Quel gran bastardo di Charles Mingus

Charles Mingus - Peggio di un bastardo

Romanzata? Certamente. Sebbene non quanto La signora canta il blues di Billie Holiday che è più, per dirla con il Bertoncelli, una storia leggendaria che un’autobiografia. Nondimeno chi di questo immane contrabbassista e compositore voglia conoscere vita (tribolata), morte (prematura) e miracoli (tanti, in forma di capolavori senza i quali la storia del jazz – della musica tutta del XX secolo – sarebbe stata diversa e assai più povera) farà bene a rivolgersi altrove: a Mingus: A Critical Biography di Brian Priestley o al più recente Myself When I Am Real: The Life And Music Of Charles Mingus di Gene Santoro. Ma se volete comprendere Mingus nella sua essenza più intima, Peggio di un bastardo è fondamentale quanto l’ascolto dei dischi. Formidabile autoritratto che tanto più distorce e interpreta tanto più è rivelatore, tanto più mente tanto più è vero, carne e sangue di un’esistenza tumultuosa, un carattere difficile, un uomo aspro e dolcissimo. Racconto di sé al proprio psicanalista come il Lamento di Portnoy di Roth e a tratti esilarante come quello. Più sovente drammatico.

Si parla poco di musica in senso stretto, in realtà, in Peggio di un bastardo, che è innanzitutto narrazione di come si cresce in un ghetto se si è minoranza in una minoranza e anzi praticamente un esemplare unico, mezzo nero e mezzo giallo ma pure un poco pellerossa e un poco bianco, paradigma del crogiuolo etnico d’America e per questo emarginato fra gli emarginati. Vieni su con dentro ferite terribili e domande ossessive riguardo alla tua identità e la necessità di mostrarti più forte degli altri per guadagnarne il rispetto. Forma mentis che permane anche quando lasci il ghetto, perché è il ghetto a non lasciarti mai se sei peggio di un bastardo. E allora, o ti rassegni e chini il capo, o la tua ribellione può assumere forme plateali. Così fu con il Nostro, la cui irascibilità terrorizzò per decenni musicisti, discografici, organizzatori di concerti, critici, ma la cui generosità era ugualmente nota. Perché Mingus, come lui stesso dice nella prima e più rivelatoria riga di un racconto che si divora d’un fiato e sul quale non ci si stanca mai di tornare, era tre persone in una.

Anche questo libro è tre in uno: un percorso di conquista della consapevolezza di sé alla Malcolm X, una picaresca epopea mediana fra il beat e Iceberg Slim, un dietro le quinte del mondo del jazz. Il congedo, un dialogo filosofico fra Mingus e Fats Navarro su Dio e l’Universo, regala alcune delle pagine più memorabili della letteratura del nostro o di qualunque altro tempo. (Marcos Y Marcos, pp.316)

Pubblicato per la prima volta su “Extra”, n.2, estate 2001. Ristampato da Dalai nel 2005, Peggio di un bastardo è da poche settimane tornato nelle librerie in una nuova traduzione, rivista e corretta, su Big Sur. La copertina riprodotta è quella di quest’ultima riedizione.

2 commenti

Archiviato in archivi, libri

2 risposte a “Quel gran bastardo di Charles Mingus

  1. Francesco

    E’ veramente un gran bel libro, la rabbia e il dolore di Mingus, ma anche l’amore per la musica emergono prepotentemente. lo lessi un sacco di anni fa in siria, un paese bellissimo che ora stanno distruggendo.

  2. Vado a comprarlo di corsa! Speravo con tutto il cuore che esistesse un libro come questo.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.