchio è dimostrato anche dalle incredibili cifre – 700.000 copie – totalizzate da “Recollection”, il doppio live pubblicato nel ’98 dai Creedence Clearwater Revisited, ragione sociale con la quale sin dal ’95 e a tutt’oggi girano Stu Cook e Doug Clifford, più variabili accoliti, facendo anche cento date all’anno. Un avvilente jukebox o un commovente tributo al bel tempo che fu e, lui pur nolente, al genio di John Fogerty? Fate vobis. Sempre a proposito di numeri: il Bordowitz, citato diverse volte nel corpo centrale di questa monografia, dedica 146 pagine a raccontare la storia dei CCR, prodromi compresi, fino allo scioglimento. Per dettagliarci sui successivi deliri gliene servono 170 e d’accordo che le usa anche per riferire delle varie vicende solistiche, principalmente dell’unica degna di nota, ma la sproporzione è clamorosa. Sempre a proposito di numeri ma in questo caso nel senso di gente che li dà: nella spesso folkloristica e talvolta drammatica storia dei contrasti finiti in tribunale fra etichette e artisti non si ricorda una causa più grottesca di quella intentata nel 1986 dalla Fantasy a John Fogerty, accusato di plagio… di sé stesso. Troppo simile The Old Man Down The Road, singolo di punta del vendutissimo “Centerfield”, a Run Through The Jungle dei Creedence. Oltre che a Green River, dal che si deduce che la Fantasy – che naturalmente perdeva, mentre Fogerty doveva acconciarsi dal suo canto a più miti consigli smorzando un velenoso attacco a Saul Zaentz presente sempre in “Centerfield” – il nostro uomo avrebbe dovuto metterlo sotto tiro già nel 1970. Sarebbe stato lievemente illogico, un ammazzare la gallina dalle uova d’oro? Certamente, ma di logico non c’è mai stato alcunché nella lotta all’ultima lettera (di avvocati o ai giornali) che per oltre tre decenni ha opposto John Fogerty alla Fantasy, la Fantasy ai Creedence, la Fantasy e il resto dei Creedence a John Fogerty. In un “tutti contro tutti” originato non soltanto dai contratti-capestro di cui ho riferito altrove ma anche dalla totale mancanza di flessibilità da parte dei contendenti. Rifiuto di perdermi e perdervi in un percorso labirintico e disarmante e torno piuttosto sull’indubbia somiglianza fra The Old Man Down The Road e Run Through The Jungle/Green River. Per annotare che con due rilevanti eccezioni, una in positivo e una in negativo, in una carriera in proprio proceduta a strappi e con silenzi talvolta lunghissimi (causa cause, blocchi creativi, esaurimenti nervosi) fra un’uscita e l’altra, John Fogerty è stato sostanzialmente fedele al canone disegnato con i CCR nel magico triennio ’68-’70. Aggiungendo un discreto gruzzolo di canzoni memorabili a un rilevantissimo patrimonio già con i crismi della classicità.
Spiazzante ma assolutamente soddisfacente la prima sortita, ancora su Fantasy, datata 1973 e presentata come opera di un gruppo inesistente, tali Blue Ridge Rangers. In realtà Fogerty (uno che giocasse a calcio farebbe il portiere, il difensore, il centrocampista, l’attaccante, l’allenatore, il presidente e se possibile pure l’arbitro) non solo vi suona tutti gli strumenti ma fa anche tutte le voci. Lo stile è country della più bell’acqua, la scaletta tutta di cover e l’album, nel complesso delizioso, ha citabilissimi vertici nella spumeggiante Jambalaya (già di Hank Williams), nella tenerissima Today I Started Loving You Again e in un programmatico California Blues (Blue Yodel No.4). Come minimo. Due anni dopo l’esordio solistico “vero”, l’omonimo “John Fogerty”, pur’esso realizzato in perfetta solitudine e pubblicato da una Asylum che ha comprato il contratto del Nostro dalla Fantasy, riporta in zona “Willie And The Poor Boys”/”Cosmo’s Factory”. Con verve molto prossima a quella di quei due capolavori. Almost Saturday Night è una nuova (e superiore!) Down On The Corner, Rockin’ All Over The World una seconda Travelin’ Band. I riscontri commerciali sono modesti se paragonati all’era Creedence, ma non disprezzabili, e per l’artista californiano sembrerebbe che una seconda età aurea sia alle porte. Invece no: da lì a qualche mese confeziona “Hoodoo”, una boiatella (persino qualche scivolata nella disco) brutta ma così brutta che alla Elektra, per i cui tipi dovrebbe uscire, gli suggeriscono di ripensarci. Se insiste la daranno alle stampe, ma per la reputazione dell’autore sarebbe meglio di no. Per la prima e unica volta in vita sua Fogerty dà ragione a un discografico, ringraziandolo anche. Chi ha bootlegato questo 33 giri probabilmente lo odia il nostro – ahem – eroe.
