I King Crimson più sottovalutati: In The Wake Of Poseidon vs. Islands

King Crimson - In The Wake Of Poseidon & Islands

Per elaborare un discorso su queste ennesime ristampe di quelli che furono, rispettivamente nel maggio 1970 e nel dicembre ’71, il secondo e il quarto LP dei King Crimson si può partire da una quantità di punti diversi. Ad esempio da quell’aggettivo, “ennesime”, rilevando che con questo susseguirsi senza fine di edizioni “definitive” – ciascuna con qualche pezzo in più rispetto alla precedente e suonante un filo meglio – Robert Fripp sta un po’ (tanto) rompendo i coglioni. Perché, se è vero come vero che si stenta a credere alle proprie orecchie per quanto suonano bene queste stampe della cosiddetta serie del Quarantennale, non lo è di meno che a simili risultati si sarebbe probabilmente potuti arrivare già con le versioni precedenti, sei e cinque anni fa. E poi… che razza di insopportabile snobismo questo accludere come secondo disco (per niente regalato) un DVD audio, quando ben poca gente usa un lettore DVD come sorgente nel proprio impianto e sono ancora di meno quelli con amplificatore e altoparlanti surround.

Oppure si potrebbe prendere le mosse da una curiosità che va a denotare un’altra – in questo caso benigna – ossessione frippiana: quella per i quattro di Liverpool. I brani più squisitamente e genialmente “easy” in questi due lavori sono sul primo Cat Food, che sono i Beatles più rock’n’roll che si fanno tentare dal jazz, e sul secondo Ladies Of The Road, che è il più straordinario apocrifo pepperiano mai uditosi: roba che ti viene da alzarti in piedi e applaudire. E si ricordi che in “Lizard”, l’album di mezzo fra questi due, Happy Family nello spartito citava i Led Zeppelin ma come argomento aveva lo scioglimento dei Fab Four.

Ma a pensarci bene altro ancora accomuna due lavori per il resto musicalmente alquanto distanti: l’essere i più sottovalutati della discografia storica ’69-’74 del Re Cremisi. Colpa, nel caso di “In The Wake Of Poseidon”, di una somiglianza rispetto al debutto “In The Court Of The Crimson King” che la giurisprudenza da sempre dice eccessiva. È abbastanza vero, ma più che altro sono parenti le copertine, e certamente ciò non toglie che del programma facciano parte episodi sublimi oltre a Cat Food: il jazz-rock ossianico di Pictures Of A City così come l’ascendere a bolero del primo movimento di The Devil’s Triangle. A cosa si possa ascrivere invece la responsabilità di una fama enormemente inferiore ai suoi meriti di “Islands” francamente sfugge: è un disco fenomenale per come mette in equilibrio e compenetrazione rock, jazz e istanze neo-cameristiche. Si dovesse eleggere un unico album a simbolo di cosa sarebbe potuto essere (e raramente fu) il progressive, “Islands” avrebbe probabilmente il mio voto. Su due piedi, non mi vengono in mente candidati più meritevoli.

Pubblicato per la prima volta su “Il Mucchio”, n.677, dicembre 2010.

9 commenti

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9 risposte a “I King Crimson più sottovalutati: In The Wake Of Poseidon vs. Islands

