Do The Reggae With Toots & The Maytals

Chissà in quanti si ricordano che molto di quanto sapevano in materia di reggae Clash e Specials lo appresero dai Maytals. Chissà quanti sanno che il reggae stesso è stato così chiamato da una canzone del gruppo capitanato da Toots Hibbert.

The Maytals 1965

54-46 era davvero il tuo numero di matricola in prigione?” “No, me lo sono inventato. Suonava bene.

Così, in una chiacchierata con David Katz in occasione della ristampa in digitale su un solo dischetto dei due capolavori Island “Funky Kingston” e “In The Dark”, a trentacinque esatti anni dagli eventi Frederick “Toots” Hibbert smentiva la più nota delle leggende che lo riguardano: quella che il grande successo che nel 1968 lanciò la seconda delle almeno quattro carriere dei Maytals, ossia 54-46 That’s My Number, oltre a derivare la sua genesi dall’esperienza carceraria del Nostro – due anni per pochi grammi di marijuana: in Giamaica! – vi aderisse fedelmente. Del resto, nella medesima intervista Mr. Hibbert attribuiva il celebre arresto a un gratuito atto di prepotenza della polizia. Non ci sarebbe di che stupirsi e nondimeno, dopo tale asserzione, leggendo ci si attende da un momento all’altro che, clintonianamente, se ne esca con un “but I never inhaled”. Risulta più attendibile, l’oggi sessantenne birbante, quando rievoca gli anni dell’infanzia e i primi passi nel – se così si può dire – musicbiz.

Sono cresciuto girando per chiese, principalmente Avventisti del Settimo Giorno ma non solo, posti dove la gente si incontra per cantare le lodi del Signore e le canta così bene che vorresti che le funzioni non finissero mai. Mio padre era un predicatore e così mia madre. Poi nella mia vita sono entrati Ray Charles, Mahalia Jackson, Wilson Pickett, James Brown. Li ascoltavo alla radio e la voglia di cantare si faceva sempre più prepotente. A tredici anni me ne sono andato da casa, ho lasciato May Pen per Kingston, Trench Town, e ho cominciato a lavorare da barbiere. Tiravo pure di boxe, ma tutti quelli che conoscevo mi dicevano che come cantante ero meglio e qualcuno, anche gente più vecchia di me, veniva persino in negozio a prendere lezioni.

Fra gli altri tali Henry “Raleigh” Gordon e Nathaniel “Jerry” Mathias McCarthy, più anziani di lui rispettivamente di otto e sei anni e il secondo con già qualche esperienza discografica all’attivo, sotto la tutela di quel Duke Reid che diverrà uno dei produttori cruciali della musica isolana. I Maytals nascevano così, negli ultimi mesi del ’61 o nei primi del ’62, come trio vocale e nell’identico modo in cui, un lustro prima e nel New Jersey, erano nati i Parliaments e tanti altri esempi si potrebbero trarre dagli annali della black americana, in particolare in quell’era del doo wop al tempo non ancora del tutto tramontata. Il giovanissimo Toots ne assumeva subito la guida, le sue influenze gospel evidenziate sin dai titoli dei primi fortunati singoli (supervisione di un pivello Lee Perry) per la rampante Studio One di Clement “Coxsone” Dodd: Hallelujah, Six And Seven Books Of Moses. Canzoni che, non essendo stato possibile acquisire i diritti, non troverete nel fantastico cofanetto freschissimo di pubblicazione per Trojan “Roots Reggae”, ristampa in box con le deliziose copertine originali miniaturizzate di sei dei sette album giamaicani della banda Hibbert, sulla falsariga del recente ed acclamato “Soul Revolutionaries” dei Wailers. Manca per le ragioni suesposte quello che fu l’esordio a 33 giri, “Never Grow Old”, ma gli appassionati (visto anche un prezzo a dir poco allettante) avranno lo stesso di che esultare pugni levati al cielo, qualcuno magari masticando agro per avere già comprato nell’ultimo lustro una peraltro bellissima raccolta come “Sweet And Dandy” solo per sostituirla poco dopo con il doppio (che resta fondamentale) “Pressure Drop” e magari, in mezzo, “Monkey Man/From The Roots”, che manco potrà rivendersi siccome il primo è compreso nel cofanetto e (filologicamente, giacché era in origine un 33 soltanto britannico) il secondo no. Ma che ci si può fare? C’est la Trojan, baby.

Bando alle lamentele! “The Sensational Maytals”, “Sweet & Dandy”, “Monkey Man”, “Greatest Hits” (titolo mendace), “Slayam Stoot”, “Roots Reggae”: questi gli album che potrete portarvi a a casa in un colpo solo. Usciti fra il 1965 e il 1974 e gli ultimi dunque quando in Gran Bretagna i Nostri, sulla scia della partecipazione a The Harder They Come, si erano accasati presso una succursale Island, secondi solamente a Marley e a Jimmy Cliff nella scuderia reggae di Chris Blackwell. Benissimo fa Harry Hawke ad annotare nel libretto (poverello, eh!) che si era in un’epoca e in un ambito in cui giusto i campionissimi potevano permettersi, rispetto ai ben più lucrosi 45 giri, l’azzardo di un LP, figurarsi di sette. E i Maytals erano campionissimi: ne danno ulteriore e definitiva testimonianza lavori di una brillantezza che il ritornare periodico di alcuni cavalli di battaglia non sciupa, ponte via rocksteady (che quasi si persero per l’arresto del leader) fra lo ska e quel reggae cui addirittura con l’epocale Do The Reggay (scritto così e che qui – ahem – non c’è) diedero il nome. Risulteranno dei maestri, fra gli altri, per gli Specials (che riprenderanno Monkey Man) e per i Clash (rifaranno Pressure Drop). Rimasto dal 1981 proprietario unico della sigla, Toots Hibbert tuttora gira il mondo divertendosi e facendo divertire.

Pubblicato per la prima volta su “Il Mucchio”, n.616, novembre 2005.

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