Ridendo e scherzando sono undici anni che il Soul Boy è in giro. Anche se in realtà di un debutto dal titolo chilometrico e datato formalmente 2005, quando ascoltandolo è lampante che trattasi di un lavoro del ’67 o giù di lì, non se ne accorse nessuno e per gli appassionati era il successivo di tre anni “Roll With You” a costituire l’accesso a un mondo meravigliosamente retrò: uno in cui Otis Redding è non solo vivo ma giovane e canta il soul per noi, così come il suo magister di scritti nell’anima Sam Cooke e un James Brown non ancora consegnatosi a un funk insieme primitivo e di perenne, insuperabile modernità. È uno stupendo nonsenso di album, sin da una copertina perfettamente “in stile”, ma l’amante della black più vintage se lo tiene stretto al petto, quello e il seguente (del 2010) “Come And Get It!”, con il quale il nostro eroe approdava a un ambito major senza minimamente – scusate il francesismo – sputtanarsi. Sfortunatamente provvedeva a farlo (nel 2014) “Nights Like This”, raccolta (mi cito) di “pop tanto ritmato quanto inconsistente con fastidiose ribattiture d’elettronica”. Flop pure commerciale e vogliamo dirglielo in coro? Ben ti sta!
Vivaddio “My Way Home” segnala sin dal titolo il ritorno (oltre che in un alveo indie) alle proprie radici di un artista che dev’essere infine venuto a patti con l’ingiustizia di un successo che seguita a eluderlo. È il suo disco gospel, quello che probabilmente ha reso più orgogliosa dell’allievo il mentore di sempre Mitty Collier. Emula di Ray Charles passata dalla Chess alla Chiesa, avrà adorato l’esplosività errebì di Hold Out e il blues rinnegato e scorticato Your Sins Will Found You Out, il passo travolgente di The Strangest Thing così come l’accoratezza sacrale di What Have We Done.
Pubblicato per la prima volta su “Audio Review”, n.377, luglio 2015.