L’afrojazz ante litteram di Art Blakey

Art Blakey & The Jazz Messengers - Drum Suite

Schifati – come dovrebbe esserlo chiunque, audiofilo o no, ami la musica – da un certo modo di registrare, mixare e masterizzare che ha preso piede con la diffusione dell’mp3? Convinti che la media delle incisioni degli anni ’70 sia parecchio superiore a quella di un’attualità in tal senso discutibilissima? Io lo sono, ma a lasciarmi davvero stupefatto sono sovente registrazioni ancora più antiche. Credo di averne ascoltate poche in vita mia della sovrannaturale (perché naturalissima) nitidezza di quelle contenute in questo LP che era uno dei tanti mandati nei negozi da Art Blakey in un 1957 eccezionalmente produttivo. Voglio esagerare, ma non credo di esagerare, asserendo che la prima facciata di questo 33 giri da incorniciare già soltanto per la copertina contiene le percussioni (all’opera tre batteristi, incluso il titolare, e due bonghisti) meglio riprodotte di sempre.

All’audiofilo potrei suggerire che dovrebbe porre mano al portafoglio anche solo per questo, per avere un’incisione di riferimento in materia di percussioni. A chi semplicemente ama la musica dirò che a rendere obbligatorio l’acquisto bastano e avanzano sempre i diciotto prodigiosi minuti (dimenticavo: eternati “buona la prima” da un gruppo che era convinto che si stesse semplicemente provando per aggiustare i livelli) della Drum Suite vera e propria. La temperie visionaria nutrita ad Africa e America Latina e le tempeste ritmiche di The Sacrifice, Cubano Chant e Oscalypso abbagliano tuttora ed erano in ultradecennale anticipo non solo su certo jazz da “Bitches Brew” in poi ma sull’afrobeat e sul rock che comincerà a fare i conti con le musiche etniche. Ascoltatela e sappiatemi dire. Unica controindicazione: al confronto, l’impeccabile ma canonico hard bop del secondo lato potrebbe sembrarvi la faccenda scipita che assolutamente non è.

Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.353, maggio 2015.

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