  1. Sofia

    Salve, interessante articolo, grazie e complimenti. Mi permetto qualche considerazione e una domanda.
    In tutta l’opera di Fripp, e non soltanto in quei 2 pezzi che lei ha argutamente evidenziato, pure la successiva alla prima era KC terminata con Red, ci sono dentro qua e là e in modo patente i Beatles. (Non mi alzo in piedi per applaudire considerata la sfacciataggine dell’operazione. )
    Non mi sembrano parenti solo le copertine tra il primo e il secondo disco dei KC, ci sono molti affratellamenti; comunque quasi tutti alla fine a favore del secondo.
    “In The Court Of The Crimson King” sembra l’abbozzo, fatto da allievi adolescenti, per l’espressione più adulta di “In The Wake Of Poseidon” (pure i titoli sono parenti…).
    Cat Food sublime cover di Come Together, al massimo; come Pictures Of A City (non sublime) rielaborazione di Schizoid, che a sua volta è in sostanza R&B “sporcato” da rock duro, e con un bellissimo obbligato e grande assolo, che Pictures non ha. Proprio jazz-rock ossianico, non direi… R&B ossianico, forse…
    Questo dei generi è per una super sintetica traduzione-collocazione dell’”oggetto” in questione per capirci immediatamente.
    Non incenserei troppo l’ascendere a bolero del primo movimento di The Devil’s Triangle (e nemmeno del secondo…), perché in sostanza è copia di The Mars di Gustav Holst… Sicuramente darei a Fripp l’Oscar per il talento dimostrato negli anni per le ruberie rielaborate (pure quelle a se stesso tipo supercazzola)!
    Sono d’accordo comunque con lei quando scrive che sono dischi sottovalutati: io credo sia perché è clamorosamente sopravvalutato il primo. Non si devono alzare questi 2 come stima assoluta, basta prima di tutto abbassare e di tanto In The Court (e un bel po’ pure Red, già che ci siamo), che le cose si dimensionano più correttamente.
    Infine, non ho ben compreso in che senso secondo lei “Islands” sarebbe dovuto essere il paradigma di un venturo progressive (che non sarebbe pertanto secondo lei mai arrivato o quasi)?

    • Analisi che non condivido (qualcosa sì) ma assolutamente interessante e pure bene argomentata. Faccio presente che trattavasi in origine solo di una recensione, con spazi da recensione su un giornale cartaceo e dunque con un numero di battute a disposizione limitato. Riguardo a “Islands”, per me resta un esempio mirabile di disco che allarga il perimetro del rock a jazz e musica classica senza i complessi di inferiorità e le malintese appropriazioni nei riguardi della seconda che mi rendono da sempre insopportabile praticamente tutto il progressive cosiddetto “sinfonico”.

  2. sergiofalcone

    L’ha ribloggato su sergiofalcone.

  3. Sofia

    Grazie per la risposta; però credo proprio perché l’articolo è stato qui rilanciato, questa potrebbe essere un’ottima occasione di approfondimento… lo spunto iniziale magari sapere dove e perché la mia analisi non andrebbe bene seppur “interessante e argomentata”.
    Fripp è un grandissimo musicista in grado di trattare lo spazio sonoro in maniera davvero eccellente: timbri e tempo lui li manipola come creta per modellare qualche pallina, ha un talento particolare; è uno di quelli cui basta pochissimo materiale per rendere interessantissimi gli esiti. (Lo ha sempre dimostrato prima e dopo Islands.)
    Detto questo, Islands non lo trovo un capolavoro dei capolavori che addirittura doveva essere assunto a paradigma (se non quello di comprendere come trattare gli spazi e i tempi). Lì di idee ce sono di esigue (pochissimi motivi melodici su pochissimi accordi e molti assoli), ma certamente quelle poche sono molto ben spese. Sinteticamente, è un disco con un compatto umore patetico-barocco derivato da scontate scelte di minime concatenazioni di timbri e note sia in senso armonico sia melodico sia ritmico, ben bilanciato da molti assoli. Quest’allargamento del rock (al jazz e classica) è più una percezione che altro (che pure in musica è importante, beninteso), data dal quel suo talento già detto. Ma il materiale immesso e le procedure secondo me non dovrebbero essere prese a modello necessariamente, anzi.. Tant’è che molti altri sia prima sia durante sia dopo questo disco, hanno realizzato opere notevolissime componendo opere che hanno ben altri spessori (Soft Machine, Zappa, Magma, Gong, Wyatt ecc.).
    E tutto sommato lui stesso con la trilogia seguente è ben cresciuto. Inoltre sembra che con il pezzo Prelude: Song of the Gulls abbia come voluto dimostrare di saper trattare qualche (semplicissimo) passaggio di musica classica, un piccolo esercizio… Complessini?
    Ritengo ci sia molta confusione sull’uso dei termini progressive rock sinfonico ecc., se riteniamo rock sinfonico quel pastiche pedante e didascalico di r’n’r con accostata (non mischiata) qualche partitura classicheggiante (EL&P, ELO e altri), siamo completamente d’accordo; ma non è accaduto solo questo, per fortuna! No?!

