Have A Little Faithfull (Marianne)

Marianne Faithfull

Ricorre oggi un anniversario alquanto singolare. Era un 8 di luglio, del 1970, quando una giovane, bellissima, sciocca e naturalmente disperata Marianne Faithfull cercava di suicidarsi, con un’overdose di barbiturici. Tentativo che non riusciva davvero per un nulla, giacché la ragazza restava alcuni giorni in coma. Che spreco immenso sarebbe stato, di un talento che sboccerà appieno solo diversi anni dopo.

Marianne Faithfull - Come My Way

Come My Way (Decca, 1964)

Materia leggendaria l’ingresso dell’aristocratica non per modo di dire (la madre una baronessa austriaca) Marianne Faithfull nel mondo del rock: nel 1964 Andrew Loog Oldham, al tempo manager dei Rolling Stones, ne notava la bellezza profumata di innocenza a una festa a casa McCartney e pensava bene di corromperla mettendola a contatto con i suoi sulfurei protetti. Jagger e Richards le affidavano la sentimentale As Tears Go By e il 45 giri filava dritto nei Top 10 britannici. Ancora meglio avrebbe fatto qualche mese dopo Come And Stay With Me, scritta a quattro mani da Jackie De Shannon e da un giovane Jimmy Page. Con inconsueta strategia commerciale, duplice l’esordio a 33 giri nel ’65, con due album contemporaneamente nei negozi, uno omonimo con i successi già messi in fila come fulcro e questo “Come My Way”, che meritoriamente la Lilith riporta nei negozi offrendo un’alternativa a una costosa stampa giapponese. È una piacevole collezione di ballate folk in massima parte tradizionali interpretate con un’acerba voce da soprano. Accostabili alla coeva Joan Baez le atmosfere, qui e là si affacciano toni alla Kurt Weill prefiguranti un futuro allora lontanissimo. Quattro brani integrano la scaletta originale e fra essi il malato blueseggiare di Sister Morphine: si era fatto il 1969 e di innocenza non vi era più traccia.

Pubblicato per la prima volta su “Il Mucchio”, n.620, marzo 2006.

Marianne Faithfull - Broken English

Broken English (Island, 1979)

Affacciatasi alla ribalta a metà anni ’60 come pupa innocente dei gangster Rolling Stones, e rimediato un discreto successo con una serie di singoli ed LP divisi fra un soffice folk-rock e un altrettanto delicato pop orchestrale, Marianne Faithfull ne spariva drammaticamente poco dopo, persa in una tossica spirale autodistruttiva divenuta materia di tristi leggende. Uscita di scena a suo modo spettacolare come lo era poi – ma fortunatamente in tutt’altro modo – un rientro concretizzatosi appieno alla fine del decennio successivo con questo “Broken English”. C’era stato in realtà due anni prima, nel 1977, un altro album, “Dreaming My Dreams”, ma non se n’era accorto quasi nessuno ed è un bene che di quella non trascendentale collezione di canzoni country in pochi serbino memoria. “Broken English” era il ritorno vero e faceva rumore per la qualità del repertorio, per la modernità dei suoni, per la bellezza decadente di una voce splendidamente rovinata, per cominciare, dalle troppe sigarette: roca, una buona ottava più bassa di quel che era stata. I quasi tre decenni e mezzo trascorsi nulla hanno sottratto in impatto e memorabilità a otto canzoni (fra cui una Working Class Hero forse meglio dell’originale di Lennon) un po’ Grace Jones e un po’ tanto Patti Smith. Il CD aggiunto a questa ristampa Deluxe non offre ulteriori illuminazioni, tolta una Sister Morphine che risuona insieme confessione e riscatto.

Pubblicato per la prima volta su “Blow Up”, n.177, febbraio 2013.

Marianne Faithfull - Easy Come Easy Go

Easy Come Easy Go (Naïve, 2008)

Fornire i promo in vinile è stata una mia scelta, amo molto il suono analogico e soffro il digitale. Forse normale per noi, dato che entrambi siamo cresciuti con i 33 e i 45 giri, ma mi sono accorta che, per fortuna, tanti giovani e giovanissimi stanno scoprendo il gusto della musica ascoltata con il giradischi, come confermato dalla presenza di una sempre maggiore quantità di vinili sugli scaffali degli stessi negozi – anche delle grandi catene – dai quali erano quasi scomparsi. Al di là del suono, i dischi neri mi piacciono perché richiedono attenzione e per le possibilità che offrono in termini di sequenza dei brani: la pausa per cambiare facciata, per esempio, è psicologicamente molto importante per godersi al meglio la scaletta. Mettere su un disco dovrebbe essere un piccolo evento.

