Era un 27 luglio, l’anno il 1984, quando Purple Rain usciva nelle sale americane. Resta un filmetto inguardabile (ancorché di enorme successo) se non come testimonianza di un’epoca. La relativa colonna sonora in compenso parve da subito, a molti, enorme e non ha fatto da allora che crescere di statura: con il senno del poi, non solo un album chiave per capire gli anni ’80 ma una pietra miliare nella storia della popular music tutta.
Chi non c’era non può lontanamente immaginare quanto fosse onnipresente nell’84 “Purple Rain”, colonna sonora di un film men che modesto (null’altro che una sfilata di stereotipi da rock movie) e a dispetto di ciò pur’esso trionfatore al botteghino (settanta milioni di dollari nei soli Stati Uniti ed era costato quanto un videoclip). Il disco, che sta in piedi benissimo senza immagini, è invece un indiscutibile classico, dalle voci declamanti su un bordone d’organo che conducono a uno scatenato funk hardelico di Let’s Go Crazy a quelle declinanti gospel del sognante finale della title track, lunga, malinconica e infinitamente seducente ballatona dalle fragranze blues. È nel complesso come se Marvin Gaye facesse festa con Jimi Hendrix (quello romantico di Little Wing), come se Stevie Wonder incontrasse il George Clinton versante Funkadelic e insieme scrivessero una West Side Story negra. Dal sentimentalismo trattenuto e poetico di The Beautiful Ones si passa al ficcante riff di Computer Blue, da una Darling Nikki che alterna carezze e lamate a una When Doves Cry che fu la canzone che spinse l’album in classifica osando l’inosabile in materia di musica nera: niente basso.
Pubblicato per la prima volta in Rock – 1000 dischi fondamentali, Giunti 2012.
C’è da augurarsi che gli eredi, pur rispettando volontà e dettami di Prince, siano meno “integralisti” e accosentano all’apertura – magari non indiscriminata – dei famigerati “Vaults”, notoriamente stipati di inediti. Personalmente – da fan e inguaribile feticista di oggetti musicali – spero anche che trovino un accordo con la WB per le ristampe del catalogo.
…per me fu il driver per risalire a Curtis Mayfield e Sly Stone. Indubbiamente un lavoro storico per poi aspettare l’apoteosi con Sign Of Times.
Eppure, Eddy, ricordo perfettamente quanto livore riversavi su Prince dalle pagine del Mucchio – be’, mica solo tu. Una volta ti sei dovuto quasi strozzare per ammettere che Kiss era un colpo di genio (ah mi ha fregato, non mi ero accorto ch’era lui, l’odiato principino…), minimizzandone le qualità come se si trattasse di un miracolo avvenuto per caso.
https://venerato-maestro-oppure.com/2014/03/20/sullartista-di-nuovo-conosciuto-come-prince/
https://venerato-maestro-oppure.com/2014/09/30/la-sempiterna-araba-fenice-prince/
Poi ci sarebbe anche un lungo capitolo in “Scritti nell’anima”. E un pacco di recensioni. Mi pare di essermi scusato un bel po’ di volte, e con scritti un tantino più lunghi e ragionati, delle quattro fesserie scritte riguardo a due singoli quando avevo meno di metà degli anni che ho adesso.