In lode di un artista di rara amabilità, nel giorno dei suoi settant’anni.
Due DVD per un mostruoso totale di cinque ore e un quarto, per la più parte di parlato e senza sottotitoli, neppure in inglese, che sono comunque un aiuto per chi quantomeno della lingua scritta ha una passabile conoscenza. Presentato così Sunshine Superman parrebbe faccenda per esegeti terminali del menestrello (massì! giochiamocelo subito uno stereotipo) di Glasgow. Cosa che il sottoscritto, per dire, non è. Benché di LP del Philip Leitch negli scaffali ce ne siano diversi e un’iniziale diffidenza si sia trasformata, nel corso degli ahimé decenni, in stima. Benché quattro o cinque canzoni del Nostro mi piacciano da sempre da impazzire. Prima piacevole sorpresa: a dispetto dei natali scozzesi, l’inglese del primo grande Dylan alternativo che si ricordi è di un’intellegibilità assoluta. Seconda: alla fine del primo dischetto, che dura quelle tre ore, non potrei sostenere di esserci arrivato senza accorgermene, ma quasi. È che il nostro uomo è un affabulatore formidabile. È che il regista Hannes Rossacher ha fatto un ottimo lavoro, con un’alternanza da manuale fra girato e repertorio. È che la storia – va da sé – è l’ennesimo e per l’ennesima volta fascinoso ritratto non solo di un artista di vaglia – coprotagonisti cento altri – ma di una generazione o due e un tempo in cui il mondo – come minimo: l’Occidente – si scoprì sottosopra e ricco di possibilità inesplorate. Aveva allora un senso invitare al realismo di chiedere l’impossibile. Ma lo spazio va rapidamente consumandosi e con i voli pindarici la finisco qui.
Per quanto paradossale possa sembrare, questo documentario va consigliato soprattutto a coloro che di Donovan sono estimatori ma moderati. Come lo ero io e non lo sono più. Nel senso che mi è venuta voglia di approfondire (per quanto si possa farlo dopo una simile immersione), riascoltare gli album che ho e procurarmene alcuni fra quelli che non ho. Nel senso che nella mia scala di valori musicali degli anni ’60 (inutile girarci intorno: qualcosina di buono ha fatto anche dopo, ma il solo “Sutras”, una produzione Rick Rubin del ’96, vale l’età aurea) Donovan ha scalato parecchie posizioni. Vedrete se non succederà pure a voi. Al di là dei tanti momenti memorabili (il mio preferito: una Colours in duetto con Pete Seeger nel 1965) regalati da quest’opera monumentale (nel secondo DVD anche una messe di apparizioni televisive, videoclip, estratti di concerti), Sunshine Superman ancora e persino più dell’artista fa amare un uomo di una modestia e una simpatia rare.
Pubblicato per la prima volta su “Il Mucchio”, n.651, ottobre 2008.
Grazie, me l’ero perso, recupero subito. Per qualsiasi artista io apprezzi mi piace accompagnare la musica ad un approfondimento video. Sarà che l’anthology dei beatles me la porterei sull’isola deserta e perciò cerco sempre di trovare qualcosa che almeno gli si avvicini…