Per cominciare a inquadrare quello che per gli Hot Tuna fu, nel 1972, il terzo album ma soltanto il primo in studio (il che per inciso comincia a inquadrare che razza di band siano sempre stati costoro, la cui discografia ufficiale a oggi conta sette lavori in studio e tredici live), potrei dirvi che, dovendolo “taggare” come si usa in questa pagina, sono stato a lunghissimo indeciso fra “rock” e “blues”. Ha prevalso alla fine il primo più per quanto accadde in seguito, per l’evoluzione in direzione di un suono sempre più elettrico (a tratti persino hard) che ebbe la creatura concepita da Jorma Kaukonen e Jack Casady mentre i Jefferson Airplane si avviavano al crepuscolo, che non per quanto in effetti si rinviene in solchi che (anche e forse soprattutto qui in Italia) vennero consumati da un paio di generazioni. Che però, con ogni evidenza, questo amore non sono riuscite a trasmetterlo alle successive, sicché oggi la gloriosa sigla risulta patrimonio pressoché esclusivo di reduci.
A ormai quattro abbondanti decenni dall’uscita “Burgers” è allora pietra miliare sulla strada del rock-blues di cui ben pochi che non fossero già nati al tempo hanno conoscenza. Qualcuno si sentirà stimolato all’acquisto di questa stampa Speakers Corner timbricamente eccelsa dall’apprendere che all’ipnosi vocale di Highway Song contribuisce David “posso ancora ricordare il mio nome” Crosby? Episodio atipico quanto emozionante fra tante emozioni non da poco: dal gospel’n’roll di True Religion di cui chissà cosa pensarono ragazzi cresciuti mettendo in dubbio gli dei noti (per cercarne di nuovi) al country danzerino di 99 Year Blues, da una Sea Child da manifesto trip a una Keep On Truckin’ da manifesti anni ’30, da una adeguatamente liquida Water Song a una Ode For Billy Dean degna di Muddy Waters, dalla corale Let Us Get Together Right Down Here (i Jefferson? no, Reverend Gary Davis) a una Sunny Day Strut possente quanto agile. Sul retro di copertina gli Hot Tuna posano su una spiaggia intorno a un macchinone d’epoca: immagine iconica di fantastica efficacia per come rende il loro essere sopravvissuti indenni e contenti alle illusioni sfiorite della Summer of Love.
Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.347, ottobre 2013.
Ciao, ma ci credi che gli Hot Tuna elettrici…non li ho mai digeriti? niente da fare, nonostante ripetuti tentativi il duo Kaukonen/Casady (e anche Jorma da solo) per me rimane solo e sempre una meraviglia acustica. Sul fatto di non essere stati in grado di traghettarli verso le nuove generazioni il discorso per me è a più ampio raggio e investe non solo gli Hot Tuna ma la maggior parte della musica che ascoltavamo noi da ragazzini. Tre figli non fanno statistica, ma mentre i Clash o Springsteen vengono apprezzati la maggior parte della musica “vecchia” è poco tollerata. Crescendo chissa che non si liberino di fedez o di altre nefandezze, ma per ora…
Dovendo scegliere, anche io voto tutta la vita per gli Hot Tuna acustici. Ma, in genere, digerisco piuttosto bene pure quelli elettrici.