“L’elettronica che piace a quelli che detestano l’elettronica”: così veniva etichettato nel 1998 “Moon Safari”, successo clamoroso di quelli che si misurano non solo in vendite ma con un prendere prepotentemente possesso del panorama sonico che ci circonda. In sottofondo nei servizi al TG, al supermercato, in coda a un semaforo. Nicolas Godin e Jean-Benoit Dunckel infiltravano l’mmaginario collettivo e non è cosa che si sia potuta dire di molti a cavallo fra i ’90 e il nuovo secolo. Fatto è che, senza forse nemmeno provarci, “Moon Safari” metteva d’accordo tipologie di pubblico diversissime, dai cultori dell’elettronica di consumo catturati benché ignorasse bellamente il dancefloor ai riscopritori delle carabattole lounge, a un certo pubblico rock in vena di dolcezze pop. Faceva finta di puntare al futuro e in tanti affermarono che era il futuro, senza capire che di esso offriva una visione asimoviana, proveniente da un passato in cui era ancora possibile immaginare per l’umanità sorti magnifiche e progressive. Era innatamente ottimista e di un po’ di ottimismo si ha sempre bisogno, per sopravvivere.
Fra quello e il successore vero “10,000 Hz Legend” comincerà a cambiare le carte in tavola la colonna sonora di “Virgin Suicides”. Depressa (del resto, visto l’argomento…) e pinkfloydiana. Interlocutoria, ma in ogni caso passaggio chiave per comprendere un lavoro assai meno giocoso di “Moon Safari” e più complesso, tanto che se là (a dispetto del passaporto francese dei titolari) si poteva a tratti parlare di Britpop qui la definizione giusta sarebbe Britprog. Non che manchino le melodie lievi e fulminanti o l’ironia (ce n’è a iosa), ma alla linearità si sostituisce un estroso zigzagare. Ad Asimov, Kubrick. È il disco che avrebbero fatto i Verve si fossero reinventati Kraftwerk con la benedizione (rieccoli!) dei Pink Floyd dell’immediato dopo Barrett. Ancora retronuevo, a farla breve, ma sottilmente inquietante. Non invecchiato di un giorno in quattordici anni perché vive in un tempo tutto suo.
Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.365, luglio 2015.
Devo ammettere che non amato “10.000 Hz Legend” tanto quanto il predecessore ma il motivo è sicuramente da ricercare in quella leggerezza che era tanto presente in “Moon Safar” e che in un periodo non facile della mia vita avevo un grande bisogno. Per fortuna nella vita si cambia idea e quando ho ripreso in mano questo disco ho trovato un numero enorme di motivi per amarlo.