Così Marianne Faithfull qualche settimana fa, in una conversazione con Federico Guglielmi. E come darle torto? Da addetto ai lavori, è stata una soddisfazione immensa ricevere come “advance” non un compact disc (spesso nemmeno confezionato, con giusto uno squallido foglietto ad accompagnarlo) bensì, a ere geologiche dall’ultimo, un doppio vinile in elegante copertina apribile. Uguale a quello che verrà commercializzato, diciotto brani ove il CD normale ne conterrà solamente dieci e per avere l’intera scaletta in digitale dovrete puntare un’edizione limitata.

Spendo due doverose parole su come suona, sul primo dei supporti fonografici, “Easy Come Easy Go”. Benissimo, naturalmente, che la Naïve abbia deciso di puntare sul vinile. Sarebbe nondimeno opportuno, per non giocarsi una delle ultime possibilità di sopravvivenza, che nel momento in cui si aggrappa come a un salvagente al vecchio formato l’industria discografica maggiore tenesse conto dell’opera svolta nell’ultimo decennio dalle etichette per audiofili. Ci siamo abituati ai centottanta grammi, al vinile vergine e pressato a regola d’arte, e dunque silenzioso, e indietro non si torna (se no tanto vale comprare il CD o farselo). Qui la grammatura è bassina, benché ancora adeguata, e la silenziosità migliorabile. Che il piacere regalato da un’incisione superba – tutto magistrale: i timbri delle voci, i colori degli strumenti, la prospettiva scenica – venga a tratti sciupato da qualche tic, o peggio da delle strisciate, nel 2008 è inammissibile.

E la musica? Meglio della registrazione, ennesimo gioiellino per un’artista salita alla ribalta nei ’60 e immersa ora in altri sessanta ancora più favolosi: i suoi. Chi se la ricorda giovane, fine dicitrice di robine pop, resetti. Chi ruvidamente post-punk nel capolavoro “Broken English”, idem. Non chi da “Strange Weather” in poi (e sono due abbondanti decenni) ha fatto i conti con un’interprete capace di colmare lo iato fra Billie Holiday e PJ Harvey. Qui alle prese con materiali fra gli altri di Dolly Parton e Brian Eno, Duke Ellington e Randy Newman, Morrissey e Judee Sill, degli Espers come dei Traffic, dei Miracles o di Bernstein. Contornata dagli ospiti più vari (dal vecchio amico Keith Richards a Sean Lennon, da Antony a Nick Cave passando per Cat Power o Rufus Wainwright), accompagnata da musicisti strepitosi (uno per tutti: il chitarrista Marc Ribot), diretta da un Hal Willner in stato di grazia in una zona di squisita penombra fra il jazz e una Canzone che aspira al Classico.

Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.295, novembre 2008. Riadattato.

Se nell’essere sempre uguali a se stessi gli amici Jagger & Richards hanno un punto di forza, Marianne Faithfull è stata decisamente più bendisposta al cambiamento in una carriera pur’essa ormai quarantennale. Due le rivoluzioni maggiori inscenate: se da interprete di brani altrui in chiave folk-pop si reinventava nel ’79, con il capolavoro “Broken English”, autrice in un orizzonte post-punk nell’87 l’altrettanto formidabile “Strange Weather”, prima collaborazione con Hal Wilner, la ridefiniva sciantosa esistenzialista, moderna Bille Holiday pacificata ma non troppo. “Easy Come Easy Go” rinnova il sodalizio con Willner come forse non c’era bisogno – in fondo tutti i dischi sistemati fra questi due discendono dal primo – e forse invece sì, perché repertorio, qualità degli arrangiamenti e intensità delle interpretazioni si rivelano – già al primo ascolto, ma tanto di più nei successivi – una spanna sopra una media già alta. Quando vi parleranno dei “favolosi anni sessanta” di questa signora classe 1946 sappiate che sono quelli che sta vivendo ora.

Pubblicato per la prima volta su “Il Mucchio”, n.658, maggio 2009.

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