    • DaDa

      Se posso dire la mia, in maniera meno colta ma più “rockettara”, Islands è il mio disco preferito della band. Amo alla follia Formentera Lady / Sailor’s Tale, la cui presenza nella tracklist basterebbe a dare all’LP lo status di capolavoro. Sinfield, tra l’altro, è qui al massimo della forma ( e purtroppo non sarà più presente a fianco nel re cremisi). Per quanto riguarda le opere della compagnia di Canterbury ( più Zappa e Magma), li trovo pieni di idee e spunti, ma spesso dispersivi (i Gong addirittura insopportabili nella loro freakerie). Credo che i KC siano riusciti con più equilibrio di altri a miscelare gli ingredienti del progressive, senza impantanarsi nelle pallose masturbazioni tipiche del genere. Per quanto riguarda In The Wake of Poseidon, per me è una copia di In The Court of KC, a tratti riuscita (Cat Food, Cadence and Cascade) a tratti no ( la title track, Pictures of a City). E’ il classico di disco di transizione dovuto al fatto che Fripp aveva licenziato il resto della band, sostituendola praticamente con dei session man senza ambizioni di songwriting. Spezzo inoltre una lancia per il disco intermedio ai due, Lizard: la suite omonima è la migliore del periodo e la rielaborazione del Bolero vale da sola il prezzo del biglietto.

    • Mai scritto che “Islands” sarebbe “un capolavoro dei capolavori”. L’ho detto sottovalutato, meno apprezzato di quanto non meriterebbe, ed è altra cosa. Così come è altra cosa scrivere che potrebbe essere eletto a simbolo delle potenzialità troppo spesso inespresse di ciò che è andato e va sotto il nome di progressive. Va da sé: mia umilissima opinione.

  4. Sofia

    Bè certo non letteralmente scritto, ma se si scrive di un disco che a dispetto “di una fama enormemente inferiore ai suoi meriti” è “fenomenale per come mette in equilibrio e compenetrazione rock, jazz e istanze neo-cameristiche” e quindi Islands è addirittura l’opera che merita di essere eletta a simbolo “di cosa sarebbe potuto essere (e raramente fu) il progressive”…
    Insomma (a torto o a ragione non importa) in questi termini che sono assoluti e non solo relativi si parla dei capolavori, no?!
    E ovviamente quelle da me espresse precedentemente di non condivisione di questa posizione di clamorosa elevazione di valore di Islands (insieme con il fatto che dopo questo disco non sia accaduto nulla o quasi di notevole, io dico pure prima), sono solo (seppur un po’ argomentate) mie modeste considerazioni.

    P.S. Peraltro Islands non mi pare essere così maltrattato sia dalla critica sia dal pubblico: se poi alla fine (a dispetto di qualche enfasi) pure per te non è un capolavoro, a questo punto pudicamente ammetto di non aver capito dove si voleva arrivare…

    • Per quanto riguarda il pubblico penso che possano valere come un’indicazione di popolarità e considerazione – a maggior ragione contandosi nel caso specifico le recensioni a centinaia e i voti espressi numericamente a migliaia – i punteggi rintracciabili sulla pagina che ai King Crimson dedica Rate Your Music. E, guarda un po’, su sette album in studio pubblicati dal gruppo nella sua prima fase (’69-’74), “In The Wake Of Poseidon” ottiene il SETTIMO punteggio più basso (ossia il pubblico lo considera il disco peggiore in assoluto) e “Islands” il SESTO. E se questo non è “maltrattare” pudicamente ammetto di non aver capito dove tu voglia arrivare. O forse sì.

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