Vedo che nel lontano 1999 recensii proprio su queste pagine l’album che stilisticamente è il predecessore più antico di “Simple Songs”. Affermare che “Eureka” (titolo che coincideva con la reazione che in molti avevano ascoltandolo) inaugurava un nuovo filone nella produzione solistica di Jim O’Rourke (uno che prima di quel disco era stato metà dei Gastr Del Sol e dopo e per sei anni è stato il quinto Sonic Youth) sarebbe purtroppo un’esagerazione. Dopo avergli dato piuttosto rapidamente un fratellino nel 2001 con il parimenti acclamato “Insignificance” l’artista chicagoano ci ha difatti fatto attendere quest’altra manciata (otto, per complessivi 37’33”) di “canzoni semplici” fino a oggi. Non che sia rimasto con le mani in mano nel frattempo. Solo, si è al solito dedicato a tutte le sue altre molteplici passioni e stiamo parlando di uno che ha una formazione accademica ma ama trafficare con improv e noise, elettronica e avanguardie, che è stato il produttore più richiesto del post-rock, ha resuscitato i Faust e collaborato con gli Wilco e giusto con costoro si avvicinava alla fruibilità delle sue – ahinoi – rare escursioni nel mondo del pop più nobile. Tanto più preziose perché disperse in un catalogo di consistenza abnorme. Pensate che già all’altezza del sunnominato “Eureka” (il Nostro non aveva che trent’anni) contava un centoventi articoli e immaginate a quanti può essere arrivato oggi.
Le “canzoni semplici” in realtà semplici non sono affatto ma immensamente godibili sì. Immaginatevi un Robert Wyatt ibridato con Van Dyke Parks, fantasticate più in generale di una Canterbury di oltre Atlantico – e dunque impregnata di Americana, ma pure pronta a fare i conti con Burt Bacharach come con Randy Newman – ed ecco: è parte di quanto è raccolto in questo piccolo scrigno di grandi meraviglie.
Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.365, luglio 2015.