Una mia recensione d’epoca del capolavoro d’epoca dell’unico cui in Italia, personalmente e senza ironia, riconosco il titolo di Maestro. Prima o poi proverò a emularlo. Magari prima.
“Box di 5 CD più bonus disc”: così il retro di copertina – peraltro la cosa più infelice (l’unica non contando certe idosincrasie dell’autore) di questo volume passato come un lampo nelle librerie normali, nel ’98, per finire nei remainders dove da allora staziona (ma lo si vede sempre meno; regolatevi) – presenta Paesaggi immaginari. Come i cofanetti cui fa il verso, lo si apre golosi, si sfoglia, si scorre l’indice, indecisi se buttare dentro il primo dischetto e godersi il mastodonte tutto di fila o piluccare qui e là, partendo dalle rarità oppure facendo girare una volta di più ciò che già si conosce. Se siete per il secondo approccio (io ho seguito il primo: sono una persona metodica e trattasi pur sempre di un libro, seppure antologico) il consiglio è di cominciare da due inediti e un inatteso e gradito recupero. Piccola avvertenza: sul primo degli inediti, Lettere in sogno da Tim Buckley (e altra posta angelica: da Tim Hardin, Fred Neil, Jeff Buckley), correte il rischio di fermarvi molto a lungo (come quando il lettore si incastra per un’ora in repeat su quel brano che ci ha ammaliati senza rimedio). C’è dentro tutto ciò che continua a fare del Bertoncelli il numero uno fra quanti dalle nostre parti discettano di pop, non solo per una questione di primogenitura (fu lui a inventare questo mestiere in Italia) ma per la limpidezza della lingua e un’eleganza di stile che restano insuperati, inimitabili benché siano stati e continuino a essere imitatissimi. Bertoncelli parte dai dischi per raccontare il mondo, come se lo osservasse da quel buco là al centro, quando quasi tutti si fermano ai dischi. E tanto più l’argomento del narrare è vicino alla sua sensibilità, e in tal senso la favola triste dei Buckley è perfetta, tanto più la pagina si affolla di fughe mitologiche, immagini fulminanti, riflessioni sulle quali si inciampa ritrovandosi in un attimo in ginocchio. Dicono di lui che sia troppo personale, egocentrico persino. Che in fondo non faccia altro che raccontarci la sua vita e potrebbe anche fregarcene poco, no? Non capendo che è esattamente ciò che lo rende di una leggibilità senza paragoni in un ambito poverissimo di scrittori veri.
Ci si diverte pazzamente scoprendo infine (un altro inedito) La vera storia dell’“Avvelenata” (come fu che Bertoncelli si ritrovò in un classico di Guccini). E a chi altri sarebbe venuto in mente di omaggiare Landolfi partendo da una canzone dei Pink Floyd e dalla propria naia? Wish You Were Here è una pagina del ’77 ritrovata che una volta di più fa pensare che in fondo il nostro uomo sia sprecato a vergare rubriche e recensioni per questo o quel giornale, quando invece dovrebbe architettare romanzi. Non lo si dica a voce troppo alta, però. Potrebbe finire per dar retta e ci perderemmo così l’unica penna capace di fare della storia dei Beatles un’epopea pasticciera. (Giunti, pp.261)
Pubblicato per la prima volta su “Extra”, n.3, autunno 2001.
Questo volume me lo sono trovato nelle mani enne volte, sempre indeciso se comprarlo. L’ho sempre lasciato sullo scaffale. Sbagliando, evidentemente.
Gran libro, mi unisco al Venerato nel consigliarlo a tutti. In effetti, da fan di Bowie e Springsteen, l’ho comprato con una scatola di tisana rilassante e invece sorprendentemente non ne ho avuto bisogno!
Bertoncelli ha sempre considerato Springsteen un sopravvalutato, ma forse lui sopravvaluta Zappa (forse). Ricordo un Freak sul Mucchio intitolato “Ultimo walzer a Candlestick Park” dove s’intratteneva sull’ultimo tour dei Beatles: ogni tanto me lo rileggo e ogni volta mi emoziono un pò. A livello di prosa probabilmente è inarrivabile, ha ragione il VMO. Sui contenuti si può discutere all’infinito.
Senza dubbio
Ma conteneva veramente 5 CD o era una boutade? Si trova ancora su Amazon sui 10€, ma non c’é menzione di CD.
Ovviamente no. E’ il libro a essere concepito come vengono concepiti certi cofanetti “alla carriera”.
Consigliatissimo, Bertoncelli è “the real deal” come direbbero gli ammericani. E la cosa bella di questo articolo è anche quel “magari prima” che mi fa ben sperare…
Che l’unico libro del maggiore scrittore (di) pop italiano sia fuori catalogo –
e sì che lo pubblicava una casa editrice di settore – la dice lunga sullo stato
attuale e sempiterno del giornalismo musicale italiano. Io per leggerlo dovetti prenderlo in prestito in biblioteca, ma certi volumi come certi album devono essere presenti sugli scaffali di casa. Detto questo io copiancollerei per dedicarli al VMO buona parte dei giudizi che lui riserva a Bertoncelli, soprattutto quando incensa la sua abilità di illuminare mondi a partire dai dischi, spesso usando come pietra focaia fatti di vita privata.
Quanto a certe posizioni critiche pure Lester Bangs ogni tanto tirava fuori bersaglio, ma succedeva di rado e pure quando gli capitava argomentava in modo così geniale e delizioso che una volta ci mancò poco che mi comprassi Metal Machine Music 🙂
Su Springsteen si è un pochino (ma non del tutto) ricreduto
Dopo avere adorato PopStory-SognoAmerikano-PopInglese ho comprato SBAGLIANDO il volume “Storia leggendaria della musica rock”…… Dopo avere cercato di comprendere le ragioni di cotanta apostasia, mi sono lasciato cogliere da sconforto e l’ho collocato nello scaffale ben lontano dai suoi illustri predecessori. Sembra un vademecum scritto dalle majors ed in copertina ci sarebbero stati meglio Boy George e Madonna. Avvilente soprattutto quando “rinnega” i suddetti capolavori. Questo non ce l’ho, ma ne vale la pena? (Se condividete parte della mia “critica” prenderò in seria considerazione il vostro parere ;).