La reazione del mondo alla pubblicazione, per la Warner, di “Centerfield” può essere riassunta in quattro parole e un punto esclamativo: “Non ci posso credere!”. L’incredulità è duplice: per cominciare lascia stupefatti il semplice fatto che, a quasi dieci anni dal precedente, John Fogerty pubblichi un LP; poi e ancora di più che per esso si possa serenamente spendere una parola forte come “capolavoro”. La stampa applaude estasiata, il pubblico risponde con pari entusiasmo spedendo The Old Man Down The Road al numero dieci in classifica, una giubilante Rock And Roll Girls al venti e l’album dritto al primo posto. Una title track da allora suonata in ogni partita di baseball negli Stati Uniti e l’omaggio a Elvis di Big Train (From Memphis) sono irrinunciabili in un’ideale antologia fogertyana. Visti risultati tanto brillanti, alla Warner purtroppo non se la sentono di imitare la Elektra rifiutando nel settembre ’86 “Eye Of The Zombie”, un equivalente per il Nostro (a parte che almeno il vocoder ce lo risparmia) di quello che era stato per Neil Young “Trans”. Pessimi gli arrangiamenti venati di elettronica, ondivaga ma mai apprezzabilmente ispirata – fra batterie squadrate, riffoni esagerati e malintesa dance – la scrittura. Da evitare.
Lo schema che prevede una coppia di album editi a distanza ravvicinata e seguiti da silenzi apparentemente senza fine è confermato dagli undici anni di attesa per “Blue Moon Swamp”, prova in studio gagliarda e sottovalutata sul versante dei Creedence più campagnoli (Hot Rod Heart e Swamp River Days gli indiscutibili classici), tallonato a un anno e un mese (ancora e per l’ultima volta su Warner) dall’ottimo live “alla carriera” “Premonition”. Era da un quarto di secolo che John si rifiutava di affrontare dal vivo materiali Creedence. Da qui in avanti vivaddio si rifarà.
“Deja Vu All Over Again” si fa aspettare “appena” sei anni e Crosby Stills Nash & Young non c’entrano: c’entra una guerra in Iraq sempre più simile a quella nel Vietnam e che fa tornare il Nostro, nella traccia che apre e battezza il lavoro, a una polemica politica diretta e aspra. Il disco, che vede la luce per la Geffen e resterà l’unico con tale griffe, paga come effetto complessivo il suo saltabeccare di palo in fresca (ditemi un po’ voi se She’s Got Baggage non sono i Ramones) ma compositivamente è solido e insomma un’aggiunta benvenuta a un catalogo davvero smilzo se si contano gli anni lungo i quali si distribuisce.
Siamo a ieri l’altro, all’ottobre 2007, a “Revival” e mai titolo fu così ammiccante. Dentro ci trovi addirittura una Creedence Song. Dietro il marchio che mai avresti immaginato di rivedere: Fantasy. Saul Zaentz l’ha venduta e la nuova proprietà si è affrettata a fare ponti d’oro all’uomo cui l’etichetta deve da quattro decenni le sue fortune. La faida è finita, andate in pace.
Tratto da Il blues della luna cattiva. Pubblicato per la prima volta su “Extra”, n.28, inverno/primavera 2008.
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